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Carl Rogers, un maestro da riscoprire

Che sorte è toccata a Carl Rogers? È certo che di lui si sono perse le tracce ed anche voluminosi trattati di psichiatria lo ignorano del tutto

di Augusto Cavadi - mercoledì 21 febbraio 2024 - 507 letture

Si può guardare lo sviluppo del pensiero psichiatrico degli ultimi 150 anni in tanti modi diversi. Uno di questi può scegliere di mettere a fuoco quale sorte abbiano avuto alcune proposte originali ed innovative. Si potrà constatare che alcune sono state accolte con interesse ed hanno avuto lunga vita, mentre altre (potenzialmente utili per la clinica) non hanno avuto una sorte altrettanto fortunata (1). Che sorte è toccata a Carl Rogers? È certo che di lui si sono perse le tracce ed anche voluminosi trattati di psichiatria lo ignorano del tutto (2). Tuttavia mi sembra che oggi, nel vasto panorama della psichiatria, sia possibile rintracciare diversi spunti che possono dare qualche sostegno alle teorie di questo autore.

L’accoglienza incondizionata del cliente è rimasta una delle condizioni fondamentali per un positivo percorso terapeutico. Rogers non ha mai messo in discussione questa convinzione e l’ha sempre considerata uno dei cardini necessari per una terapia efficace. Una relazione ove sia presente un’accoglienza incondizionata è quella che si realizza (quando tutto si svolge per il meglio) nel rapporto di una madre con il suo bambino. È un fenomeno naturale, comune a tutti i mammiferi. Conosciamo poco cosa si verifica nell’organismo di una madre in occasione del parto. Dobbiamo accontentarci di riconoscere l’attivazione di meccanismi detti epigenetici, sia nella madre che nel bambino, di cui conosciamo ancora poco. Sappiamo però che una relazione in cui siano dominanti le cure, il calore, la protezione del piccolo ha effetti benefici che durano tutta la vita.

Non sempre però vi è una condizione così favorevole: esiste anche una “ depressione post partum”, dove domina nella madre la paura del fallimento. Se Rogers avesse scoperto che il bisogno di una relazione amorevole rimane dentro ognuno di noi per tutta la vita? Se questo bisogno di cure amorevoli persistesse in ognuno di noi e ci portasse a cercarlo, ora con fiducia, ora con paura e preoccupazione? Se fosse una delle caratteristiche presenti nella natura dell’uomo, ed anche la base della compassione come ipotizzano i buddisti? (3) È ragionevole porsi una tale domanda, ma non è possibile fornire una risposta sicura.

Possiamo però constatare che l’esistenza di questo desiderio - di questo “bisogno” - è stato riconosciuto come un aspetto fondamentale dell’uomo dalle principali tradizioni spirituali. Possiamo considerarlo come una delle forze fondamentali (non certo l’unica) che muovono l’uomo in questo mondo. L’accettazione incondizionata del cliente è dunque per Rogers un aspetto fondamentale del trattamento terapeutico. Credo che la stessa idea sia presente nella teoria polivagale, dove si è arrivati a dire che la sicurezza percepita dal cliente è la terapia (4). Rogers è riuscito a scoprire attraverso quali strutture cerebrali e quali circuiti ciò possa avvenire, indicando anche i fenomeni fisiologici (mediati dal sistema nervoso neurovegetativo) che si verificano quando ci troviamo in una condizione sicura nel rapporto con l’altro.

La teoria polivagale può anche fare chiarezza su un altro fattore che Rogers considerava indispensabile: l’autenticità del terapeuta. Secondo la teoria polivagale l’autenticità è sentita dal cliente a prescindere dalle parole, attraverso la decodifica (inconsapevole, ma affidabile) di sottili informazioni che arrivano attraverso la postura, la mimica, il tono di voce ed altri segnali presenti nell’incontro. Rogers nei suoi scritti riporta alcuni “casi clinici” provenienti dall’attività terapeutica. È ragionevole utilizzare anche quei “casi”, contenuti nella storia delle letterature, che possono dare sostegno alle sue tesi?

A. Manzoni e V. Hugo ci raccontano la trasformazione “miracolosa” di due soggetti che avviene nell’incontro con persone luminose e piene di amore per il prossimo. C’è anche il racconto della crisi: Manzoni ci racconta la notte dell’Innominato, che arriva all’orlo del suicidio. Hugo ci dice di Jean Valjean che riuscì a “ guardare la sua vita e gli parve orribile”. Poi arriva il pentimento ed il pianto: “Per quante ore pianse così! Che cosa fece dopo avere pianto? Dove andò? Nessuno lo seppe mai; pare soltanto confermato che in quella medesima notte un vetturale…verso le tre del mattino vedesse attraverso la via de Vescovado un individuo in atteggiamento di preghiera, inginocchiato sul lastrico, nel buio, dinanzi alla porta di Monsignor Bienvenu”(5).

