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La Forza di un Parco

Un sito archeologico che non si può ignorare visitando il confine tra le province di Siracusa e Ragusa: il Parco Forza di Ispica.

di Piero Buscemi - mercoledì 13 gennaio 2016 - 3453 letture

In un angolo della Sicilia, fino a trecento anni fa, gli abitanti di questo luogo scendevano 280 gradini scavati nel tufo per accedere all’alveo del fiume sottostante e procacciarsi l’acqua. Oggi bisognerebbe avere la stessa umiltà, per apprezzare e rispettare quanto la natura ci ha donato e che, spesso, non meritiamo.

Ripercorrere la Storia lascia sempre immensi dubbi su come la nostra generazione stia vivendo il presente, sottovalutando che rappresenti la continuità di un passato che ha lasciato le sue orme, non solo da seguire, ma anche da correggere spinti da un destino comune verso un mondo migliore da lasciare i posteri.

Non sempre va così e, quasi a voler trovare un riscatto culturale, sentiamo il bisogno di visitare i luoghi calpestati dai popoli che ci hanno preceduto. Ricostruire il quotidiano tra l’umiltà e la prosperità, confini sociali da sempre tra il mondo rurale e i "signorotti" di ogni tempo, a contendersi i territori.

In questi giorni lo abbiamo fatto, capitando quasi per caso, al Parco Forza di Ispica, il sito archeologico dell’antica cittadella Spaccaforno, che conserva i ruderi e le grotte, simbolo di questa separazione sociale che, per assurdo, nei secoli passati e nel prossimo futuro, si è sempre trasformata, e si trasformerà, in complicità davanti agli sconvolgimenti e i cambiamenti imposti dalla natura.

Non si sottrae a questo destino neanche questo sito. Lo si rivive davanti ai ruderi del Palazzo Marchionale, del quale sono rimasti qualche muro perimetrale e le tracce di quelli divisori ad indicare gli antichi ambienti. Il dominio sulla vallata, denominata Cava Grande, ci riporta ad oltre tre secoli fa, quando la magnificenza di queste mura non ha potuto contrastare la forza del terremoto del 1693 che in questi luoghi ha lasciato la sua impronta, livellando i ceti sociali e che, per una misteriosa coincidenza, si verificò il 9 e 11 gennaio, data quest’ultima della quale ci siamo già occupati su queste pagine.

Quasi in segno di riscatto, le grotte scavate nel tufo, adibite ad abitazioni e a stalle per animali, per la loro stessa semplicità di realizzo, sono sopravvissute al sisma. Così vicine tra loro, da far intuire come l’attività lavorativa a servizio del signorotto locale era in osmosi con la vita stessa, restituiscono al visitatore quella ruralità e semplicità che l’uomo moderno va ricercando e che si illude di poter assaporare nelle speculative strutture agroturistiche dei nostri giorni.

 

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Centoscale
Centoscale

 Neanche la chiesa dell’Annunziata, posta non troppo lontano dal Palazzo Marchionale, ha potuto opporsi alla furia distruttrice del terremoto, lasciandoci le tombe scavate nel tufo, che ci hanno fatto ricordare la poesia di Totò, A’ livella . Ma il simbolo del sacrificio e della necessità-virtù, quasi scomparsa dal nostro quotidiano, è rappresentato dal cunicolo scavato nella roccia, chiamato semplicisticamente "Centoscale", ma che ne conta quasi trecento scalini, che dalla parte alta della cittadella conduceva in basso alla Cava, usato molto probabilmente per il rifornimento d’acqua o, forse, come segreta via di fuga.

Un luogo da un passato che ha attraversato i secoli, dall’età del Bronzo al terremoto del 1693, passando per il periodo medioevale. Un luogo che merita di essere visitato, come momento di riflessione e di contatto con la storia della nostra terra che, forse, avrebbe dovuto stimolare il nostro rispetto per il territorio e che avrebbe dovuto renderci più consapevoli della nostra caducità e precarietà davanti ai fenomeni naturali, affascinanti e sconvolgenti, davanti ai quali, non possiamo pretendere di mettere solo la nostra presunzione.


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