Lenin, oggi / di Fabrizio Billi

L’assalto al cielo è finito male, certo. Ma senza teoria rivoluzionaria, sosteneva Lenin nel “Che fare?”, non vi può essere movimento rivoluzionario. Per questo, credo che a una persona razionale come Lenin, farebbe piacere se oggi si analizza il suo pensiero e la sua opera, senza nasconderne limiti e fallimenti, ma restituendoci alcuni elementi di attualità.

di Fabrizio Billi - domenica 4 febbraio 2024 - 989 letture

Cosa resta, oggi, di Lenin?

Nel 1908, in una lettera alla madre e alla sorella, Lenin scriveva di aver letto con interesse un libro dell’astronomo Lowell, che sosteneva che Marte era abitato. Se oggi un ipotetico turista politico marziano ricambiasse l’interesse e arrivasse sulla terra alla ricerca di ciò che resta di Lenin, cosa troverebbe?

Cerchiamo innanzitutto le tracce più tangibili fisicamente. E’ rimasto il corpo di Lenin imbalsamato nel mausoleo della piazza rossa, è vero, ma è oggetto di continuo dibattito se conservare lì dov’è quella scomoda eredità del passato o rimuoverla. E’ rimasto qualche monumento in alcuni paesi. Soprattutto quelli dell’ex Urss, un tempo disseminati di statue, diverse delle quali sono sopravvissute, più per mancanza di risorse per abbatterle che per stima verso il dirigente rivoluzionario. Anche in Italia, a Cavriago, c’è un busto di Lenin. Anche nei paesi nominalmente socialisti che restano (Cina, Cuba, Vietnam) credo non ce ne siano molte. Per esperienza personale, quando già parecchi anni fa andai in Cina, vidi qualche statua di Mao, ma nulla di Lenin. Sempre per esperienza personale, tracce di Lenin nei paesi ex socialisti sono spillette e gagliardetti, venduti sulle bancarelle ai turisti in cerca di ricordi curiosi. Un americano, addirittura, si è comprato una statua di Lenin abbattuta dagli abitanti di un villaggio della Slovacchia, e l’ha messa nel giardino di casa.

Credo, e spero, che non ci siano monumenti di Lenin in Corea del nord, ma solo statue dei vari leader che hanno infestato e infestano quel paese col loro nazionalismo dinastico.

Per quanto riguarda la diffusione delle idee di Lenin, chi mai oggi si definisce leninista? Qualche gruppo politico con pochi militanti e del tutto ininfluente. Il leninismo oggi non è certo una teoria politica di qualche peso. Nel mercato della politica, le idee che vanno per la maggiore un po’ dappertutto sono quelle autoritarie, nazionaliste, talvolta integraliste religiose, e poi quelle liberali, l’ecologia, il femminismo. Nella sinistra, anche quella radicale, nessuno propone scelte come quelle fatte da Lenin oltre un secolo fa: monopolio statale del credito e del commercio estero, negazione del diritto di voto e di rappresentanza alle classi sociali diverse dal proletariato. Questo giusto per citare alcuni provvedimenti “strutturali” del bolscevismo al potere, non congiunturali come potevano essere la terra ai contadini, la Nep e il comunismo di guerra. Ben che vada, le ricette economiche della sinistra consistono oggi in un keynesismo redistributivo e nei diritti civili. Cose sacrosante, e soprattutto la tutela dei diritti civili potrebbe essere nel solco delle idee leniniane. La prima costituzione sovietica del 1918 rifiutava “i privilegi e di qualsiasi genere di preferenza attribuita in base alla razza ed alla nazionalità, come pure l’oppressione delle minoranze nazionali o la limitazione della parità dei loro diritti” e garantiva “diritto di asilo a tutti gli stranieri perseguitati per delitti politici o religiosi”. Ma chi oggi si batte per i diritti civili non si richiama neanche lontanamente a Lenin. E il welfare non è certo l’abolizione del capitalismo.

