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Senza laicità nessuna libertà

Ferrara sbuffa, arranca, cavalca gli specchi, non convince, concede assoluta benemerenza ai ragionamenti del direttore di “Micromega”, si limita a ri-girare intorno allo stesso concetto senza mai giungere a spiegare l’essenza su cui esso dovrebbe reggersi e trarre sostentamento.

di Giuseppe Morrone - mercoledì 7 novembre 2007 - 3252 letture

L’occasione di un pubblico dibattito, tenutosi a Siena, sulla questione della laicità, fra Paolo Flores D’Arcais e Giuliano Ferrara (cioè fra la personalità più intransigente e rigorosa nel difendere le posizioni relativiste e di assoluta non ingerenza delle religioni nella sfera pubblica e quella più tendente a lasciarsi affascinare dai dettami “ratzingeriani” sulla nocività apocalittica che queste affermazioni a livello di massa produrrebbero) rappresenta un momento propizio per riflettere complessivamente su di una problematica che pretendere di ridurre a spot elettorale o a semplice chiacchiera quotidiana (come spesso accade, purtroppo…) equivarrebbe, quanto meno, a non rendergli la giustizia che merita.

Il metodo d’approccio al confronto (senza ancora entrare nel merito delle opinioni) tradisce, immediatamente, un evidente punto a favore di uno e a detrimento dell’altro. D’Arcais espone con dovizia di linguaggio e d’atteggiamento, appigli concreti alle realtà quotidiane, argomentazioni trasparenti, forti, logiche e, apparentemente, inoppugnabili. Ferrara sbuffa, arranca, cavalca gli specchi, non convince, concede assoluta benemerenza ai ragionamenti del direttore di “Micromega”, si limita a ri-girare intorno allo stesso concetto senza mai giungere a spiegare l’essenza su cui esso dovrebbe reggersi e trarre sostentamento.

Riducendo schematicamente al nucleo le due ore di pacata discussione, si può sintetizzare quanto segue: D’Arcais si prodiga affinché il principio dell’Etsi deus non daretur (“come se dio non ci fosse”) ritorni ad essere imprescindibile e fondante qualsiasi forma di democrazia (testuale: “l’argomento-dio non deve essere re-introdotto, o meglio valutato, nel governo delle società e della sfera pubblica”), Ferrara invece, segnalando come il secolo appena trascorso sia stato proprio quello del totalitarismo laico, rileva la necessità di un recupero delle tradizioni afferenti allo spazio religioso, chiedendo pieno diritto di cittadinanza per le problematiche metafisiche (testuale: “riflettere sulla verità, su cosa è bene e cosa il suo contrario, sui limiti etici da apporre alla scienza”).

D’Arcais comincia il suo intervento ponendo una lunga serie di domande, facenti riferimento ad eventi realmente accaduti, le quali segnalano una contraddizione fra la loro effettiva soddisfazione (conducente una pretesa di separatezza dal dominio pubblico) e l’imperativo di preservare una condizione di partenza egualitaria, quindi laica, per tutti i componenti di una data società. Per dirne una, con riferimento al fondamentale spazio dell’istruzione, un qualsiasi amministratore di una data comunità con quali serie ragioni potrebbe impedire ad un gruppo di persone che lo richiede (siano esse di fede musulmana, ebraica, cristiana o chicchessia…) la concessione di una scuola, o anche solo di una classe, islamica, rabbinica o cattolica? D’Arcais risponde in maniera secca e precisa: “Perché l’educazione pubblica, essendo un indirizzo da fornire alla popolazione nel suo insieme, sia essa residente o immigrata, deve condurre a sviluppare complesse forme di sapere critico, non identitario”.

Sempre in termini di formazione, tale discorso viene esteso alle ideologie totalitarie con riferimento alle concezioni messianiche, ma terrene, della visione del mondo, per cui, ad esempio, in un paese socialista la filosofia marxista sarà l’unica verità riconosciuta e propagandata. Ferrara ribatte che è, invece, necessario un doppio passaggio: "la non esclusione di dio dalla sfera pubblica e, semmai, la distinzione dei piani, cioè la non subordinazione dello Stato alla Chiesa e viceversa", infatti, prosegue, "la laicità include la religione e noi tutti abbiamo bisogno del bagaglio etico, morale ed educativo delle realtà spirituali". Il direttore de "Il Foglio" alla laicità come "Decreto della Modernità" (con il portato della secolarizzazione integrale e dello stato come unica fonte di eticità) contrappone "la laicità come apertura mentale, di confronto con la fede e debitrice verso una tradizione inestirpabile".

Ma, appunto, Ferrara non spiega il perché di queste necessità, individuate come indispensabili. Lungo il filo dell’incontro è corsa una diatriba su diritto naturale, coscienza e sua immodificabilità o meno. Ad innescarla è stata un’affermazione di D’Arcais, secondo il quale non esisterebbe un diritto naturale a differenza dei diritti civili, a loro volta frutto di complesse mediazioni culturali e politiche, con conseguente replica di Ferrara che ha accusato questo ragionamento di "schematismo politico-giuridico". Il conduttore di "8 e mezzo" ha sostenuto che "non siamo prodotti dalla Costituzione, ma da noi stessi, in quanto le fonti materiali della nostra esistenza non le rintracciamo nello statuto di cittadini, bensì nell’amore, fisico e non, intercorrente fra altri soggetti umani e nel possedimento di una personale coscienza".

D’Arcais ha, in seguito, chiarito il suo pensiero, affermando che "cittadini, chiaramente, si diventa, non si nasce. E’ ovvio che prima c’è l’essere umano naturale e la coscienza. Ma, a proposito di questa, non si può parlare di qualcosa di costante nel tempo". Come a dire che non è pensabile una coscienza umana universale, valida per sempre e in tutti i luoghi, perché infinite sono state le mutazioni di essa nel corso della storia. Per dar forza a questa sua posizione, D’Arcais ha citato Pascal, cioè un filosofo cristiano. Egli affermava: "ogni avvenimento o interpretazione sarebbe più comprensibile se esistesse una morale naturale, ma purtroppo non è così.

Tutto ciò che di più terribile l’uomo ha fatto, è stato, poi, considerato virtù". Basti come esempio quello dei sacrifici umani, proprio in ambito religioso: si è passati dallo sgozzare i figli agli animali, per terminare con l’orrore totale che suscita oggi la sola idea di una circostanza del genere. D’Arcais ha, inoltre, confutato una convinzione ed una preoccupazione di Ferrara, segnalando, infine, quello che, a suo parere, è il vero punto di scontro fra i "confessionalisti" di qualsiasi genere e i libertari radicali. Una: "i totalitarismi del Novecento non sono figli della laicità, ma rappresentano, al contrario, surrogati di religione". Due: "La concezione laica non perde la ricchezza del passato, assume la naturalità (e però modificabile incessantemente) e fa tesoro delle esperienze proficue della tradizione.

Basti pensare ad un semplice fatto: fra gli studiosi più rinomati dei testi sacri risultano molti non-credenti". Tre: "la nostra società non vuole fare i conti con la morte, perché l’uomo non accetta il dato che è un essere finito". E a partire da questa ultima convinzione si potrebbe impostare un discorso sulla necessità o meno di credere in qualcosa, classica teoria sociologica quanto mai attuale.


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