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Luci & Ombre del Clown Sociale

“Mio padre non mi diceva come dovevo vivere: viveva, e lasciava che io lo guardassi vivere.” (Clarence Budington Kelland)

di Enzo Maddaloni - venerdì 22 febbraio 2013 - 3308 letture

Il “viaggio” alla ricerca del clown è un “viaggio ai confini della realtà”, o meglio di quella realtà che ci siamo costruiti nel tempo in rapporto ai nostri personali vissuti.

Perché? Ma quello che proviamo a comprendere ed “imparare” è in fondo comprendere i nostri dolori. Sono un clown sociale (o “dottore” come volete, definirmi) che prima di potersi prendere cura degli altri, prova a prendersi cura di “se”.

Che cos’è il dolore?

Secondo l’O.M.S. (Organizzazione Mondiale della Sanità) “il dolore è un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in termini di danno.” Non volendo qui valutare gli aspetti fisiologici del dolore e di come anche lo stesso sorriso e/o la risata possono agevolare l’abbassamento della soglia del dolore per effetto della produzione endogena di beta-endorfine, soffermerò qui la mia riflessione sull’esperienza del dolore che parte ed è quindi determinata dalla dimensione affettiva e cognitiva che partono dalle esperienze passate, dalla struttura psichica-filosofica e dai fattori socio-culturali (epigenetica, medicina narrativa, la storia che cura, la fiaba della nostra vita. Insomma tutto ciò che oggi nella presa in cura dei pazienti all’interno delle strutture sanitarie non si prende in considerazione).

Quindi sarà una riflessione più in generale sulla condizione umana, e questa riflessione si integra alle due precedenti su “pedagogia e didattica del clown”, vista nel caso del suo continuo oscillare tra dolore e noia, angoscia e disperazione, e l’analisi delle possibili vie di liberazione da queste situazioni di sofferenza, concentrando la mia attenzione su questi fattori, attraverso la mia esperienza di clown sociale.

Molti autori dell’ottocento e del novecento, sia nel campo della letteratura che della filosofia contemporanea hanno trattato questo argomento, restando però prigionieri ed isolati anch’essi nel contesto culturale che fu anch’esso dominato dall’illusione ottimistica dell’idealismo e del positivismo a cui gli stessi si contrapponevano in modo deciso e radicale. Caspita! Ma, allora non bisogna più avere un atteggiamento positivo? Anche ora in cui i modelli di società si sono per certi versi aggravati? “…e adesso ci vieni a parlare del clown che deve solo ridere di “se”?” direbbe qualcuno.

Certo, anche molti di loro prima di me si fecero attenti e sensibili osservatori ed interpreti come Shopenauher: “…di un’inquietudine profonda che minacciava la società del tempo, dovuta anche alla grande trasformazione economica in atto ed al crollo dei valori tradizionali, messi in crisi dall’attivismo spregiudicato e dallo spirito di sopraffazione dei nuovi ricchi, mercanti, borghesi e capitalisti protagonisti del mutato scenario storico. Pur nella diversità delle soluzioni prospettate, tali autori sono accomunati, oltre che dalla critica ad Hegel ed all’ottimismo dei “professori”, anche da un’attenzione nuova alla condizione dell’uomo, considerato nella sua realtà sofferente e singolare: dei sette giorni della settimana, affermava con accenti decisamente pessimistici…. tanto che Arthur Schopenhauer sosteneva che….: “sei sono dolore e bisogno, ed il settimo è noia”. Motivi che si ritrovano anche in Kierkegaard, benché secondo una prospettiva cristiana. Certo tutto sembra scritto l’altro ieri. C’è sempre il rischio che la storia si ripeti? Certo!

In questo senso affronto il tema del “dolore” di un uomo che al confine tra il XX ed il XXI secolo, si è fatto “persona-maschere”, con tutte le inquietudini possibili ed immaginabili per ognuno di noi nel qui ed ora, producendo lui stesso dentro la sua storia questo modello di società.