Oggi, di Marx ogni tanto si parla. Qualche prestigiosa rivista, da Time allo Spiegel, ogni tanto pubblica articoli sul tema “Marx aveva ragione”, a proposito per esempio dell’immiserimento di vaste masse, della polarizzazione sociale, dell’alienazione.

Nessuna rivista ha pubblicato articoli sul tema “Lenin aveva ragione”.

Marx è considerato uno studioso, le cui analisi possono a volte essere ritenute interessanti. Lenin è considerato un politico. Dimenticando che Marx ha svolto attività politica pratica, non passava tutto il suo tempo nella sala di lettura del British museum. E che Lenin ha passato nelle biblioteche pubbliche altrettanto tempo di Marx. La sua preferita era la biblioteca comunale di Ginevra. Meno bene si trovò nelle biblioteche di Parigi: orari ridotti, lunghi tempi di attesa per avere i libri richiesti. La giornata di Lenin, durante l’esilio europeo (Ginevra, Londra, Parigi, Cracovia, ecc.) era suddivisa in una precisa organizzazione: al mattino in biblioteca a studiare, al pomeriggio a scrivere documenti, articoli, corrispondenza, la sera relax in famiglia. Buona parte del tempo lo trascorreva dunque a leggere e scrivere.

Il nostro turista politico extraterrestre rimarrebbe un po’ deluso: ha viaggiato nel freddo spazio per capire cosa è rimasto di quell’umano che diceva di volere una società libera, prospera e giusta, e che tanto si è dato da fare per questo, ed ora trova ben poco?

Eppure, come ha scritto Luigi Vinci, “la rivoluzione d’ottobre ha cambiato la storia del novecento”. Mostrò come una rivoluzione socialista di operai e contadini potesse vincere. Incoraggiò in tutto il mondo lotte di classe e anticoloniali di milioni di persone oppresse dal capitalismo e dal colonialismo. Nei paesi più sviluppati, il capitalismo sarà obbligato ad accettare politiche economiche migliorative delle condizioni di vita delle popolazioni. La reazione fascista sarà sconfitta militarmente da una coalizione nella quale l’Unione sovietica fu parte fondamentale. Altre rivoluzioni socialiste vinceranno in Cina, a Cuba, in Vietnam, in altri paesi. Le colonie dell’Europa conquisteranno l’emancipazione politica.

Cosa resta di tutto ciò? Dov’è finito Lenin, nel mondo di oggi?

Che abbia avuto ragione Winston Churchill, quando disse che il buon Dio doveva esistere davvero perché “l’inferno per Lenin e Trotskij era indispensabile”?

Non sappiamo se oggi lo spirito di Lenin sudi al caldo dell’inferno, tormentato dalla dantesca legge del contrappasso per cui ha dovuto contemplare la distruzione dell’Urss, a cui aveva dedicato tutta la vita.

Ma per capire se può avere senso occuparsi di Lenin nel mondo di oggi, dobbiamo anzitutto chiederci chi era Lenin.

Egli ha passato la vita a leggere, scrivere, discutere. I suoi scritti, nell’edizione italiana degli Editori riuniti, sono in 45 volumi. Non basterebbe una vita di studio per analizzarne l’opera e la figura. Questo vale per tantissime persone che hanno dedicato la propria vita all’arte, alla scienza, alla politica. Però l’imponenza dell’opera non può essere un pretesto per non confrontarsi con lui.

I suoi scritti affrontano tutti i temi ineludibili per chi abbia qualche interesse per la politica come scienza per la trasformazione della società: la democrazia, i rapporti tra le classi e tra le nazioni, la guerra, il razzismo, l’imperialismo e il colonialismo, la transizione da un sistema sociale ad un altro.

Cosa proponeva Lenin? Ma poi, quale dei tanti Lenin?

C’è il Lenin canonizzato dal socialismo reale, celebrato come demiurgo della rivoluzione e capo del primo stato operaio.

