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Per una democrazia dell’autogoverno

Idee per riaggregare una società stretta fra deriva elitaria e falsa partecipazione

di Emanuele G. - martedì 23 agosto 2011 - 3318 letture

Da mesi su queste pagine insisto sul declino dello stato centrale così come costruito a partire dalla Rivoluzione Francese in poi. E’ un entità sottoposta a tre tipologie di sollecitazioni: globalizzazione, burocrazia e localismo. Se vogliamo essere più espliciti. La globalizzazione attiene a un feedback esterno allo stato centrale. La burocrazia, invece, presuppone una sollecitazione di carattere meramente interno. Mentre il localismo si riferisce a criticità sorte sul territorio. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Notiamo quanta fatica faccia lo stato centrale a governare un paese poiché le tre sollecitazioni riportate sopra ne compromettono l’autorevolezza. Autorevolezza che costituisce la fonte del proprio potere e quindi della sua capacità ad imporsi.

In modo del tutto consequenziale e speculare anche la società sta soffrendo fenomeni di notevole disaggregazione. A tal punto che iniziano a manifestarsi situazione tipiche della disaggregazione sociale. E’ ovvio che uno stato centrale forte è presupposto imprescindibile per una società stabile. E viceversa. Io reputo che le cause di quanto stiamo assistendo in seno alla società siano da ricercare nelle sempre più profonde diseguaglianze in essere e nel mito della partecipazione democratica.

Uno stato viepiù indebolito e una società votata al leit-motiv del successo sono fattori di estrema disaggregazione del tessuto sociale di una nazione. Nel corso degli anni – infatti – abbiamo assistito all’emersione di alcune dinamiche piuttosto pericolose.

Società elitaria. La più pericolosa delle quali è senza dubbio la costruzione di un modello di società elitario. Cioè chi ha realmente il potere ha diritto di accesso alla ricchezza e di conseguenza è capace di farsi rappresentare in seno alle istituzioni. Un modello di società così costruito non può certamente significare uguaglianza di tutti i cittadini. Il gioco sociale è aperto solo a chi ha certi requisiti. Gli altri ne sono espulsi. In modi, anche, violenti… Quindi ecco aumentare le diseguaglianze e le criticità contribuendo a modellare un assetto sociale del tutto instabile e pernicioso per la democrazia.

Ancora.

Democrazia partecipativa. Siamo stati bombardati dal mito della partecipazione dei cittadini a una sedicente vita democratica del paese. Che errore! Che falsità! In cosa consisterebbe tale presunta democrazia partecipativa? Organizzare referendum, forum tematici, consulte e altro ancora. Strumenti creati dalla politica per dare un sembiante di democrazia alle istituzioni politiche. In realtà la politica li ha considerati alla stregua di giocattoli da dare in pasto alla cittadinanza affamata di partecipazione. Mentre in realtà sono diventati con il tempo nuove armi in mano al ceto politico per aumentare il livello di presidio della società. Si sono – essenzialmente - trasformati nell’ennesimo caso di moltiplicazione di poltrone e di barriera artificiale fra istituzioni e società.

Una società così congeniata fa paura perché è costruita su un uso strumentale delle regole democratica e su una loro applicazione formalistica. Pertanto, è venuto il momento di pensare a un nuovo modello di riaggregazione della società, innanzitutto, e di costruzione di nuovo modello di stato. Il livello che più interessa è quello locale o territoriale. Per il semplice motivo che è in tale spazio che i cittadini possono elaborare innovazioni decisive. In più c’è da considerare il fatto che trattasi del livello più vicino alla società stessa.

Democrazia dell’autogoverno. Che modello – dunque – abbiamo in mente? L’innovazione strategica è quella di avere una democrazia dell’autogoverno. Ma attenzione. Non è per rinverdire i fasti della Comune parigina del 1870. L’autogoverno va inteso in un modo ben diverso. Significa un modello di democrazia localistica dove le comunità locali programmano le azioni da compiere per soddisfare le esigenze in comune e del territorio. A differenza del modello feudale, il territorio non si chiude in sé. Bensì dialoga con altre realtà facenti parte della nazione, con lo stato e con l’estero. Al fine di rendere fattivo tale impostazione sarà necessario abolire quella pletora di istituzioni intermedie che alla fine hanno dequalificato la qualità democratica del nostro paese. Lo stato centrale e le sue diramazioni territoriali saranno considerate anti-storiche e sostituite, di conseguenza, da una nuova architrave ben più agile e meno complessa. La democrazia dell’autogoverno nasce da tre principi di fondo: comitati civici, credito diffuso e rete delle città invisibili.