Sempre più, ed in particolar modo negli ultimi anni, ci rendiamo conto di come il tempo sia accelerato, di come sempre più viviamo nella perdita di punti di riferimento, quali: valori culturali, sociali, politici. Tutto sembra sfuggirci di mano. Gli stessi processi in atto sono veloci ed a volte non riusciamo a consapevolizzare che questa stessa crisi, questi dolori, come ogni malattia, di per se, restano un atto di guarigione, o se volete un processo di adattamento come la stessa crisi sociale che stiamo affrontando oggi. Un modo, un’occasione per noi che ci potrà servire più che a cambiare il mondo, a cambiare il nostro sguardo sul mondo.

Nella sostanza è come se fino adesso avessimo vissuto la nostra vita sempre “sotto dettatura” ed in questo la sua ciclicità, sia dai nostri schemi acquisiti nei primi anni della nostra infanzia, sia dai condizionamenti (maschere) della nostra stessa vita sociale, costruendoci una realtà che oggi non ci piace, è come se non riconoscessimo più il mondo dove viviamo, e di per se noi stessi.

Nella sostanza anche noi dopo che “Dio è morto” ci siamo costruiti un mondo a nostra “immagine e somiglianza”, con un senso sempre più estremo di solitudine.

Siamo in genere sempre più inclini al rimorso, al rimpianto, non permettendoci o meglio se volete, permettendoci di illuderci che in realtà non abbiamo “potuto scegliere”, e che se non ci fossimo trovati in questa o in quell’altra situazione avremmo scelto diversamente, quando poi se manca un appiglio reale, ci rivolgiamo alla sfortuna.

In altre parole potremmo dire che il rimpianto, ci ha permesso, con maggiore facilità, di ricorrere a quel meccanismo chiamato “proiezione sugli altri”, delle nostre responsabilità. La cosa riguarda tutti, compreso me, nel vivere come ho potuto vivere io negli ultimi anni, con tutte le mie storie, i miei dolori, le mie paure..i miei amori.

Questo meccanismo di difesa se riflettete ci permette di vedere solo il male al di fuori di noi, dandoci l’illusione di una possibile deresponsabilizzazione, quando invece siamo tutti, ognuno di noi, responsabile delle proprie scelte e del proprio destino. Ed in questo caso parlo per me, e per la mia esperienza di vita, cosi come accennavo prima (se poi la volete approfondire vi invito a leggere “le mie origini” raccolte in diversi articoli qui su GIRODIVITE.IT ) oltre che su questo blog.

E’ quindi noto a me come a voi, di come l’insorgere del senso di colpa sia spesso uno degli elementi che blocca il processo di individuazione del nostro essere: “io sono – sono io”. Sembra appunto che il senso di colpa nasca come freno per l’agito, come vero e proprio ostacolo alla nostra “azione al negativo”.

Spesso siamo chiamati a prendere delle decisioni cruciali per la nostra vita e ci accorgiamo che se intraprendessimo quella strada che per noi è ignota, buia, ma che nonostante ciò ha un fortissimo richiamo sulla nostra anima, dovremmo inevitabilmente prendere le distanze da tutto ciò che, fino a quel momento, erano le nostre e come piace definirle (anche) a me: “false credenze”.

Fatta questa premessa ritorno al “mio viaggio clown” intrapreso molti anni fa e del perché per l’occasione mi costruii una “Moto del Tempo”. Insomma, una fuga e lotta, nella sostanza un vista da molti come “azione negativa”. Ma per quel che mi riguarda pensai, se fino ad oggi (quel momento) sono stato uno scemo agli occhi degli altri, perché fuori le logiche di un sistema che uccideva la mia essenza di essere persona, cosa posso fare adesso per diventare ancora più scemo di prima? La risposta immediata fu: essere clown e costruirmi una moto del tempo!

Lo stesso laboratorio inizia con una domanda, che nella sostanza mi posi anch’io: “vorrei sapere chi sono/sei?”

Ciò come potete immaginare implicava per me, non solo una ristrutturazione del mio apparato affettivo-cognitivo, ma mi pose difronte al dilemma e timore di poter perdere l’amore delle persone a me più care.

