Il tempo libero come tempo della boxe

Cosa si prova inconsciamente quando ci si batte all’ultimo respiro, supremo, decisivo? Col pubblico tutto in piedi che urla e salta dalla gioia... Round dopo round, match dopo match, nel continuare a battersi la regola fondamentale è: “Colpisci senza farti colpire”.

di Massimo Stefano Russo - mercoledì 8 maggio 2024 - 855 letture

Il senso comune considera la boxe un’attività violenta, riservata ai più disagiati, ma il pugilato, da sempre considerato una preziosa palestra di vita, trasmette ideali, ha valori umani, sociali e spirituali. Al pugilato, nel concedere pari opportunità si riconosce un ruolo educativo e formativo a favore dell’inclusione e dell’integrazione.

Nella boxe, esercitata anche per crescere e migliorare la propria identità come atleta e persona, vi troviamo il talento e la sregolatezza. Sul ring si sale per mettersi in gioco.

La boxe ha radici antiche e profonde, citata persino nel Nuovo Testamento: nella Prima lettera ai Corinzi (1 Cor 9, 25-27) da San Paolo che in riferimento esplicito allo sport parla del pugilato. Paragona il proprio percorso di vita cristiana a un combattimento sportivo. L’esortazione riguarda il dover essere allenati, nel saper praticare la disciplina, temprati in ogni cosa. Cosa richiede la pratica del pugilato definita noble art per il valore artistico del gesto?

James Figg nel XVIII secolo contribuì a considerare la boxe ufficialmente uno sport, ma fu Jack Branghton nel 1743 a dettare le prime regole fondamentali del pugilato col London Prinze Ring Rule, pubblicato il 16 agosto 1763.

Ogni incontro di boxe ha una sua storia. Il pugile, chiamato a rendere conto pubblicamente dei propri limiti esterni, dà vita a un’esperienza assoluta. Saliti sul ring seminudi ci si sfila di dosso un mondo di pensare per indossarne un altro difficile da definire, nel mettere persino a rischio la propria vita. La boxe, col pubblico che diventa una sorta di voyeur, ha una natura molto intima. In un incontro di boxe, dove in pochissimi secondi può accadere di tutto, al suono rituale del gong, mentre parte il potere del Tempo, pugili e spettatori ricevono l’invito “a essere pienamente vigili”.

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Ernest Hemingway con dei guantoni da boxe nel luglio del 1944 - foto AP

Nell’incontro di boxe si assiste a un dialogo sofisticatissimo tra i pugili. Spetta ai commentatori a bordo ring assegnare allo spettacolo “non parlato” un’unità narrativa: la performance pugilistica ha molte affinità stilistiche con la danza e la musica rispetto alla narrativa che pur ne racconta. La boxe, dove tutto è voluto, pretende di superare la vita. L’avversario rappresenta una distorsione onirica di sé stesso. I propri punti forti sono i punti deboli dell’avversario. Nel proprio insuccesso si ha il trionfo dell’avversario. Il pugile ha la responsabilità delle azioni che compie e di quelle compiute contro di lui.

Il compito più difficile per un allenatore di box consiste nel convincere il pugile, soprattutto se giovane, una volta finito al tappeto, a rialzarsi e continuare il combattimento. Il pugile deve imparare in primo luogo a esercitare la sua volontà. Il tempo, con la piena consapevolezza dell’arbitro, dei secondi e degli spettatori, è l’avversario invisibile dei pugili. Un pugile “messo fuori combattimento” si trova messo fuori del Tempo. Il conteggio arbitrale segna una forma di sospensione, col pugile al tappeto che deve superare quella condizione, per sperare di continuare a muoversi e combattere nel Tempo. Cosa si prova inconsciamente quando ci si batte all’ultimo respiro, supremo, decisivo? Col pubblico tutto in piedi che urla e salta dalla gioia: senza stare più nella pelle, nel sentirsi veramente migliore.

L’incontro ha attimi supremi, sublimi ed esercita tutto il suo fascino. Un fascino dove lo “sport del ring” nel chiamare il maschio a battersi in tutta la sua mascolinità e virilità sfugge nel farsi insondabile e incomprensibile. Quale divertimento si può trovare in uno scontro frontale di corpi, nella tensione dei muscoli, tra prese soffocanti e spietate, dove i colpi tremendi arrivano a ferire terribilmente?

Nella boxe il corpo instaura una comunione profonda con sé stessi. Dialoga con il suo io-ombra. Il ring come una sorta di altare diventa uno spazio mitico; il combattimento che si ingaggia rappresenta una cerimonia primitiva.

I pugili sul ring si ritrovano come immersi in una sorta di tempo curiosamente “rallentato”. I pugili sul ring sono legati al tempo: una ripresa di tre minuti disputati con foga. I dilettanti combattono solo tre riprese: nove minuti estenuanti, con gli spettatori fuori dal ring immersi in un tempo accelerato in maniera inquietante. Il combattimento in sé è senza tempo. Si formano due dimensioni, con un pugile in piedi che sta nel tempo, rispetto all’altro steso al tappeto fuori del tempo.

L’incontro di boxe formalizza un’immagine spaventosa dell’aggressività del genere umano, ma col dolore che diventa qualcosa di diverso. Il pugile, nello studiare lo stile dell’avversario prepara in ogni dettaglio la strategia da usare nel ring, dove svilupperà i tratti caratteristici dell’animale che combatte e arriva a esasperali (J. London, 2021).

Il combattimento è frutto di un duro lavoro basato sull’allenamento, dove si impara a colpire senza animosità o cattiveria né tantomeno rabbia con un grosso dispendio di energie. L’incontro di boxe, sport fisico e diretto, richiede per questo un periodo rigoroso di allenamento. I pugili, in un’azione che procede per cerchi, in un gioco fatto di mezzi passi e centimetri, nel combattere devono avere la capacità di improvvisare e prendere decisioni su due piedi e continuare a battersi anche se ci si è fatti male. Allenarsi è duro quanto combattere nell’imparare e sferrare i pugni uno dopo l’altro.

Perché la boxe attrae nel rischiare ogni singola fibra del corpo e dello spirito? (F. X. Toole, 2021). Ha una magia che cattura e boxare, con l’arbitro, a cui spetta mantenersi neutro e obiettivo che fa da intermediario nel combattimento, diventa un esercizio mentale che ammalia. Round dopo round, match dopo match, nel continuare a battersi la regola fondamentale è: “Colpisci senza farti colpire”.


Per saperne di più

- G. Becchetti, Storie di boxe. Lacrime e sorrisi, Absolutely Free, Roma 2020.

- M. Cecchini, Muhammad Alì, Diarkos, Santarcangelo di Romagna 2020.

- A. Cravan, Grande trampoliere smarrito, Adelphi, Milano 2018.

- J. London, Un colpo da Ko – storie di boxe, a cura di M. Maffei, Nova Delphi, Roma 2021.

- F. Narducci, Le leggende della boxe, Diarkos, Santarcangelo di Romagna 2022.

- J. C. Oates, Sulla boxe, 66thand2nd, Roma 2006.

- F. X. Toole, Milion Dollar Baby e altri racconti, Mondadori, Milano 2021.

Wiki e link

- La volta che Hemingway fu battuto a boxe, con Fitzgerald da arbitro, in: Il Post

- Jack Broughton

- James Figg

- London Prize Ring Rules

- John Sholto Douglas, IX marchese di Queensberry.



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