Omar Calabrese: "Vi spiego perché non m’iscrivo al Pd"

Dopo un periodo di silenzio, Omar Calabrese, docente di semiotica e influente mass-mediologo, è tornato a parlare. Abbiamo chiesto la sua autorevole opinione in merito al Partito Democratico, alla questione-sicurezza, al fenomeno Beppe Grillo...

di Giuseppe Morrone - giovedì 11 ottobre 2007 - 6852 letture

Dopo un periodo di silenzio, Omar Calabrese, docente di semiotica e influente mass-mediologo, è tornato a parlare. Abbiamo chiesto la sua autorevole opinione in merito al Partito Democratico, alla questione-sicurezza, al fenomeno Beppe Grillo, alla necessità, o meno, di una riorganizzazione a sinistra e alla manifestazione del 20 ottobre. Calabrese ha tenuto a rimarcare la «libertà e l’indipendenza delle sue posizioni, senza voler pretendere di dettare la linea a nessuno», ma, decisamente, non ha risparmiato la consueta vena critica verso i soggetti tirati in ballo dalla discussione, in primis il Pd, di cui, in passato, è stato uno dei più ferventi sostenitori.

Innanzitutto ci piacerebbe conoscere la sua opinione in merito al nascente Partito Democratico. In una delle sue ultime affermazioni pubbliche, in cui annuncia che non s’iscriverà al Pd, per motivare la sua scelta parla di «mancanza di una solenne affermazione di laicità e di sommatoria di nomenclature».

Sono sempre stato convinto della necessità di costruire un forte partito democratico in Italia, ma il processo costituente mi sta deludendo. Il Pd dovrebbe porsi, chiaramente, dalla parte dei ceti più deboli, riuscendo ad essere compatibile con la difesa della natura e con la ricerca del profitto, e sostituendo il concetto di eguaglianza con quella di equità, perchè si accetta l’idea di vivere in un mondo capitalistico. Avrei, quindi, auspicato una dichiarazione di contenuti ben articolata che stabilisse un perimetro definito, e delle idee-guida, entro cui agire. Cose che non scorgo all’orizzonte.

Il modo per tenere insieme le tre prerogative di cui lei parla come si individua?

Si tratta di svolgere un lavoro di analisi. Profitto, questione ambientale e sicurezza sociale devono essere resi compatibili tra di essi, ma c’è da pensare e costruire il modo migliore per farlo e, soprattutto, non c’è da arrendersi all’esistente. Al contrario, per come si sta costruendo il Pd, vedo soltanto calare nell’otre di un nuovo contenitore le già esistenti strategie politico-sociali, con in più tutte le nomenclature garantite (basti pensare al meccanismo delle liste bloccate).

Le critiche che muove riguardano anche il metodo con cui si sta costruendo, materialmente, il Pd in Italia?

Assolutamente. Infatti, l’altra necessità è quella del rinnovamento della struttura-partito, che credo sia arrivata al limite, in quanto sono ineludibili nuove forme di partecipazione. Quando dico nuove forme di partecipazione non intendo la mera presenza di persone in un convegno o in una piazza, ma il loro coinvolgimento in termini di decisione.

Quindi la sua è una richiesta di democrazia partecipata reale?

Esattamente. Non riesco a digerire una procedura che passa per la fusione a freddo degli apparati di partito, in cui questo termine richiama quello delle fusioni bancarie. Questa è una scelta che critico aspramente. Il guaio è che perfino nelle operazioni di mercato riguardanti le fusioni bancarie non si agisce in questa maniera, e lo contestai in occasione del convegno di Orvieto, quando fu lanciata questa spiacevole metafora.

Come accoglie le visioni di una società pacificata proposte da Walter Veltroni, leader in pectore del Pd? Ad esempio, l’abolizione, dalle coscienze, del rapporto di conflittualità fra capitale e lavoro.

Individuo un punto di criticità. Il conflitto fra capitale e lavoro è un dato di fatto che caratterizza qualsiasi società, non qualsiasi ideologia. Semplicemente lo si deve valutare in maniera più moderna, perchè l’organizzazione del lavoro non è, romanticamente, quella del passato. Ed ecco perchè non riesco ad essere di estrema sinistra, in quanto mi sembra che il modello con cui si pensa l’organizzazione del lavoro sia un po’ antiquata. Di certo, sono consapevole che l’idea dell’esistenza di un conflitto è produttrice di democrazia. Lo scontro sociale, quando c’è, nasce da situazioni concrete, non perchè qualcuno lo produce astrattamente.

Sempre a proposito del Pd. La svolta securitaria che sta caratterizzando le sortite dei suoi esponenti è da ascriversi al traino vincente del sarkozysmo oppure all’elementare compito (anche in termini elettorali) di dover rincuorare le pulsioni della gente, importunata da lavavetri, writers, zingari, prostitute, rincorrendo le aree centriste e reazionarie dello scacchiere politico?

Partiamo dalla constatazione che il problema della sicurezza è un dato di fatto. Dal momento che il mondo occidentale è divenuto meta di tantissime persone che fuggono dalle situazioni di miseria o di persecuzione dei rispettivi paesi, passando per un certo impoverimento delle classi sociali più deboli e per la caduta di tanti sistemi di valori, occorre dire che il problema della sicurezza è divenuto tangibile. Ma anche rispetto a questo, lamento la mancanza di un riflessione seria da parte degli esponenti del Pd. Rincorrere la destra ”semplificatrice” su questi temi è profondamente sbagliato. Preferirei un ragionamento più articolato che tenga presente la complessità delle società in cui viviamo.

