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Pillole di mafia rossa

La vicenda di Calogero Gueli, sindaco di Campobello di Licata, diessino e già deputato regionale, arrestato giovedì per concorso esterno in associazione mafiosa ed estorsione. Un articolo di Otello Piccoli (Aprileonline.info)

di Redazione - mercoledì 28 giugno 2006 - 5313 letture

Sono ormai mesi che alcuni lettori commentano gli articoli sulla Sicilia con frasi fatte in pieno stile berlusconiano come “in Sicilia la mafia è rossa”, o “perdete le elezioni e volete vincerle in tribunale”, o ancora “vi accanite perché la sinistra sa fare solo questo”. Ora, senza voler dimostrare nulla, e senza voler dare soddisfazione a nessuno, racconteremo di Calogero Gueli, sindaco di Campobello di Licata, diessino già deputato regionale, che giovedì è stato arrestato su ordinanza del gip Antonella Consiglio, su richiesta dei procuratori Palma, Asaro, De Robbio, e Fasanelli che gli contestano i reati di concorso esterno in associazione mafiosa ed estorsione. Si conclude così il regno ormai trentennale del paese in provincia di Agrigento.

Secondo le accuse rivoltegli dai magistrati, Gueli avrebbe affidato appalti pubblici di opere e servizi ad uomini di Cosa Nostra, avrebbe garantito loro il rilascio di concessioni edilizie, e avrebbe assegnato aree a cooperative che poi affidavano la realizzazione degli edifici ad imprese mafiose.

In cambio gli uomini d’onore gli garantivano - secondo l’ordinanza di custodia cautelare - “protezione ed opportunità di lavoro per ditte a lui riconducibili e sostegno elettorale nelle elezioni comunali del 1997 e del 2002”.

Ora, come ci siamo spesso sforzati di chiarire, il problema in Sicilia non è essere di destra o di sinistra. Non sono idee diverse a confronto. La distinzione qui è se si sta da una parte, quella delle persone oneste, quella di chi non scende a compromessi, o dall’altra, quella di Cosa Nostra e del suo ultrasecolare dominio. Perché il problema vero è che in questa regione il potere è gestito, quasi sempre, con le stesse logiche. Il favore, il ricatto, le promesse, sono alla base del gioco di governo. E non è solo una questione di reati commessi, ma di etica della politica.

In un bel libro di uno scrittore catanese, Alfio Caruso, che si intitola “Perché non possiamo non dirci mafiosi” viene identificato il cosiddetto PUS, il partito unico siciliano, ovvero un grande contenitore politico dentro il quale convivono tutti allegramente, i più ed i meno potenti, e tutti giocano allo stesso gioco con le stesse regole. Certo, chi gestisce il potere sul serio in questa regione, i democristiani, e da un decennio anche Forza Italia ed Alleanza Nazionale, ha le mani dappertutto, mentre l’opposizione da sempre vive sotto il tavolo e raccoglie le briciole.

Indimenticabile la difesa di Cuffaro sul caso Aiello, quando il presidente dichiarò che un autorevole esponente diessino aveva chiesto a lui una raccomandazione per un ricovero della moglie proprio in una delle cliniche adesso sotto sequestro.

Insomma, in Sicilia siamo all’anno zero. E se la questione non è, come dicevamo, solo giudiziaria, ma pienamente politica, mentre attendiamo con serenità e rispetto le sentenze della magistratura, il problema dobbiamo porcelo. Torniamo al nostro amato Vasavasa. Di lui non sappiamo ancora se ha commesso reati. Abbiamo però le prove evidenti dei suoi continui e consapevoli contatti con uomini di Cosa Nostra.

Allora, si deve aspettare il responso di un tribunale? O si può affermare che se è certo che un politico ha rapporti coi mafiosi è altrettanto certo che sia indegno di rappresentare il proprio popolo?

Perché se su questo punto non siamo d’accordo, se fosse lecito, cioè, che il Presidente della Regione frequenti, discuta, intrecci rapporti con “uomini d’onore”, perché mai il piccolo commerciante dovrebbe rifiutarsi di pagare il pizzo, perché l’imprenditore dovrebbe non cedere al ricatto, perché il cittadino indifeso dovrebbe denunciare, protestare, indignarsi?

E questo vale per Cuffaro come per il diessino Crisafulli, filmato a colloquio con un boss, e poi ritenuto estraneo all’inchiesta. Ora l’archiviazione ci rassicura sull’inesistenza del reato, ma non ci toglie l’inquietudine di come e con chi viene gestito il potere in Sicilia.

L’arresto di Gueli dunque - di cui dobbiamo sempre presumere l’innocenza fino alla fine del processo, esattamente come per tutti gli altri imputati - ci da l’ennesima occasione, stavolta senza il rischio di apparire strumentali, per porre sempre lo stesso problema. Finché non ci sarà tutta un’altra impostazione della politica la Sicilia non sarà mai libera.

Ed è per questo che, bocciando Rita Borsellino, i siciliani hanno perso l’occasione di cambiare davvero una volta per tutte.


L’articolo di Otello Piccoli, "A grande richiesta, pillole di mafia rossa" è stato pubblicato sul N° 190 del 24/06/2006 di www.aprileonline.info



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Pillole di mafia rossa
17 gennaio 2007, di : Capo Passero

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