Ma anche Pirandello ha qualcosa da dire: “Pupi siamo, caro don Fifì!... Perché ogni pupo, signora mia, vuole portato il suo rispetto, non tanto per quello che dentro di sé si crede, quanto per la parte che deve rappresentare fuori. A quattr’occhi non è contento nessuno della sua parte: ognuno ponendosi davanti al proprio pupo, gli tirerebbe magari uno sputo in faccia. Ma dagli altri, no; dagli altri lo vuole rispettato” (6). . Rogers riconosce che ognuno di noi è stato costretto a confezionare un pupo, obbedendo alle richieste sociali, ma è determinato, con tutte le sue forze, a non esprimere alcun disprezzo, alcun giudizio. Anzi aspetta con tutto il calore e con tutta la simpatia di cui è capace che questa crosta si sciolga; perché è convinto che sotto il guscio ( “il pupo”) si possa trovare l’uomo liberato, in grado di vivere e di amare gli altri e il mondo, finalmente vivo e gioioso come Liolà.

Dopo queste incursioni in campo letterario, ritorniamo sul terreno della psichiatria e proviamo a rintracciare altre posizioni affini a quella di Rogers. Malgrado la distanza (esplicitamente dichiarata) tra la psicoanalisi e la “Terapia centrata sul cliente”, è possibile ritrovare, nel variegato mondo psicoanalitico, spunti che ricordano le intuizioni di Rogers. Mi sembra infatti che si possa intravedere una singolare vicinanza con la tesi di Franz Alexander, che dava un valore prioritario nel trattamento terapeutico alla “esperienza emozionale correttiva”, indicando un processo simile a quello che può avvenire nella Terapia centrata sul cliente. C’è una convinzione che, a mio parere, occupa una posizione essenziale nel pensiero di Rogers: si tratta di una grande fiducia nel nostro organismo. In più punti dei suoi scritti (7) ribadisce tale convinzione e, tra l’altro, ricorda una sua esperienza: “Era una ripresa al microscopio in cui dei globuli bianchi si muovevano a caso nella corrente sanguigna; ad un certo punto comparve un batterio di una malattia ed essi hanno cominciato a muoversi contro il batterio in una maniera che potrebbe essere definita “intenzionale”. Lo circondavano e gradatamente lo inghiottivano e lo distruggevano, per tornare poi a muoversi a caso…Analogamente mi sembra che succeda un processo simile in un gruppo di incontro…Intendo dire che ad ogni livello, dalla cellula al gruppo, ho visto espressa “ la saggezza dell’organismo”. Perciò, secondo il suo modo di vedere, “l’individuo disturbato o nevrotico…è un individuo il cui concetto di sé si era strutturato in modo non coerente con l’esperienza organismica”.

Si tratta di affermazioni che segnano una grande distanza rispetto alla cultura del suo tempo (dominata dall’idea dell’uomo-macchina del comportamentismo o dell’uomo ancora primitivo nel suo inconscio della teoria freudiana). Forse per questo la prospettiva rogersiana veniva chiamata, in quel periodo storico, “la terza via”. Se ci riflettiamo un momento, la grande fiducia nella saggezza del nostro organismo è la risposta da lui data alla domanda fondamentale “Chi è l’uomo?” (8) , che porta immediatamente al nocciolo di ogni problema (9). C’è almeno un altro aspetto nell’opera di Rogers che è utile ricordare: ha sempre manifestato un grande interesse per la ricerca, da lui stesso applicata al processo terapeutico. Ma ha cercato di individuarne anche i limiti. Se ci chiediamo come il nostro organismo funziona con tanta saggezza possiamo trovare qualche risposta (certamente ancora provvisoria e parziale). La domanda alla quale né la biologia né la psicologia sono in grado di dare risposta è perché l’evoluzione è arrivata a questo risultato. In realtà oggi sappiamo che il sistema nervoso si è evoluto nel corso di milioni di anni diventando “unitrino”, cioè con tre componenti integrate tra loro ( cervello rettiliano, mammifero, umano.)

Ma nulla ancora ci sa dire, in modo scientificamente convincente, perché l’evoluzione ha preso proprio quella direzione. Per fare qualche esempio, oggi siamo a conoscenza che si è verificata una trasformazione della vasotocina ( presente nei rettili) in ossitocina, un ormone così essenziale per la maternità (10). A tale trasformazione possiamo dare un nome: “exattamento”, che però si limita ad indicare un fenomeno, non certo a spiegarlo. Tanti altri aspetti dell’opera di Rogers meriterebbero di essere ricordati. Ci limitiamo ad accennare al suo retroterra filosofico, esplicitamente dichiarato, che attinge all’area fenomenologico-esistenziale. Da ricordare anche l’idea del funzionamento mentale come un flusso dinamico, di cui è possibile descrivere il percorso che si realizza nei gruppi di incontro.