In verità per evitare ciò, il mio viaggio (a parte ogni altra proposta di Tour Operator) indica una strada: la via del cerchio. Il cerchio è un percorso di transito, della gratitudine e per questo, la stessa “morte dell’io, come principio del divenire” – “morire prima per non morire” – resta in realtà, (chiaramente) una “morte metaforica”, come l’ho vissuta anch’io “uccidendo” il mio “io”, per restare in compagnia del mio “sono”, affinché potessi rinascere clown: non più con un io frammentato ma, senza più maschere, del mio essere uomo (o donna che sia) intero/a. In questo caso si apre l’esigenza di tornare sul “luogo del delitto”, come in tutti i film polizieschi, e con l’aiuto dell’utopia tra l’arte e la “scientifica” ricostruire la realizzazione della “sagoma” inerme del nostro corpo steso a terra, la scena del ”crimine”. Qui si inserisce un processo minuzioso, di descrizione e di ri-creatività artistica, proprio per far emergere le parti ombre, o se volete quello che di noi non ci piace osservare e ascoltare.

Lo stesso esercizio dell’io-sono – antichissimo come essenza ed origine del suo significato simbolico – che ci ha accompagnati prima sull’orlo di quel burrone da dove siamo precipitati, ci da due possibilità o precipitarci dentro o provare a spiccare il volo: con il nostro clown/persona dell’origine (angelo?, e perché no!). Uno dei sogni più ricorrenti degli umani è volare, un sogno che in questo caso archetipico umano, ci rappresenta la nostra natura d’origine, libertaria di “sognatori pratici”, come proviamo a fare nella nostra Comunità RNCD….quando riusciamo a volare all’uscita della corsia di un ospedale.

Ed è così che in attesa di ri-costruirmi le ali e per provare almeno a viaggiare nel regno del tempo all’incontrario, mi costruii la “moto del tempo”, dando sempre onore al detto “c’è sempre tempo per avere un infanzia felice” e attraverso il qui ed ora, rivisitai il mio passato per ri-costruire il mio futuro, di clown, certo e perché no.

Il processo di individuazione del “chi sono io” è come una complessa conquista, che ognuno può fare a tappe forzate di un viaggio, che attraverso la disciplina della serenità: la neutralità del clown – dove il tempo e lo spazio finisco all’interno del vuoto della mia presenza, il respiro – in assenza di sovra-strutture dinamiche cui è sempre implicito il rischio di una destrutturazione dell’essere persona che prova a riconquistare oggi, con la stessa riconquista, la dignità umana, attraverso la responsabilità del rischio.

In questo senso uno degli aspetti fondamentali ed essenziale al processo di individuazione risulta essere, la “PROVOCAZIONE”, il “PARADOSSO” di “TESTIMONIARE” le mie parti ombre proprio attraverso il mio clown, nella forma di “AUTOPOIESI” più alta: “PRENDERMI IN GIRO” da solo, nella relazione con gli altri, ricreando a specchio una nuova e più diversa relazione umana che diventa/no essa/e stessa/e “strumenti” di lettura del mio essere persona dell’origini. In questo caso mi affido attraverso la lettura dei significati scritti nei sette specchi delle relazioni umane, ad una lettura del MIO vissuto cercando di smascherarlo e farlo testimoniare attraverso il clown. Nella sostanza lo stesso processo di “travestimento” del nostro clown, non è un nascondere, ma uno scoprire.

In questo senso è necessario per me ora introdurre il discorso sulle “ombre” o meglio sul “significato negativo” che spesso attribuiamo ad esse, nel mentre proprio attraverso il clown ci possiamo rendere conto di come esse rappresentino non il “negativo” per me o di me e per questo “nascondo” ma “il meglio per me”. Le ombre come simboli che devo imparare a leggere e riscrivere.

In estrema sintesi nel MITO DELLA CAVERNA DI PLATONE, diversi significati vengono attribuiti alle ombre cosi come pure nella letteratura, nell’uso in matematica, nella geometria, nella psicologia in genere, ma tutte hanno un unico denominatore: le ombre ci consentono di “misurare l’essere nell’universo” nel senso che dalle ombre siamo riusciti a misurare le distanze dei pianeti, a costruire nuovi teoremi geometri, insomma a conoscere parti nascoste all’occhio, etc. Quindi in estrema sintesi prendendo qui a prestito il significato dell’Ombra che danno diversi altri prima di me dico che: le nostre ombre sono l’insieme delle funzioni e degli atteggiamenti non sviluppati della personalità:

1) Ombra come parte della personalità.