Comitati civici. Costituiranno il nucleo fondamentale della democrazia dell’autogoverno e sostituiranno i comuni. Il loro modello di riferimento è l’assemblea delle popolazioni barbariche dell’Alto Medio Evo. Saranno costituiti dai cittadini che vogliono contribuire al bene della comunità locale e del territorio. Il metodo di scelta non sarà quello politico, oramai sentito come desueto e non più funzionale a rispondere alle esigenze strategiche. Bisognerà, ritengo, recuperare il concetto dei migliori cittadini che a mio parere è quello che garantisce onestà e competenza. Il comitato civico avrà due livelli operativi: servizi e programmazione. I servizi avranno il compito di mettere in pratica la programmazione. Quest’ultima – al contrario – deciderà le più opportune mosse per assicurare lo sviluppo del proprio territorio di pertinenza. Le cariche elettive non saranno rinnovabili al fine di assicurare che tutti siano realmente coinvolti nel processo teso ad assicurare il bene sociale. Sarà opportune pensare a provvedimenti aventi lo scopo di fronteggiare il manifestarsi di corruttele e clientelismi vari poiché scopo essenziale della democrazia dell’autogoverno è recuperare un rapporto profondamente deteriorato fra chi amministra e chi è amministrato.

Credito diffuso. Con quali risorse le comunità locali si governeranno e porranno in essere la programmazione di sviluppo? Il punto primo è rappresentato dal fatto che tutte le imposte e le tasse raccolte sul territorio non prenderanno la via del pubblico erario centrale. Chi paga le tasse – in sintesi – se le tiene per gli utilizzi più appropriati. Soltanto una minima percentuale sarà destinata allo stato centrale sotto veste di imposta di unità nazionale. Un altro livello di reperimento di risorse potrà essere rappresentato da speciali obbligazioni emesse da istituti di credito e dagli stessi comitati civici con l’obiettivo di raccogliere fondi per le necessità del circondario. Un’ulteriore modalità può essere individuata nella creazione di fondi pensione che non serviranno a finanziare attività economiche in capo al mondo, ma a rispondere alle necessità del territorio dove si vive. Un’idea da prendere in considerazione potrebbe essere quella di emettere certificati verdi territoriali che comprovino determinate qualità del medesimo al fine di attirare investimenti allogeni. Come potete notare le possibilità per trovare le risorse sufficienti ci sono. Si tratta di sedersi attorno a un tavolo e ponderare ogni possibile modalità.

Rete delle città invisibili. In uno stato dove le strutture portanti e le dinamiche fra le stesse sono un passo avanti rispetto al passato è fortemente ipotizzabile che si creino nuove aggregazioni territoriali. Aggregazioni che partono anche dal non rispetto della contiguità territoriale. Mi spiego. Una comunità locale avrà piena facoltà di stringere un accordo con una comunità appartenente ad un’altra zona del nostro paese. Questo per condividere iniziative in comune ed assicurare una migliore governabilità. Ecco allora formarsi una rete di città invisibili che costituiranno la novella architrave su cui poggerà l’Italia del futuro. Invisibili perché il “quid” di unione fra queste città non saranno le tipiche infrastrutture appartenenti all’età industriale. Esse saranno, piuttosto, i valori, un condiviso afflato cooperativistico, la comunicazione e un sentire comune. Si potranno – per paradosso – creare aggregati regionali fra comunità locali non adiacenti. Un network, per l’appunto, fitto come le comunicazioni telematiche di oggi e le reti di comunanza territoriali del Medio Evo.

Ora più che mai è davvero il momento per noi cittadini di appropriarci del nostro presente e futuro al fine di ricreare quelle condizioni per uno stato fondato su principi di unità e non di disunità. Uno stato capace di assicurare la piena democrazia ai propri cittadini e di essere soggetto dinamico in campo internazionale. La storia aveva creato un molosso denominato “stato centrale”. Ci stava per portare alla rovina. Dobbiamo avere la forza di abbatterlo per costruire un’entità espressione delle nostre sensibilità e bisogni. Senza delegare nulla a nessun e far finta di partecipare.


- Ci sono 2 contributi al forum. - Policy sui Forum -
Per una democrazia dell’autogoverno
24 agosto 2011, di : Armando Anzaldo

Questo articolo mi lascia molto perplesso e mi suggerisce concetti come NEOFEUDALESIMO oppure NEO-POLIS.Cmq non condivido il tuo volere ridurre lo stato centrale a valore quasi zero.Un dramma nostro italiano è stato quello di essere arrivati tardi a uno stato centrale ma non accentratore.Infine,la crisi economica mondiale di oggi chiede ancora più centralismo,secondo me,altro che localismi pseudoleghisti. Cordialmente Armando Anzaldo
    Per una democrazia dell’autogoverno
    30 agosto 2011, di : E. Gentile

    Caro Armando, Il mio articolo nasce da due esigenze: 1. Come ovviare a stati sempre più deboli? & 2. Come assicurare governabilità alle comunità locali. Sicuramente il pensiero NeoFeudale ha giocato una sua certa importanza nella redazione dell’articolo. Ma non c’è nulla che richiami l’esperienza leghista. Infatti, leggiti in maniera più approfondita il paragrafo riguardante "La rete delle Città Invisibili". Rete che si basa sulla solidarietà fra territori e non sugli egoismi propugnati dalla Lega. Vedi...sono in atto dei cambiamenti e per evitare il precipitare della siutazione è meglio pensarci prima che subirli dopo. Lo stato rimarrà sempre centrale, ma con un’impostazione diversa.