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“Sbavaglio” e l’altra informazione in Sicilia

Riuninire le testate indipendenti, per un unico grande network alternativo. Se ne è discusso il 4 e 5 novembre 2006 a Catania; le istanze emerse presentate con un documento a "Contromafie" gli stati generali dell’antimafia

di Cesare Piccitto - martedì 2 gennaio 2007 - 4088 letture

Qualche mese fa i giornalisti di Telecolor, in segno di protesta contro il loro licenziamento in massa, si mostrarono durante la diretta del TG tutti imbavagliati. La tv trasmette da Catania verso tutta la Sicilia, ma da qualche mese fa un po’ meno informazione. Mentre nel resto d’Italia i giornalisti scioperano per ottenere un nuovo contratto e vincere la sordità degli editori, in Sicilia tocca ancora fare i conti con la libertà d’informazione. Sull’isola ci sono decine di giornalisti che non lavorano per le testate del monopolio regionale, né per le testate nazionali. Spesso fanno un altro lavoro, e nel frattempo mandano avanti testate indipendenti sempre più frammentate e più impotenti. Sono stati loro, vecchi e giovani dell’informazione indipendente siciliana, a dare vita a un progetto per un network unico. Spiega Riccardo Orioles (direttore di Casablanca): «la strada è quella della rete. La rete come struttura agile, non centralistica, informale, che accolga alla pari tutti e da tutti prenda qualcosa. E la rete come web, supporto indispensabile per qualsiasi iniziativa, e anche per qualsiasi giornale.

"Ma allora volete fare un quotidiano, un settimanale, una tv, che cosa?". «Vogliamo fare una cosa del tutto nuova, eppure assolutamente possibile, un mezzo che stia nella rete, che entri nelle case di tutti, e che all’occasione diventi carta stampata». Per discuterne si sono incontrati il 4 e 5 novembre scorsi all’Università di Catania, in due giorni di assemblea pubblica. Casablanca, Isola Possibile e Tele Jato hanno richiamato ad una ad una tutte le testate indipendenti dell’isola e non solo, dal Centro Impastato al Pizzino, e poi Addiopizzo, PeaceLink, Itacanews, Marsala Cè, Le Inchieste e molte altre. Dal gesto simbolico dei giornalisti di Telecolor, il titolo di questa iniziativa: “Sbavaglio”. Ogni testata porta al convegno la propria esperienza, si racconta, e a poco a poco viene disegnata una situazione mediatica regionale tragica. «Serve più organizzazione e meno volontarismo», spiega ancora Orioles, «questo non è stato finora in grado di contrastare i grandi capitali dell’imprenditoria forte che ha via via acquisito il monopolio regionale lasciando alle voci più democratiche della Sicilia solo le nicchie». Il riferimento è all’Editore siciliano, Mario Ciancio: ex presidente della Fieg, proprietario de La Sicilia di Catania e azionista degli altri due grandi quotidiani siciliani, controlla anche due tv a trasmissione regionale (fra cui Telecolor).

Nella prima giornata si sono incontrate le testate e i gruppi interessati a costruire una rete siciliana dell’informazione. Il giorno dopo gli interventi dei politici interessati a sostenerla. Si cerca un progetto alternativo al monopolio. Lo si cerca insieme, e questa è una notizia. Il documento sull’informazione redatto durante il convegno è stato presentato a Roma, agli Stati generali dell’antimafia indetti da Libera. Al più presto verrà proposto un disegno di legge che tuteli l’esercizio del diritto di cronaca. Il passo successivo sarà richiesta di depenalizzazione del reato di diffamazione. “Il monopolio”, si legge nel documento, “si contrasta riconoscendolo come tale e dunque negandogli lo status –che oggi vige- di interlocutore privilegiato. A livello legislativo evitando di emanare disposizioni che lo favoriscano.

Le testate regionali e locali sono sempre state ostacolate da difficoltà pubblicitarie, di accesso al credito, di diffusione in edicola e di partecipazione ai pubblici incentivi, in violazione non solo dei principi generali che tutelano formalmente il pluralismo dell’informazione, ma anche delle leggi del libero mercato”. I politici intervenuti al convegno, da Nando Dalla Chiesa agli esponenti regionali di Pdci, Rc e Margherita, si dicono tutti disponibili ad agire in favore della piccola editoria. Ma le assenze eccellenti, dall’onorevole Claudio Fava a Giuseppe Giulietti di Articolo 21, scoraggiano parecchio. Il prossimo appuntamento è per metà dicembre. Ci si organizza in fretta, perché a subire il monopolio non sono più solo i giornalisti delle testate militanti, come ricorda Nicola Savoca, ex di Telecolor: “Noi facevamo un giornalismo normale… non militante come quello di Tele Jato. I licenziati sono giornalisti con idee politiche le più diverse. Ma non andavamo bene comunque. Il perché non lo sappiamo. Forse perché parlavamo di piano regolatore o di altri grossi affari a Catania… Non lo so”. La vicenda Telecolor è solo l’ultima di una serie di censure. Un po’ di tempo prima Marco Benanti, giornalista, oggi direttore de l’Isola Possibile, ha dovuto lasciare il proprio posto di lavoro alla base militare statunitense di Sigonella, per aver scritto articoli “pacifisti”, in contrasto con la linea del governo datore di lavoro (quello Usa).

Poi c’è il caso di Carlo Ruta, che prima della recente condanna a otto mesi di reclusione, si era visto oscurare il sito web da lui fondato per aver raccolto una testimonianza giudicata dalla magistratura diffamante verso la stessa. Fra le recenti querele contro Ruta, una chiama in causa il decreto Urbani e lo accusa del reato di stampa clandestina: il sito di cui è titolare non è registrato come testata ma fa informazione. Altro problema centrale, infatti -rilevato da Umberto Santino del Centro Impastato- è che le cause per diffamazione vengono affrontate sempre più spesso con processo civile anziché penale. Non c’è dibattimento, non ci sono le garanzie previste dal codice penale, non c’è prescrizione. Vige una giurisprudenza abbastanza negativa. Santino parla anche in nome delle esperienze legali del suo Centro.


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