2) Ombra come archetipo.

3) Ombra come immagine archetipica.

Personalmente aggiungo un quarto punto:

4) “ombra come anima” che intende purificarsi.

Per certi versi sembra che quest’ultimo resti il compito della nostra vita qui sulla terra, dal punto di vista spirituale o se volete religioso (in questo caso non mi affido a nessun dogma, avendo coscienza che la sorgente, che chiamiamo tutti “Dio”, è la stessa per tutti gli uomini; se intendiamo poi le stesse religioni nel mondo, come un fiume che scorre e che attraversa diverse regioni del mondo, ed al quale ognuno può abbeverarsi, dovremmo avere coscienza che lo stesso sapore o natura, sia pure della stessa sostanza acqua, dello stesso fiume, può riservarci “sapori diversi”, ma è sempre la stessa acqua, nata dalla stessa sorgente. In questo senso possiamo meglio comprendere il significato che posso dare io al punto di vista “spirituale”, che resta in ogni caso in ognuno di noi anche se ateo, perché comunque crede nell’ateismo.).

Ora mi chiederete perché penso che le nostre ombre rappresentino la natura dell’anima umano?

Se fossero “archetipi”, si tratterebbe di aspetti comuni a tutti, e solo in parte lo sono, dando per scontato la simbologia del significato archetipo; ciò va al di là di tutti; l’ombra è universale ad ogni uomo come l’anima ma di per se diversa e ciò si identifica con lo stesso significato di quella forma universale del pensiero dotato di contenuto affettivo – spirito o coscienza.

Quindi l’anima è come l’ombra, non sono mai tutte uguali tra loro, e possono trasfigurarsi in forme e contenuti diversi; quindi di per se non è un archetipo, salvo potersi rappresentare in momenti e contenuti diversi da persona a persona ma il loro carattere è sempre lo stesso, Non come l’animo umano e le stesse ombre. Qui dovremmo avere consapevolezza che sia lo spirito, che la coscienza, non ci appartengono, ma ci possiamo solo accedere, come la luce fa con l’ombra, possiamo nascondere le ombre come possiamo nascondere la nostra anima, e come attraverso le nostre ombre possiamo misurare le distanze o la distanza – attraverso l’osservazione di esse, come nel caso delle capacità di misurare le distanze con gli astri misurando le ombre ad una certa ora del giorno, con il sole – possiamo misurare con l’animo umano la distanza con lo spirito umano.

Quindi l’ombra ci da la possibilità di misurare la distanza di accesso alla consapevolezza e attraverso questa alla coscienza, che non ci appartiene, è il luogo del tutto. La luce ci permette di osservare le “nostre” ombre…., come lo spirito, l’animo umano.

Non spetta a me qui dirvi cosa è “il meglio per te”, ma posso semmai attraverso il clown, il “mio” clown dirvi cosa sia stato “il meglio per me”. La ricerca sul mio clown, mi ha “imparato” che siamo tutti in grado di scegliere – tornando al concetto di responsabilità e scelta – e quindi decidere ognuno cosa è “il meglio per me!”.

Nelle diverse scuole di psicologia almeno qui cito le tre fondamentali e storiche: S. Freud, C. Jung e V. Frankl ed oggi aggiungo l’epigenitica, nel suo rapporto psiche-biologico, ognuno tratta a modo suo la simbologia, ma sempre e comunque se riflettete, al centro ci sono le nostre “parti ombra” lo stesso coscio e inconscio è trattato come luce ed ombre.

Su di esse s’impernia l’attività dialettica che sintetizza gli opposti lo Yng e lo Yang o come in particolare nella psicologia analitici di C. Jung, che proprio nel suo “paradosso”: “…più l’ombra rimane isolata dalla totalità della persona-maschera più essa porta progressivamente ad una destrutturazione della persona stessa (io-frammentato) alimentando nell’essere una forma di distruttività tale da boicottare e rovinare se stessa”. Ciò è quello che anni fa mi ha indotto non a fuggire dalle mie ombre, ma da quella realtà che avevo creato in ragione del “nascondere” a me stesso la mia verità e le mie ombre. In questo senso la fuga e/o lotta direbbe Laborit è l’unica cosa che può fare una nave in tempesta.