Concretamente come giudica la marea montante di provvedimenti ”ad hoc” per colpire determinate categorie di soggetti?

Una cosa che non sopporto è quando si seguono i luoghi comuni. Alcuni dei provvedimenti cui si fa cenno, come quello sui lavavetri a Firenze, e che sono stati adottati in alcune città, sarebbero già previsti dalle leggi italiane. Vorrei ricordare a questi signori che, nel codice penale italiano, è presente una norma per cui l’accattonaggio è vietato; quindi non c’era nessun bisogno di emanare un’ordinanza apposita. Oppure, consideriamo le disposizioni sul decoro urbano, ad esempio per quel che riguarda i writers. Queste pure esistono, andrebbero soltanto applicate con misura e buon senso. Ribadisco che, a mio giudizio, non va seguita l’agenda politica della destra, la quale, facendo leva sull’insicurezza della gente, cerca di ottenere provvedimenti da stato di polizia.

Marco Revelli parla della necessità di annullare, anzitutto dalla nostra visione quotidiana, le scene di marginalità (sociale, ma pure culturale), quasi affinchè il nostro sistema democratico possa purgarsi delle sue disfunzioni e dichiarare la propria asetticità rispetto al non-conforme. E’ una posizione condivisibile oppure le espressioni di disagio e di eccentricità, invece che essere integrate per risolverle o per apprezzarne inedite sfumature, devono essere, anche per loro indole, naturalmente strette agli angoli delle strade e delle menti?

Sono perfettamente convinto, come la democrazia ateniese insegnava, che dal conflitto e dal non-conforme viene fuori un arricchimento e non già una riduzione della libertà. Certo, il problema è quello di saper gestire bene le espressioni di marginalità. Per fare un passo indietro, la situazione dei rom c’è chi la sa governare. Mi chiedo come sia possibile che in Italia possano accadere episodi come quello di Pavia e, invece, a Madrid si sia realizzata un’integrazione quasi perfetta. C’è da registrare come in Spagna, a differenza che da noi, si sia saputa accogliere e integrare la cultura rom in maniera esemplare, con risultati lusinghieri anche dal punto di vista artistico. Bisognerebbe attestarsi a dialogare con tutto l’esistente, anche quando non ci fa piacere.

Cambiamo argomento. Rispetto a Beppe Grillo, e soprattutto al consenso che accoglie nel paese, che posizione assume? E’ anti-politica, qualunquismo o, addirittura, un nuovo orizzonte del fare politica, quello di strillare nelle piazze che tutto fa schifo e non c’è rimedio se non quello di mandare tutti a casa?

Non ritengo che quello di Beppe Grillo sia puro e semplice qualunquismo. Si tratta, invece, di un fenomeno di reazione e rifiuto di uno stile di esistenza della politica e i fondamenti per dire che si tratta di una reazione popolare, non populista, sono notevoli. Sarebbe doveroso adottare, da parte degli apparati della politica ufficiale, una complessiva spinta moralizzatrice. La maniera di rispondere a Grillo è però preoccupante, in quanto troppo urlata e poco meditata. Su tante questioni non ha affermato nulla di rilevante, ha sfornato alcune battute di spirito, ma, dopo tutto, lui fa il comico ed è giusto che le proponga. Il fenomeno Grillo, per riassumere, lo qualificherei in questo modo: giusta la scintilla, giusta l’evidenza, giusti i fondamenti, ma da qui si dovrebbe muovere verso una riflessione più approfondita e duratura.

A sinistra del Pd, si sta aprendo uno spazio notevole per formare, probabilmente, una federazione all’insegna del motto ”diversi ma uniti”. Come accoglie questa scelta?

Mi verrebbe da dire: ”why not?”, ma devo partire da alcuni presupposti. Anzitutto, secondo me, non ci potrà mai essere un unico soggetto, perchè resta una differenza di fondo fra le prospettive del socialismo riformista e le tendenze antagoniste presenti fra alcune delle forze che dovrebbero comporre questa federazione. Questo fossato credo che non sia colmabile, almeno in questo momento. Anche perchè, entrambe queste visioni fanno riferimento, come al solito, alla tradizione, di cui dovremmo un pò liberarci. Il che non vorrebbe dire buttar via il passato, ma renderlo aderente al presente. Anche qui, però, occorre fare degli sforzi di auto-critica su numerosi argomenti. Ad esempio: come si pone una forza della sinistra di fronte alle questioni dell’etica e della morale? O come si pone di fronte alla globalizzazione? Da un punto di vista strategico, poi, non si può pensare ad una sinistra solo d’opposizione, bensì ad un’aggregazione che debba porsi la questione del come si governa efficientemente. Cosa che, attualmente, non mi pare del tutto all’ordine del giorno. Vi è necessità, infine, di recuperare la dimensione intellettuale della politica.

Infine, le chiederei un commento sulla manifestazione del 20 ottobre.

Sotto il profilo della libertà d’espressione, e delle persone che saranno portate in piazza, c’è un fondamento e va rispettata. Si pone però un problema strategico: dal momento che un governo esiste e che in esso sono rappresentate anche le forze che sono favorevoli a quella manifestazione, si evince la netta impressione che si tratti di una forma di pressione su di esso. Mi sarebbe piaciuto che si fosse riflettuto di più sull’aspetto dell’opportunità e della comunicazione. Altro punto negativo è che l’occasione viene usata, mediaticamente, dalla destra in maniera piuttosto efficace, e quindi, tatticamente, non sono del tutto convinto della sua funzione.


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