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Padellaro: il giornalismo non sta benissimo, ma neanche male

A colloquio con Antonio Padellaro, direttore del quotidiano “L’Unità”. Parliamo dello stato dell’informazione in Italia, di libertà di stampa, di agenda setting, opinione pubblica, e di mafie

di Tano Rizza - sabato 1 settembre 2007 - 2519 letture

A colloquio con Antonio Padellaro, direttore del quotidiano “L’Unità”. Parliamo dello stato dell’informazione in Italia, di libertà di stampa, di agenda setting, opinione pubblica, e di mafie

La politica occupa molto spazio nei giornali. Quanto questo influisce nell’allontanamento dei giovani dalla lettura dei quotidiani?

Penso che i giovani siano molto interessarti alle questioni politiche, non tanto alle questioni interne dei partiti che sono molto noiose, sono invece interessati alle proposte della politica, alle idee, alla sua storia. La politica è una delle attività umane più belle, quando non viene svalutata a commercio delle poltrone. Se la politica viene presentata con l’immagine giusta, d’idealità, di valori veri e reali, di soluzioni dei problemi delle persone i giovani si avvicinano, è inevitabile, si appassionano.

Quanto la pressione politica incide nella libertà di stampa dei maggiori quotidiani italiani?

I giornalisti hanno un solo dovere, quello di tenere la schiena dritta. Le pressioni ci sono sempre in tutte le attività umane, i tentativi di condizionamento nei giornali non sfuggono a questa regola. Direttori e giornalisti sicuri di se mantengono la schiena dritta, come forma di rispetto anche nei confronti dei propri lettori. Ci sono molti giornali in Italia che fanno questo lavoro, e lo fanno egregiamente. Io trovo che nel nostro paese ci sia piena libertà di stampa, una pluralità di opinione incredibile. Basta vedere il numero di quotidiani che c’è nella sinistra italiana, Liberazione, Il Manifesto, L’Unità, Europa, Il Riformista, hanno diversi modi di vedere la realtà, ognuno esprime le sue idee, quindi non ci sono problemi per la libertà di stampa. Poi chi si fa condizionale peggio per lui.

Quanto l’agenda setting, il rincorrersi tra i giornali per coprire i fatti del giorno, influisce nella formazione dell’opinione pubblica?

Si, questo avviene. I giornali vivono in un regime di concorrenza, di competizione, poi hanno una regola economica fissa. É l’unico prodotto che si presenta con lo stesso prezzo, in genere qualsiasi scaffalatura di qualsiasi supermercato offre lo stesso prodotto a prezzi differenti. Qui, invece, abbiamo giornali che hanno una dimensione e una forza editoriale forte, come Repubblica e il Corriere, che hanno lo stesso prezzo di giornali più piccoli che non possono esprimere la stessa potenza di fuoco. Il prezzo uniforme crea una scrematura, una selezione, è chiaro che il lettore va a cercare il giornale più forte. Questa competizione c’è anche nel notiziario, quindi il rincorrersi significa dare al lettore sempre qualcosa in più rispetto agli altri o a togliere dei buchi che eventualmente sono stati presi. Poi a saperli leggere i giornali, ogni giornale offre una sua lettura dei fatti sempre originale rispetto agli altri.

Il regime concorrenziale influisce sull’approfondimento. E’ per questo che il giornalismo d’inchiesta trova poco spazio nelle pagine dei giornali?

Le inchieste ci sono, come quelli di Gatti per l’Espresso. É un’eccezione, si, lui lo ha fatto con grande coraggio e grande capacità professionale. Però io vedo che in tutti i giornali ci sono delle inchieste, non trovo tutta questa grande mancanza di inchieste e di indagini nei giornali. Certo, io credo che il mezzo che rende di più per l’inchiesta sia la televisione, tanto è vero che i servizi di inchiesta che hanno avuto più successo sono quelli della Gabbanelli su Report. É il mezzo che in questo caso che crea il messaggio, la forza delle immagini, della presa diretta, delle dichiarazioni, delle facce, ha un impatto enormemente maggiore a quello delle parole. Nella tanto bistrattata televisione abbiamo anche Icona, con Viva L’Italia, non tutte le puntate sono allo stesso livello, ma hanno una grande forza giornalista. Non lamentiamoci, il giornalismo non sta benissimo, ma non sta neanche male.

Mafie, perché nei giornali se ne parla sono in caso di stragi e omicidi e sì non si fa capire quello che c’è dietro?

Ci si occupa spesso di analizzare le origini dei fenomeni mafiosi, come nelle inchieste di Saviano, e i servizi dell’Espresso. Noi all’Unità abbiamo bravissimi giornalisti come Enrico Fierro che ha fatto delle inchieste sulla Calabria che abbiamo pubblicato recentemente, raccontano cose serie. In Sicilia abbiamo Saverio Lodato, che è diventato un classico dal punto di vista della scrittura dei fatti mafiosi, ci sono valenti giornalisti che si occupano di questo, cercano di approfondire. Certo, si può e si dovrebbe fare di più. Ma considera che il giornalista è un giornalista, non è magistrato, il compito di scavare in profondità è della magistratura.


Intervista raccolta alla festa dell’Unità di Pesaro, il 30 Agosto 2007

http://www.dspesaro.net/


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