Attraverso il mio clown ho cercato (non sempre ci sono riuscito) a guardare, anche da un punto di vista diverso, la mia parte ombra (o meglio le mie parti ombra), giocando con loro.

Il clown in questo caso mi ha aiutato ad evitare (a mia umile opinione) quello che sostiene lo stesso Jung quando afferma che: “ attraverso il fatto che nascondiamo la nostra parte ombra il mondo comincia sempre di più ad essere guardato e interpretato attraverso lenti alterate e malate che ne distorcono la forma e lo portano, sempre più, alla destrutturazione e all’annientamento”.

Ora per tornare un attimo al contesto iniziale sociale, se riflettete, è quello che oggi sta avvenendo a noi ed al nostro mondo.

Jung ci dice anche che i sogni sono un “portale con l’ombra”; i personaggi, gli antagonisti, le figure che costruiamo e incontriamo nelle nostre immagini oniriche sono immagini di noi stessi con le quali, a livello cosciente, non riusciamo ad essere in contatto, ci siamo messi le maschere, in questo senso il clown ci aiuta a toglierle, in sostanza nel momento in cui creiamo artisticamente la figura del nostro clown, come ho già detto ci togliamo le maschere. In questo senso il clown non è una maschera, ma la maschera, la nostra ombra che si testimonia, nel qui ed ora.

Il rischio su questo è che come me a volte possiamo pensare che cosi possiamo essere “angeli” (buoni), ma tanto più siamo “diavoli” (cattivi), e prima o poi dobbiamo farci i conti. In questo senso però il clown (un po’ bastardo, come piace definirlo a me) unificando le parti e rendendole visibili ci porta ad essere “sognatori pratici” mettendo in scena il peggio di noi, attraverso quell’azione in negativo che resta mediatrice del “se”, e possibile mediatore sociale.

La via? Ma certo è la via del cerchio dove tutto torna e tutto si può esprimere nella bellezza, nella gratitudine, nell’amore incondizionato verso se stessi e verso gli altri, qualsiasi cosa ci può d’ora in poi accadere è il meglio per me/noi!

L’osservatore e l’osservato in fisica quantistica ci riconduce al tutto. Lo stesso clown nel suo viaggio – provocatoriamente parlando – offre a noi la possibilità di osservazione dei nostri lati ombra per farceli “sognare” e “testimoniare”, semplicemente per così come sono, l’io diventa l’osservatore del sono.

Potrà sembravi, ed è un “paradosso”, una “provocazione” ma è nella sostanza una “compresenza” di aspetti “polarmente opposti(?)” Io e non Io, conscio e inconscio, positivo e negativo, che non rischiando più di dare solo un segno negativo al termine ombra, ci fa comprendere gli aspetti positivi o se volete “unigravitazionali” delle nostre ombre/dolori, che rappresentano l’essenza evoluzionistico dell’animo umano, ed è proprio in quel momento attraverso un esercizio sul “negativo” che possiamo partendo dal nostro corpo fisico (corpo-biologico-anima) e non dalla pischè, leggendo i nostri schemi, le nostre ombre prima nascoste, diventano la sceneggiatura stessa del nostro clown, diventano strumento per misurare la geometria del nostro animo umano e semmai fare, come alle auto, la “convergenza”.

Quindi come le parti ombre-negative-inferiori della nostra personalità restano la parte dell’anima in conflitto con il “sé” (non ancora “se” universo), e che quindi non rappresenta affatto la totalità della nostra psiche, ma semplicemente il percorso che la nostra anima sta facendo per giungere a maggiore consapevolezza, e quindi solo attraverso la loro testimonianza, potrò “misurare” la distanza che passa tra quel “sé” con l’accento, ed il “se” congiunzione con l’universo ed il sono depurato dalla costruzione dell’io, dove tutto è meraviglioso e perfetto cosi com’è.

