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Per una microfisica del capitale

La solitudine non è un evento fatale, è l’effetto delle politiche economiche del capitalismo nella sua fase assoluta-cannibalica. Ricostruire genealogie e dinamiche delle solitudini al tempo del capitalismo è uno dei modi per uscire dalla caverna oscura della finanza.

di Salvatore A. Bravo - mercoledì 1 maggio 2024 - 366 letture

Macchine desideranti

Il capitale si svela nei dettagli della vita quotidiana. Non è solo profitto, ma produce un modo di vivere, si tratta di una pianificazione del quotidiano con valenze politiche ed economiche. La solitudine dell’individualismo è il sostegno più solido all’economia di profitto. Uomini e donne soli consumano non solo per consolarsi, ma anche per “sentire di esserci nella lotta quotidiana” tra le solitudini, e specialmente, le scelte improntate alla “singolarità radicale” sono valutate “libertà irrinunciabili”.

Tutto è nel segno della individualità.

Il modo di produzione capitalistico non produce solo sfruttamento e merci, quindi, è una visione del mondo tentacolare che penetra nelle vite delle soggettività assoggettandole alla forma mentis individualista. Si è addestrati alla singolarità e la si gratifica con l’ipertrofia dei desideri che coltivano un senso infantile di onnipotenza.

L’in-dividuum è il risultato finale della penetrazione lenta e inesorabile del nichilismo passivo fondamento del capitalismo. Tutti i desideri sono leciti, purché producono effetti economici. Il PIL è il silenzioso imperatore di ogni vita.

Non si nasce individui, lo si diventa mediante un processo di desocializzazione. Si nasce comunitari, il capitale ci trasforma in atomi vaganti-migranti. Si migra da un’area geografica ad un’altra come da un desiderio al successivo. Il capitale separa, per cui l’individuo è ciò che resta dopo un lungo percorso di disintegrazione delle unità: popoli e comunità evaporano dinanzi alla forza distruttrice del liberismo individualista. A tamburo battente i media e le televisioni di Stato hanno decretato, al momento, la morte della prassi comunitaria, al suo posto è rimasto l’individuo astratto, sciolto da ogni vincolo comunitario ed etico; l’individuo è il residuo finale di tale operazione di erosione delle comunità. Il capitalismo assoluto non è la potenza che sovrasta le soggettività, è un automatismo infiltrante che rimodella le individualità con gradualità tenace e ossessiva.

L’individuo astratto senza legami famigliari e comunitari reali e stabili finisce con l’essere parlato dal capitale. In questa corsa verso il dissolvimento assoluto non resta che l’impotenza della politica e la sussunzione reale. Il soggetto solitario, reso destrutturato dal silenzio della ragione critica, è solo macchina desiderante che ascolta, percepisce e vuole solo i suoi desideri. Il tipo antropologico che consente al capitalismo di dominare incrostato è costituito da apparati anatomici che percepiscono il mondo in funzione desiderante-consumante. Il capitale è uno stato interiore, non è fuori dal soggetto, ma lo governa installandosi nei suoi processi deliberativi. L’io ha dunque valenza puramente giuridica e formale, poiché molto spesso siamo dinanzi alla ripetizione non mediata dalla ragione critica dei desideri imposti in modo suadente. La seduzione è il principio emotivo dell’individualità. Il seduttore è il sedotto dal sistema capitale.

L’infantilismo di massa risultato finale di questo processo di destabilizzazione dell’unità sostanziale e razionale del soggetto si connota per il desiderio illimitato. La realtà con i suoi vincoli razionali e reali si oblia, non ci sono vincoli etici ed ontologici, ma solo desideri al punto che la realtà coincide con il desiderio. Siamo dinanzi al “pensiero magico” generalizzato, ciò che si desidera in un dato momento deve diventare “realtà”. I vincoli razionali e oggettivi sono così non solo non pensati, ma specialmente vi è una generale avversione alla razionalità critica. Personalità destrutturate e infantili non vogliono e non desiderano critiche, il loro obiettivo è la “conferma” in stile like sui social.

La grande vittoria del modo di produzione capitalistico nella sua fase apicale è la riduzione del pensiero ad espressione vocale dei desideri e a calcolo delle azioni, a stretto giro, per realizzarli. Se poi i desideri non sono realizzabili, la frustrazione è mitigata dall’intervento terapeutico di psicologi e di supporti per sostenere l’infelice.