C’è il Lenin che piace agli operaisti come Negri, autore del libro “Trentatrè lezioni su Lenin”, o come Tronti, che sulla rivista Classe operaia pubblicò l’articolo “Lenin in Inghilterra”. E’ il Lenin teorico e organizzatore della rivolta operaia contro il dominio capitalista, che nelle fabbriche mostrerebbe la sua natura più disumana.

C’è il Lenin punto di riferimento delle lotte antimperialiste e anticolonialiste in tutto il mondo. Non è forse uno dei suoi libri più importanti “L’imperialismo, fase suprema del capitalismo”? E sul macello della guerra imperialista riuscì a far leva per abbattere lo zarismo e dare il potere al proletariato, e fin dallo scoppio della prima guerra mondiale era consapevole che essa poteva essere l’occasione giusta. Tant’è che, poco prima del conflitto, scriveva di non credere che “il nostro piccolo Nicola e il vecchio Francesco Giuseppe ci faranno mai il piacere di far scoppiare una guerra”, tanto gli sembrava difficile che le classi dirigenti europee si incamminassero sulla strada del proprio suicidio.

C’è il Lenin teorico, lo studioso del capitalismo, del nazionalismo, delle classi, della transizione al socialismo. E’ forse un Lenin che ha avuto meno spazio rispetto al Lenin dirigente politico. Ma che ha prodotto analisi notevoli come “Lo sviluppo del capitalismo in Russia”, “La comune di Parigi”, “Stato e rivoluzione”.

C’è il Lenin della Terza internazionale e della rivoluzione in Europa. Anche questo forse è un Lenin meno noto, probabilmente per due motivi. Il primo, che dopo la malattia e la morte di Lenin, la Terza internazionale si trasformò, da organizzatrice della rivoluzione mondiale, a strumento di politica estera dell’Urss staliniana. Il secondo, perché le rivoluzioni in Europa non ci furono o non hanno avuto successo. Non furono nemmeno tentate in Francia, Gran Bretagna e tanti altri paesi, nonostante i timori delle classi dirigenti. Lloyd George, primo ministro del Regno unito, aveva detto che “se venisse iniziata un’azione militare contro i bolscevichi, l’Inghilterra sarebbe diventata bolscevica e a Londra si sarebbe formato un soviet”. In Germania e Ungheria furono tentate, ma avevano gambe troppo deboli per reggere, come si rendevano conto alcuni degli stessi partecipanti a quelle rivoluzioni, come Rosa Luxemburg e Karl Liebchneckt. In Italia, il biennio rosso vide momenti di lotta molto accesi, ma non si arrivò neppure al tentativo di rivoluzione. In Polonia, la sconfitta dell’armata rossa alle porte di Varsavia spense i sogni di portare la rivoluzione nel cuore dell’Europa. Il secondo congresso dell’Internazionale comunista, iniziato il 19 luglio 1920, si aprì con la speranza di una rivoluzione socialista europea, suscitando rivolte proletarie sostenute dall’armata rossa, similmente a quanto avvenuto dopo la rivoluzione francese, i cui ideali erano stati diffusi in Europa anche dalla baionette francesi, oltre che dai circoli giacobini locali.

L’internazionalismo fu forse una delle pagine più belle della rivoluzione, con personaggi come John Reed, Jacques Sadoul, Victor Serge e tanti altri che accorsero in Russia per battersi per la rivoluzione socialista mondiale, rendendosi conto che da una parte c’era tutto il putridume del passato (nazionalismo, superstizioni, privilegi di classe, miseria, dispotismo), dall’altra il tentativo di creare una società di liberi e uguali. La Terza internazionale fu uno strumento per creare questo mondo nuovo, ed aveva un ruolo affatto secondario nella strategia leninista. Lenin e i bolscevichi si rendevano conto che in Russia la rivoluzione aveva vinto perché quel paese era l’anello debole della catena, ma avrebbe trionfato solo quando i proletari dei paesi europei più sviluppati avrebbero preso il potere e abbattuto il capitalismo nei loro paesi.

