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Il 25 aprile della discordia

Fedeltà al 25 aprire significa discernere i nemici del nostro tempo. Il sospetto è che intellettuali e politici che dichiarano il loro antifascismo cercano un facile consenso: la lotta se diventa solo ricordo è storia monumentale, è una visita nel museo della storia.

di Salvatore A. Bravo - mercoledì 24 aprile 2024 - 645 letture

Mentre si consuma un altro 25 aprile non si può non constatare il servile provincialismo con cui la festa della liberazione è utilizzata per tacitare ancora una volta il paese reale. La nazione reale è oppressa da precariato, da tempi disumani per il pensionamento e dal taglio sanguinoso dei diritti sociali. Si è sempre giovani, per cui si può lavorare a “tempo indeterminato”, quando il lavoro c’è. La schiavitù salariata è per sempre. L’età avanzata e le misure di sicurezze sempre più competitive provocano morti sul lavoro e un senso di infelice reificazione generale.

Nell’Italia che discute di antifascismo si muore per vivere e si resta sempre più soli, se poi l’esistenza diviene insopportabile per il dolore fisico e psichico si fa strada il diritto alla morte, ma è una libera scelta. I diritti sociali sono avversati e combattuti, mentre la cultura della morte avanza, essa è un ottimo espediente per evitare spese sociali improduttive. Il totalitarismo liberale con i suoi paradigmi crematistici e individualistici può continuare ad operare e a rendere la nazione un’azienda, in cui è il censo a determinare la posizione che si occupa nell’azienda Italia, la quale non è una patria o una casa comune, è solo un luogo anonimo dove il profitto impera.

La censura avanza in ogni campo e la verità è diventata selvaggina da abbattere. In questa condizione si discute di fascismo e di antifascismo. La sinistra che ha rimosso la sua storia fa appello ai suoi militanti per allertarli contro i fascisti. La fuffa mediatica e politica (è un unico corpo con un’unica anima) continua a tamburo battente con le sue urla di circostanza a denunciare i fascisti.

Totalitarismo liberista

Il totalitarismo liberista si bea dell’inutile fracasso e come un acido può continuare a distruggere servizi sociali e cultura per trasformare il popolo in plebe, sempre sul limite della povertà e sempre più terrorizzato dalla precarietà. Chi urla contro il fascismo dovrebbe guardare i nostri giovani, consumano l’ultimo grasso che cola dalla tavola dei genitori e dei nonni. Sono stati resi sterili dall’addestramento quotidiano all’angloglobalismo senza alternative.

Si può lavorare ed essere poveri. Il liberismo colpevolizza i precari, in quanto sono colpevoli di non essere sufficientemente scaltri per far quattrini. Ogni velo etico è caduto, lo Stato asservito alle oligarchie economiche penetra in ogni istituzione e pone le condizioni, affinché il mercato coincida con la vita. La nuova religione forma le nuove generazioni ad essere consumatori seriali, sono le infelici protesi consumanti del mercato dell’osceno. In questo clima si urla contro i fascisti. Si dovrebbe chiedere a costoro se a procurare tanto nocumento alla nazione siano i fascisti o il capitalismo globale. Da tale risposta consegue che il fascismo è morto nel 1945, possono esserci i nostalgici, ma il nemico del popolo e della nazione è l’ordoliberismo europeista nichilista e ateo. Sono atei, perché credono solo nella religione del profitto; la verità è niente per la razza padrona/ladrona come l’umanità umiliata e offesa.

La chiarezza lessicale è fondamentale per la politica, non si può chiamare “fascismo” ogni autorità a prescindere dal tempo storico, dal modo di produzione e dal dispositivo operativo che mette in campo. Coloro che combatterono contro il fascismo, non lottarono contro un generico ed eterno potere, ma rovesciarono la cricca mussoliniana e le classi di cui erano espressione.

Se il 25 aprile ha un senso, esso è nel rammentarci che ogni epoca ha le sue spinte antisociali e antipopolari. Nei nostri giorni di guerra curvati alla religione del mercato il nemico è il capitalismo nella forma liberista. Esso non è più contenuto nei suoi effetti deleteri da nessuna forza critica, poiché ha divorato tutto, per cui accapigliarsi sul fascismo che non c’è, è vittoria e vita per il mercato, in quanto è sottratto alla critica e resta al riparo ben celato. Può presentarsi, in tal modo, come “il salvifico sistema che difende la democrazia”.

25 aprile

Riprendiamoci il 25 aprile per capire chi è il nemico vero e reale e favorire una nuova coscienza critica nelle classi subalterne, in modo da progettare una nuova prospettiva storica, ma se restiamo inchiodati al passato, il 25 aprile sarà una stanca e sterile liturgia. Oggi il mercato ha neutralizzato la lotta di classe sostituendola con la stratificazione omologante dei consumatori.

L’uguaglianza è stata sostituita dall’egualitarismo. Si è tutti consumatori e non più persone e cittadini. Se vogliamo disporci in continuità con gli antifascisti che donarono il loro tempo, il loro impegno e spesso la vita, dobbiamo essere capaci di individuare il nemico del nostro presente e lottare per la democrazia e la Costituzione. Dobbiamo tornare ad essere persone capaci di sentire e ascoltare la realtà al fine di renderla razionale. Senza la sincronia storica non può esservi progetto politico e libertà. Essere cittadini del nostro tempo che ripensano il passato per trarne energia etica per il presente, questo è il senso profondo del 25 aprile.

Le parole di Bertold Brecht ci ricordano che il lavoro non è povertà dell’anima ed economica e di questo tema non si parla mai in questo giorno che festeggia la liberazione. Dalla qualità del lavoro si deduce la qualità della democrazia, coloro che rovesciarono il fascismo lottarono per il lavoro datore di vita e di pensiero come dev’essere in una democrazia autentica:

Dici:
per noi va male. Il buio
cresce. Le forze scemano.
Dopo che si è lavorato tanti anni
noi siamo ora in una condizione piú difficile di quando si era
appena cominciato.
E il nemico ci sta innanzi piú potente che mai.
Sembra gli siano cresciute le forze. Ha preso una apparenza
invincibile.
E noi abbiamo commesso degli errori, non si può negarlo.
Siamo sempre di meno. Le nostre
parole d’ordine sono confuse. Una parte delle nostre parole
le ha stravolte il nemico fino a renderle irriconoscibili.
Che cosa è errato ora, falso, di quel che abbiamo detto?
Qualcosa o tutto? Su chi
contiamo ancora? Siamo dei sopravvissuti, respinti
via dalla viva corrente? Resteremo indietro, senza
comprendere piú nessuno e da nessuno compresi?
O dovremo contare sulla buona sorte?
Questo chiedi. Non aspettarti
nessuna risposta oltre la tua
”.

Al 25 aprile mediatico e alla rassicurante retorica dell’antifascismo in assenza di fascismo opponiamo un sano senso storico di lotta. Fedeltà al 25 aprire significa discernere i nemici del nostro tempo. Il sospetto è che intellettuali e politici che dichiarano il loro antifascismo cercano un facile consenso, in quanto la lotta se diventa solo ricordo è storia monumentale, è una visita nel museo della storia. A tale orientamento dobbiamo opporre un 25 aprile silenzioso e impegnato che possa gradualmente ricostruire la coscienza nazionale.

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