Microfisica del capitale

Una società di vittime desideranti si squaderna ogni giorno. In questo clima di violenza, in cui le vittime degli automatismi non consapevoli sono le soggettività ridotte a macchine desideranti, per comprendere “il capitale” è opportuno analizzare la realtà secondo più direzioni e ricongiungerle: la finanza e il quotidiano. L’esistenza giornaliera ad un’osservazione attenta ci svela la violenza che produce la rottura di ogni vincolo comunitario e razionale. La solitudine a cui è costretta l’umanità produce abitudini anomale dietro le quali, vi è un inconsapevole desiderio di comunità e di legami, a cui si risponde in modo irrazionale. Capita sempre più spesso di incontrare individui con gatto al guinzaglio e cane in passeggino. Naturalmente nessuno osa profferire parola.

Il gatto non è animale da guinzaglio, e il cane anche se di piccola taglia, non è animale da passeggino. Considerazioni banali che nel caos dell’irrazionale non sono oggetto di giudizio. La solitudine non consente alla ragione razionale ed emotiva di configurarsi. Il naturale desiderio di compagnia normalmente negato dalla competizione e dal delirio individualista conduce ad una narcisistica solitudine. Si percepisce il vuoto comunitario, ma non lo si concettualizza; l’intero sistema lo impedisce. Non si è più toccati emotivamente da nulla, ma si è perennemente esposti alla tragica ricerca di attenzioni.

La razionalità per trasformarsi in pensiero capace di cogliere i vincoli naturali delle alterità necessita della buona abitudine a disporsi all’ascolto della parola altrui come al verificare le differenze naturali tra le specie. In questo clima di irrazionalità crescente il desiderio personale assimila l’alterità con innocenza, in quanto nelle persone che praticano e sviluppano tali abitudini non c’è nessun desiderio di recare male, anzi si è mossi da sincera affettività. Non c’è nessuna volontà al male, ma è la solitudine a rendere taluni comportamenti reali. Il sistema applaude alle soluzioni solitarie. Dove non c’è relazione tra pari non vi è politica.

L’animale da compagnia è umanizzato dalla solitudine. Il vuoto ontologico è colmato non solo dalle cose ma anche da animali resi creature antropomorfe.

L’affetto senza il dono dei vincoli rischia di conseguenza di diventare una forma di violenza non riconosciuta. Le osservazioni potrebbero estendersi: sempre più spesso gli alberi d’ulivo che donano l’olio nutrito dalla terra e dal suo humus sono divenuti alberi ornamentali, sono costretti a vivere in spazi risicati, in vasi che mutilano la solare e terrosa vitalità dell’albero.

Perdono il loro frutto che si perde sulla terra sterile di mattoni e asfalto. Le olive che cadono dal corpo dell’albero offeso e umiliato sembrano le nere lacrime di una pianta che cerca la terra profonda, ed invece è costretta a vivere in modo innaturale e ad essere oggetto di sguardi e giudizi estetici. Si guarda alla forma ma nulla è compreso della sua storia millenaria che lega la terra all’uomo mediante il suo frutto prezioso. Anche in questo caso si è negato un vincolo. La solitudine dell’ulivo in vaso, a volte sono piante monumentali, è la solitudine della terra sempre meno lavorata e sempre più abbandonata o sfruttata dalle multinazionali. Senza cultura della terra la vita decade a “sradicamento” senza vincoli oggettivi.

Per trarre energia e motivazione per lottare contro il capitalismo dovremmo rimparare a guardare il mondo per far emergere la devastazione che si cela dietro la ricchezza apparente. Riportare i fenomeni che giungono a noi alla Totalità da cui emegono, è uno dei modi, forse, il più rilevante per comprendere quanto il capitale incide in modo mortifero anche nei gesti più semplici e immediati. Ciò che ci appare ovvio disvela verità profonde. Nella solitudine offesa di tanta natura curvata ai desideri indotti degli umani è riflessa la nostra terribile e depressiva realtà quotidiana, la quale è senza pietà. Antropomorfizzare la natura significa occultarla e renderla solo mezzo.