Credo che, in estrema sintesi, si possa affermare che l’essenza della vita e dell’opera di Lenin è consistita nel cercare di capire come cambiare radicalmente la struttura economica e sociale, e nel provare a farlo, avendo come bussola il marxismo da quando, per sua stessa ammissione, nel 1899 divenne marxista. La sua era una radicalità assoluta nell’obiettivo da perseguire e duttile nella tattica. A seconda delle situazioni, riteneva opportuna per esempio la partecipazione alla Duma in una fase di riflusso delle mobilitazioni popolari e invece era per l’insurrezione armata quando vedeva le masse disponibili a una rottura rivoluzionaria per farla finita con la guerra e la miseria. Tutto fa brodo per conseguire l’obiettivo, dalle rapine di Kamo (“il mio brigante preferito”) per finanziare il partito all’accordo con la Germania per tornare in Russia dall’esilio svizzero.

La radicalità di Lenin emerge plasticamente come quando tornò dall’esilio e sferzò i dirigenti bolscevichi ad elaborare una strategia per rovesciare il governo provvisorio e prendere il potere, mentre quasi tutti lo ritenevano assurdo. All’arrivo del treno a Pietrogrado, il 16 aprile 1917, Lenin fu accolto da una folla esultante che aveva una vaga idea di Lenin, dal guardiamarina Maksimov che ordina il saluto militare (poi dirà: "Se avessimo saputo per quali vie era rientrato in Russia, invece di urlare evviva gli avremmo detto vattene, torna dai tedeschi") e da un discorso del menscevico Ckheidze, in cui invitava a difendere il governo emerso dalla rivoluzione di febbraio, e che Lenin voleva invece abbattere! Lenin, infastidito, ignora deliberatamente il benvenuto e si rivolge agli operai e soldati, inneggiando alla rivoluzione proletaria mondiale, altroché difendere il governo di coalizione coi borghesi: "Marinai, soldati, operai, voi siete l’avanguardia dell’esercito proletario mondiale. L’aurora della rivoluzione socialista mondiale è già spuntata, l’intera costruzione del capitalismo europeo può crollare da un momento all’altro. Viva la rivoluzione socialista mondiale".

Poi, quella stessa notte, agli sbigottiti membri del comitato centrale bolscevico spiega che occorre non sostenere il governo, ma spiegare alle masse che è un nemico perché non fa finire la guerra e non espropria i capitalisti.

Credo che la radicalità sia la maggior eredità ideale che Lenin ci ha lasciato. Radicalità ampiamente giustificata dall’epoca in cui viveva, in cui l’unico giudizio che una persona minimamente razionale potesse dare sulla prima guerra mondiale era che fosse un orrendo massacro senza senso, e l’unico comportamento decente che un partito potesse avere fosse opporsi ad essa se ne aveva la possibilità.

L’assalto al cielo è finito male, certo. Ma senza teoria rivoluzionaria, sosteneva Lenin nel “Che fare?”, non vi può essere movimento rivoluzionario. Per questo, credo che a una persona razionale come Lenin, farebbe piacere se oggi si analizza il suo pensiero e la sua opera, senza nasconderne limiti e fallimenti, ma restituendoci alcuni elementi di attualità.

Marx non ha delineato la futura società socialista perché non voleva dare “ricette per le osterie dell’avvenire”. Lenin, la società socialista ha provato a costruirla. Anzi, nella prefazione al “Che fare?”, scrive che non ha fatto in tempo a terminare l’ultimo capitolo perché era l’ottobre 1917 ed “è più piacevole e più utile fare l’esperienza di una rivoluzione che non scrivere su di essa”. Cercare di capire cosa Lenin ha elaborato e realizzato, può essere utile per chi oggi cerca idee e pratiche politiche radicali.


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