Quando il tempo libero diventa di qualità: Studiare e laurearsi in carcere

Per il senso comune in carcere si gode di molto tempo libero

di Massimo Stefano Russo - domenica 25 febbraio 2024 - 1033 letture

Venerdì 1° marzo 2024 sarò commissario nella “Casa Circondariale di Fossombrone” per partecipare alla discussione in presenza di una tesi di laurea che corona lo studio e l’impegno del Polo Universitario Penitenziario dell’Università di Urbino “Carlo Bo” attivato nel 2015 che nel corso di questi anni ha laureato un numero considerevole di studenti.

Negli ultimi anni ho svolto lezioni e seminari nel “Carcere di Fossombrone” di un insegnamento che spesso suscita l’ilarità: ha il nome di sociologia del tempo libero. Abituato agli sguardi spocchiosi di chi tra sé e sé pensa: “ci mancava solo la sociologa del tempo libero; si vede che all’Università hanno tempo da perdere …” ho accolto con sommo piacere e soddisfazione la richiesta di parlare e discutere di tempo libero dentro l’istituzione carceraria, cosa che ai più può sembrare contraddittoria e paradossale.

L’aver poi saputo che del tempo libero in carcere si è fatto argomento di conversazione e riflessione anche tra quanti non hanno partecipato alle mie lezioni, persino le guardie penitenziarie, per me è stata una bella soddisfazione. Il senso comune, facile stereotipo, ritiene che in carcere si goda di molto tempo libero, ma il tempo in carcere assume un significato e un valore diverso, ancor di più il tempo libero. Di che tipo di tempo si tratta e come viene colto il senso del tempo in carcere? Come interpretare il tempo e il tempo libero in carcere?

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Carcere

Privati della libertà, limitati nella mobilità, il tempo viene vissuto e materializzato ancor più come un bene utilitaristico, lo si sublima idealmente attraverso la percezione visiva, proiettata nella mente. Il tempo assume tutt’altra fisionomia e nel diventare algido e remoto, facilmente rischia di far sprofondare nella melanconia. In carcere, col cielo e la luce che guardati da notevole distanza, sembrano opachi e remoti, si coglie direttamente e materialmente la sofferenza generata dai torti fatti o subiti. Il senso del tempo, colorato dall’attesa, si scioglie fra la colpa e la pena. Il pensiero che insegue il tempo lo apprezza per riuscire a stabilire una netta linea di separazione col presente.

Comprendere e spiegare il tempo libero in carcere, in uno scenario frammentario e contraddittorio, diventa alquanto intricato e problematico. L’esperienza del tempo vive la sua smaterializzazione in un ascolto solitario e si manifesta nella speranza di altra vita, in un’aspirazione sia razionale che irrazionale, sostenuti dal continuare a vivere, come grazia di vita. Il posto che si assegna al tempo nella condizione carceraria, per riuscire a sopravvivere, assume un particolare significato nella prospettiva del passato.

Privati della libertà, il tempo libero assume e riveste importanza, perché senza alcun interesse ci si annulla e si svanisce. In che senso orientare il proprio tempo definendolo e qualificandolo come libero? Cosa fare del tempo, come occuparlo?

Farsi carico del tempo in carcere permette di migliorare la qualità della propria situazione e condizione esistenziale. Per evitare di rimanere esposti estremamente a lungo al nulla e nel rimanere immobili rischiare di diventare fantasmi, impastati di malinconia, in un alone di antipatia per il sole e simpatia per le ombre. Senza saper nemmeno fantasticare con le immagini ci si ritrova paralizzati dai propri stessi pensieri, impossibilitati ad agire.

L’abbandono riflessivo nel tarpare l’azione, può rendere incapaci di ridere e scherzare: si rimane cupi e tormentati. Si afferma una apatia inattiva. È il meditare, come riflessione distaccata che si propone quale valore. Si torna col pensiero al tempo in cui si era giovani e ci si pensa con rimpianto, nel ricercare l’imparare a rivivere, senza cedere al tedio della disperazione, consapevoli che solo nella libertà dei propri pensieri c’è la possibilità di scegliere e decidere. Si entra a contatto con un mondo che non si è abituati a vedere, che prevede un regime severo e una stretta sorveglianza. Assenti determinati stimoli ne prevalgono altri e bisogna darsi da fare con tenacia, senza scoraggiarsi, per occupare e passare il proprio tempo.

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Carcere (interni)

Nelle attività trattamentali si arriva a mettere in gioco la propria persona per scoprire le ricchezze interiori e orientarsi verso mondi altri. Il recupero passa attraverso il reintegrare l’individuo con sé stesso, in un percorso di consapevolezza. L’attività culturale, ricreativa e di studio aiuta a ritrovare la libertà interiore nel rivisitare la propria personalità. Dove si ha la separazione si afferma il dolore e la sofferenza e ci sono contesti che risucchiano in modo atroce, crudele. Siamo in grado di riconoscere e identificare la condizione carceraria?