Solitudine “capitale”

L’individuo è politicamente muto e passivo, perché è decontestualizzato rispetto alla comunità, è uno sradicato disperatamente alla ricerca di un’ancora alla sua opulenta solitudine. L’unica partecipazione consentita è la votazione per escludere i concorrenti dei reality. La partecipazione alla vita politica e sociale è sostituita con le votazioni finalizzate ad escludere; paideutica perversa nella quale si insegna la naturalità dell’esclusione su motivazioni emotive. La passività è mascherata con “gli interventi televisivi”. Essa è sostenuta dalla solitudine; il sistema offre parvenze di socialità. La democrazia è resa perversa prassi della passività nella società dello spettacolo. Il gesto banale del voto dello spettatore dev’essere concettualizzato con pubblica critica razionale, in modo da riattivare le energie razionali sopite dalla lunga passività.

La solitudine nell’abbondanza non è per tutti: una una parte della classe media che si inabissa verso la precarietà vive consumando gli ultimi splendori del passato. La decontestualizzazione è il paradigma con cui l’uomo occidentale legge la realtà. È un analfabeta emotivo. La solitudine è la barriera di fango da trascendere, perché “la dimensione del politico” torni ad essere protagonista. “Barriera di fango”, in quanto essa è sempre ad un passo dal suo abbattimento. Infelicità e frustrazioni sono le fessure da cui comprendere l’irrazionale violenza del tempo all’insegna del capitale. Nulla è perduto, l’essere umano può donarci e donarsi sorprese “politicamente scorrette”. Ci si disperde per ritrovarsi, lo stato di reificazione non è un destino predeterminato.

Anche la natura può parlarci, se ci disponiamo ad accoglierla nella sua verità, poiché ogni contatto presuppone una soglia di rispetto. Superata la soglia l’altro diviene solo uno strumento negato nella sua natura. Per uscire dall’irrazionalità che oblia il senso etico è necessario reimparare a guardare ponendo la rappresentazione in contatto con il logos. Da tale scandalo etico e politico può iniziare l’esodo dalle microviolenze che scorrono parallele alle macro per convergere tutte verso il deserto che avanza inesorabile e trasforma la vita e il pensiero in sabbia informe. Dove vi è vita, vi è la forma che presuppone il fine oggettivo da rispettare, tutto questo in questo momento storico sembra tragicamente perso.

Il presente non è tutto, per cui dobbiamo ridisporre la ragione e lo sguardo verso la realtà e ristabilire il debito contatto tra la ragione e la realtà. Alla macrofisica del capitale è necessario aggiungere, affinchè l’analisi sia completa, la microfisica con cui rilevare la verità del capitale. A tutti spetta il grande compito di non tacere e di essere veicolo di una nuova coscienza in un mondo senza cuore e senza ragione. Nel momento attuale diventa non rimandabile la radicalità della critica, la quale deve poter permettere l’acquisizione di categorie materiali tali che consentono di riportare le manifestazioni fenomeniche naturalizzate alla sua verità storica. Gesti, parole e nuove abitudini devono essere compresi e concettualizzati riportandoli alla Totalità – Totalitarismo del capitalismo. La libertà nel cono d’ombra del capitalismo dev’essere rivelata nella sua verità: asservimento alle logiche dei consumi. La critica radicale è la precondizione per preparare l’alternativa.

La barbarie è tra di noi, solo l’elaborazione di un processo alternativo potrà salvarci dallo schianto finale. Dobbiamo riprenderci la parola e farci doni di concetto per riappropriarci della natura politica e comunitaria dell’essere umano. Il dono della parola-concetto è il primo passo per scacciare la “chiacchiera” del capitale con i suoi effetti quotidiani. Il lungo lavoro dello spirito che ci attende per riportare l’umanesimo comunista nel quotidiano non deve disdegnare la critica radicale, la quale deve estendere la sua capacità d’analisi nel macro come nel micro palesando la relazione tra le ferree leggi della finanza e le piccole e grandi tragedie di ogni giorno.

La solitudine non è un evento fatale, è l’effetto delle politiche economiche del capitalismo nella sua fase assoluta-cannibalica. Ricostruire genealogie e dinamiche delle solitudini al tempo del capitalismo è uno dei modi per uscire dalla caverna oscura della finanza.


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