Rogers è molto esplicito nell’indicare quali modi di agire vanno rispettati nel trattamento psicoterapeutico. Si dichiara del tutto contrario all’uso dell’interpretazione ( così essenziale nel trattamento psicoanalitico) perché collocherebbe il terapeuta su un piano di superiorità rispetto al cliente, quindi con più potere e conoscenza. E’ anche convinto che lo stile e la modalità relazionale descritta nella terapia possano risultare efficaci anche in altri ambiti, ad esempio nelle istituzioni scolastiche o in altre organizzazioni sociali. A mio giudizio rimangono un apporto prezioso l’onestà ed il coraggio che hanno improntato il suo lavoro e la sua vita. Ha avuto il coraggio di porre domande fondamentali sull’uomo e sulla crescita potenziale della sua personalità. A prescindere dalle risposte che è riuscito a dare (a mio parere interessanti), ritengo che dobbiamo essergli grati.

Mario Mulé

NOTE

(1) Per fare un esempio, il contributo di Pierre Janet è stato ignorato per oltre un secolo. Le sue idee sono rimaste sepolte, riemergendo solo adesso grazie agli studi di psicotraumatologia. Riprendono le sue idee G. Liotti e B. Farina nel volume Sviluppi traumatici edito da Raffaele Cortina nel 2011.

(2) Nel manuale di psichiatria di S. Arieti, scritto negli anni Sessanta del Novecento, è incluso un intero capitolo (84) scritto proprio da Rogers. Nel voluminoso trattato di psichiatria coordinato da Pancheri e Cassano ( Masson, 1999) non si fa alcun cenno allo psicoterapeuta statunitense.

(3) E’ la tesi sostenuta dal Dalai Lama nei suoi libri, per esempio ne La felicità al di là della religione, Sperling e Kuffen, 2012.

(4) Vedi il volume di Stephen W.Porges e Deb Dana, Le applicazioni cliniche della teoria polivagale, Giovanni Fiorini Editore, 2020.

(5) Non è mia intenzione ridurre la ricchezza artistica delle due descrizioni ad un fenomeno di cambiamento “ traumatico” della personalità dei protagonisti. Né possono essere la dimostrazione della validità di una tesi, come è già avvenuto con l’Edipo Re. Ma sarebbe anche arbitrario negare valore alle intuizioni di due eminenti artisti.

(6) ) Pirandello ne Il berretto a sonagli, contenuto anche nelle sue Opere, Mondadori. L’intuizione è una modalità di conoscenza misteriosa. Sembra, ha testimoniato anche Einstein, che sia presente in modo decisivo anche nelle scoperte scientifiche più avanzate. Una descrizione di alcuni correlati cerebrali attivi durante questo fenomeno è contenuta nel libro di Goleman e Davison, La meditazione come cura, Rizzoli, 2017.

(7) In questa rilettura si fa riferimento essenzialmente a due libri classici: La terapia centrata sul cliente e I gruppi di incontro.

(8) Erich Fromm, L’arte di ascoltare, Oscar Mondadori.

(9) La domanda “Chi è l’uomo?” interroga ovviamente anche la psichiatria. Questa disciplina potrà trovare una qualche risposta al di fuori del proprio ambito, in una varietà di tesi non sempre compatibili tra loro. Per esemplificare riportiamo due posizioni molto diverse. La prima è di Vito Mancuso: “Dove cercare? La mia risposta è: il nostro corpo. Non dobbiamo andare lontano, la risposta è vicinissima, è dentro di noi, è scritta nella nostra carne, proviene dalla logica che ci ha portato all’esistenza e ci mantiene in essa e che ci viene proposta in ogni istante, basta saper ascoltare: è la logica dell’aggregazione, del sistema, dell’armonia relazionale (Vito Mancuso, A proposito del senso della vita, Garzanti, 2021). Edgar Morin ci propone un punto di vista affatto diverso: “ L’uomo è sapiens- demens, capace di una raffinata capacità di razionalità e scientificità, ma anche di pensieri primitivi o addirittura francamente paranoici, di grandi conquiste ( per es. l’abolizione della schiavitù ) e di vergognosi arretramenti; ed è ancora incapace di guardare alla complessità rifugiandosi in separazioni arbitrarie e semplificanti e quindi in conoscenze parziali ed inadeguate” ( E. Morin, Svegliamoci, Mimesis 2022).

(10) Il libro di Panksepp, Archeologia della mente (Raffaele Cortina, Milano), contiene informazioni originali ed aggiornate sulla biologia della vita affettiva.


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