Nel carcere si ha l’esperienza di un mondo del tutto delimitato e in una visione retrospettiva si ritorna agli eventi centrali, dominanti della propria vita, che tra caos e predestinazione hanno distorto tutto quanto avvenuto dopo. Il perimetro del carcere, nel definire e limitare le presenze, fa sì che anche chi vi entra di passaggio legge il mondo attraverso la lente dell’inumano. In carcere, nel ritrovarsi poveri di spazio, di luce, di quiete, di riposo e di intimità, tutti elementi che fanno e rendono familiare la casa, l’elemento tempo diventa importante. Con lo sguardo fisso, per tenersi temporalmente completamente occupati, ed evitare di rimanere chiusi in sé stessi, col rischio di arrendersi all’apatia e al fatalismo, si ricorre alla fantasia, alla ricerca di una via di salvezza, nel sognare la libertà. In carcere, il tempo contratto, sospeso, vive di un presente sconfinato, può diventare spettrale e in un vagare nelle tenebre, senza aspettarsi nulla dalla vita nuda, si va incontro al proprio destino, nel portarsi sulle spalle tragiche eredità, con effetti duraturi e devastanti uno straniero interiore che va e viene.

Interpretare il tempo libero in carcere, nel cercare di sottrarsi all’influenza ossessiva del divenire temporale è fondamentale per intenderne il suo vero significato. Allontanati dal mondo esterno e reclusi in uno spazio di costrizione la diversità dei tempi appare evidente. Il pensiero, vigile e chiaro, porta a rivedere il proprio vissuto, con gli occhi lampeggianti: una maniera molto espressiva di guardare, per ridare valore al tempo e alla vita stessa, grigia e omogenea.

Entrato per la prima volta in carcere, con lo sguardo circospetto e qualche apprensione inquieta, nel timore di vedere di fronte a me la desolazione, e un affastellarsi ostile e caotico di elementi scomposti, mi sono ritrovato, con un certo stupore, osservatore e spettatore di un mondo e di una realtà a me del tutto sconosciuta. Capace di mantenermi tranquillo e in equilibrio sono entrato in contatto con un mondo fuori del mondo, col suo alfabeto ai più incomprensibile e difficile da decifrare, nell’imparare a parlare lentamente, con un fraseggio misurato e articolato con cura.

La visione diretta, nel sentirsi emotivamente vivi, fa toccare con mano la realtà. Il carcere, nel privare delle libertà, trasforma l’essenza dell’umano, lo svuota, soprattutto quando la mente cataloga e ordina tutto. Chiuse le porte, ciò che accade all’interno del carcere, nel toccarne e viverne la quotidianità, è in larga parte ignorato al di fuori dei suoi confini.

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Carceri (Fossombrone)

In carcere, nell’accumulare aneddoti, memorie e storie, si ricorda il passato oscuro, fatto anche di azioni spietate e privi di scrupoli, si penetra così in zone oscure che possono risultare ostili e turbolente. Chiamati a fare i conti con sé stessi e decidere chi si è, nel ritrovarsi spesso in silenzio si abbraccia il proprio destino, di vita vissuta istintivamente, in tutto il suo malessere, pacchiana, pericolosa, ma anche divertente. La forza dello sguardo che arriva addosso fa girare gli occhi e senza sapere dove metterli li fa arrotolare da per tutto.

Le impronte lasciate serviranno ad accalorare la solitudine dei corpi perduti e da tanti anni sepolti, dove l’imbarazzo inespresso suona ancor più penoso. Nell’applicare giudizi di valore al passato e nell’aver conosciuto i bassifondi, in contatto con una vasta gamma di sentimenti umani, tra gli oppressi e gli oppressori, se ne evidenzia tutta la fondamentale irrazionalità.

In carcere le certezze vacillano soprattutto nei momenti di scoramento, quando le idee, i pensieri sfuggono e bisogna fare ancor di più i conti con sé stessi: l’autostima cala pericolosamente e l’angoscia che avvolge spaventa, mentre vengono i brividi e si trema di paura. Nel lasciarsi tutto alle spalle, assillati dall’incertezza, si è guidati dalla percezione e nel perlustrare l’habitat lo si osserva e categorizza, in una sensazione mista di inquietudine e apprensione.

Nel silenzio che si fa disperato e innaturale, turbati e inquieti si sta come sospesi in una sorta di terra di nessuno, ambigua e misteriosa dove l’ancora di salvezza viene dall’attività culturale e ricreativa. Un valore aggiunto che permette di recuperare valori, principi e riferimenti essenziali per sapersi orientare e affrancare dal passato a cui si rimane intimamente legati.


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