Quindi “se” senza accento, “se” come congiunzione al tutto, appunto.

In questo caso occorre fare uno sforzo mentale per allontanarci dal dogma per entrare nello spirito, nell’essenza, dell’essere persona dell’origine, prima ancora del peccato di Adamo ed Eva, che di per se pur potendo rappresentare il bene ed il male, il maschile ed il femminile, lo Yng e lo Yang, lo afferma in ognuno di noi: angeli e demoni.

In questo caso dovremmo, sempre facendo uno sforzo, intendere e tener conto che le nostre ombre non sono negative in quanto c’è una positività sempre e comunque con la quale ci si confronta, e come direbbe il mio carissimo amico Prof. Renato Palmieri non esiste polarità nell’universo, li tutto è meraviglioso e perfetto cosi com’è, perché nell’universo non c’è repulsione ma solo attrazione.

Le profonde antipatie ingiustificate, per esempio, sono quasi sempre il frutto della proiezione della propria ombra. Il riconoscimento di tale proiezione, costituisce una delle tappe della via del cerchio, a specchio, con gli altri, per la ricognizione della propria/e ombra/e. In questo senso gli specchi delle relazioni umane ci fanno comprendere di come abbiamo bisogno dell’altro, ed anche all’interno di qualsiasi torto che l’altro ci possa fare c’è una proiezione di una parte di noi. Vederla, riconoscerla, accogliere, ci aiuta ad evolverci.

Il clown in questo senso non rifiuta la propria ombra perché si condannerebbe a vivere una vita parziale. Gli Dei richiedono in lui alti ideali e per questo avendone coscienza lui inizia a giocare con le sue ombre. Lui sa che se le abbandona, le nasconde, la sua anima (persa) nell’ombra, è costretto a morire, come la luna che si staccò dalla terra, è stata condannata a nascondere un suo lato, condizionando i cicli vitali sulla terra, la luna è dannata? Lei almeno espone sempre le sue ombre ed un pezzo di luna lo vede il sole.

Lo stesso clown a volte un po’ “allunato/a” ricostruisce, o meglio prova ad avere una vita autonoma, senza alcuna relazione, con il resto della personalità-maschere, eliminando le maschere, affinché ogni autentica maturazione della persona-individuo non sia impedita, dal momento che l’individuazione comincia con la ricognizione e l’integrazione di tutte le nostre parti ombra, non più in conflitto tra di loro.

Attraverso il clown e quindi la ricerca del proprio clown possiamo operare direttamente su di noi questo tipo di “azione al negativo”, amando ciò che è.

In questo senso il clown è verità non più maschera, non più un io-frantumato, non più uomo posseduto dalla propria ombra che inciampa costantemente nei suoi errori. Anzi il contrario il clown, in questo senso, ogni qualvolta gli sarà possibile preferirà fare un impressione sfavorevole agli altri, più che apparire come il più buono, ma è proprio in questo non manifestarsi buono che egli potrà far ridere di “se”, essere nel contempo “mediatore sociale” dei “cattivi esempi”, cosi come nell’antica tradizione dei Buffoni Sacri d’America.

Il clown così, a differenza dell’uomo comune, a lungo andare pur avendo la buona sorte sempre contro di lui, poiché vive al di sotto del proprio livello e, nel migliore dei casi, raggiunge solo quello che non gli compete e non gli concerne, potrà oltrepassare, andare oltre quel sé con l’accento per essere “se”. In questo caso il clown se non ha alcun ostacolo in cui inciampare, se ne costruirà uno apposta e poi crederà fermamente di aver fatto qualcosa di utile.

Quindi se nell’energetica psichica Carl Jung ci fornisce un immagine della psiche come di una molteplice corrente energetica che intanto può sussistere in quanto esistono i poli o le differenze di potenziale entro cui l’energia stessa si stabilisce e che solo in tal modo l’energia che prima andava dispersa nell’Ombra non riconosciuta o rifiutata diviene disponibile all’Io, attraverso una visione oggi della “fisica unigravitazionale” dovremmo dire che se non esistono le polarità la stesse “ombre” non possono essere definite “contrari” ma solo “parti” di un insieme, nella sostanza quel che di noi non può essere risolto in valore collettivo-sociale, e si oppone ad a ogni valore universale e quindi allo spirito all’animo umano o se siete atei alla coscienza, (almeno ad un pezzo ci potrete accedere comunque! scherzo sic).

In questa storia delle polarità penso che C. Jung avesse torto o meglio gli mancassero degli elementi che oggi siamo più consapevoli di possedere in “co-scienza”, nel senso che lo stesso modello di società è stato costruito fin’ora sulla base di una “falsa credenza” come direbbe il Biologo Lipton! E, se partiamo, come dicevo prima dal presupposto “utopico” coniugare “arte e scienza” abbandonando per un momento ogni dogma e affidandoci semplicemente ad una riflessione di natura più neutra e spirituale se “io-sono” ad immagine e somiglianza di Dio… affidandomi semplicemente al precetto: “ama il prossimo tuo come te stesso” posso comprendere che cosa è “il meglio per me.”. E’ probabile che nell’istante in cui ogni persona accetta, nella propria dinamica psichica, le sue ombre egli accetta di individualizzarsi non più nella sua anima irrequieta ma nel valore e nella consapevolezza che non esiste a differenza di ciò che sosteneva lo stesso C. Jung – bipolarità – ma solo attrazione, come ci suggerisce la ricerca del Prof. Renato Palmieri con la sua Fisica Unigravitazionale.

Dal punto di vista di una morale collettiva, l’integrazione dell’ombra permette la fondazione di un’etica individuale in cui i valori universali dovrebbero essere consapevolizzati, accettati, perseguiti in quanto sarebbero continuamente rapportati al singolo individuo, o meglio all’elemento individuale dell’essere persona: “io sono-sono io” fatto ad immagine e somiglianza di Dio e la mia stessa ombra alla fine non è altro che un pezzo del tutto e osservandola e testimonandola, come fa la luna, posso incidere diversamente sui sensi vitali della mia esistenza. Così esse/essa mi consentirà – testimoniandola – di misurare la mia vicinanza a “Lui” un po’ quello che succede nel misurare le ombre a mezzogiorno per determinare la distanza con il sole. In questo senso anche “per cambiare le cose del mondo che non mi piacciamo devo iniziare a cambiare il mio modo di guardare il mondo” , attraverso gli occhi del clown: angioletto-diavoletto.

L’Ombra quindi più che parte negativa è parte integrante, o meglio spesso unificativa dell’essere persona dell’origine, non con la personalità dell’essere persona, ma come comprensione e consapevolezza che la coscienza non ci appartiene, ma ci possiamo solo accedere, e ciò solo attraverso un processo di unificazione delle luci e delle ombre, nell’universo ci sono i buchi neri che rappresentano una concentrazione di energia smisurata, li la luce scompare per tornare buio , quindi luce e buio sono la stessa cosa.

In sostanza il clown diventa possibile “strumento” di misurazione, e come l’ombra a mezzogiorno misura la distanza o la vicinanza con il sole, l’ombra “testimoniata” attraverso il clown, ci consentirà di misura la distanza tra l’anima e lo spirito. Insomma attraverso il clown e la via del cerchio e della bellezza possiamo vivere la nostra esistenza più consapevoli e comprendere anche che in fin dei conti le nostre ombre non rappresentano per noi un richiamo di scissione, ma un legame di comprensione e consapevolezza per evolverci.

In questo senso si sintetizza nel titolo del laboratorio la mia ricerca in primis del mio clown, avviata 10 anni fa: “Alla ricerca del tuo clown…..ma se trovi qualcos’altro va bene lo stesso!” nel qui ed ora, nel senso di potersi prima “prendermi cura di me”, prima di potermi prendere cura dell’altro, come clown sociale. Questo è un viaggio che può durare, come per me, tutta una vita, ma… Mio Padre che faceva l’autista di camion, mi diceva sempre: “è inutile che corri, tanto quando arrivi sei già li che t’aspetti da un pezzo!”

“Mio padre non mi diceva come dovevo vivere: viveva, e lasciava che io lo guardassi vivere.” (Clarence Budington Kelland)


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