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L’inarrestabile desertificazione industriale della Sicilia

Il caso Wind Jet è l’ultimo – in ordine di tempo – di un fenomeno che appare viepiù preoccupante e drammatico: la desertificazione dell’assetto produttivo della Sicilia. Per molti dovremmo essere solo consumatori, ma non produttori.

di Emanuele G. - martedì 28 agosto 2012 - 3670 letture

Una domanda banale per iniziare l’articolo. Qualcuno ci vorrebbe relazionare sul presente e futuro economico della Sicilia? Crediamo che la domanda non sia né balzana né frutto del tipico solleone estivo. Perché vedete il ragionamento di fondo è lapalissiano nella sua logica. Se non produciamo come facciamo a creare economia? In sintesi, c’è bisogno di un tessuto economico per creare ricchezza e quindi lavoro. Quest’ultimo crea, a sua volta, reddito da destinare in parte al sostentamento del tessuto economico siciliano mediante i consumi. E’ il modello classico di un’economia virtuosa. Esiste un tessuto economico perché c’è qualcuno che acquista i suoi prodotti e, pertanto, fa guadagnare chi fa parte del succitato tessuto economico. Modello che ci pare non più esistente in Sicilia tanto da farci esprimere tutta la nostra viva preoccupazione in merito. La domanda di fondo è la seguente: se con c’è economia come sarà il futuro della Sicilia?

Tale domanda è scaturita dall’osservazione dello stato di salute dell’economia siciliana. Soprattutto alla luce della gravissima crisi che sta investendo la compagnia area low cost Wind Jet di Catania. Al fine di appurare lo stato dei fatti nel più breve tempo possibile poniamoci la seguente domanda: per caso è in atto la desertificazione industriale della Sicilia? La riposta non può che essere – purtroppo – affermativa. E’ da anni che pezzi sempre più consistenti dell’economia della Sicilia sono scomparsi o sono in via di scomparsa. Vogliamo fare un elenco delle situazioni di crisi in atto? Si può partire dal drammatico caso della Fiat di Termini Imerese per passare alla cessazione di attività di imprese nel settore commerciale. Oppure il blocco di attività della Fincantieri, dell’Enel di Gela, della Italcementi, della Nokia, del distretto dell’abbigliamento di Bronte od ancora del distretto agroalimentare del Val Dittaino. L’elenco potrebbe continuare all’infinito in quanto i settori colpiti dalla crisi sono davvero innumerevoli: l’agricoltura, l’edilizia, i servizi, i trasporti, il manifatturiero… Insomma, si ha l’impressione di una regione, quella siciliana, che ha deciso di non avere economia.

La crisi non è per nulla congetturale, bensì di sistema. Le ragioni? Attengono alla storia delle politiche economiche adottate in Sicilia dal secondo dopoguerra in poi. Cerchiamole di riassumerle brevemente. Il primo periodo attiene agli anni cinquanta allorquando è presidente della Regione Sicilia La Loggia. Egli punta a una consistente industrializzazione della regione come unico modo per toglierla dalla secolare miseria in cui versava. E’ il periodo dello sbarco dell’Eni di Mattei in Sicilia. Tuttavia, il tentativo fallisce poiché indurre dall’alto un’iniziativa economica spesso sortisce l’effetto opposto. Per un po’ magari funziona, ma alla fine quella iniziativa risulta estranea e continua a vivacchiare senza prospettive utili per sé e per i territorio in cui è inserita. Infatti, i petrolchimici dell’Eni risultano tutt’oggi come un handicap al reale sviluppo dei territori di Milazzo, Gela e Siracusa. Dopo questo primo tentativo si tendo dagli anni sessanta in poi il coinvolgimento diretto della Regione nell’assetto economico e produttivo della Sicilia. Anche qui i risultati furono per lo meno disastrosi. Furono costruiti dei carrozzoni clientelari che non rispondevano a una logica di programmazione economica, bensì di servitù dell’economia ai bisogni clientelari della politica e della mafia. Infine, la favola di costruire un network di Pmi in Sicilia. Iniziativa senza dubbio lodevole. Anzi la migliore perché finalmente si era capito che dalle Pmi poteva sorgere un assetto economico plausibile. Anche questo tentativo fallisce – mi riferisco ad esempio alle Asi – in quanto le aziende errano prive di infrastrutture logistiche e di approdo sui mercati esteri. Nonostante tutto la Sicilia continuava e continua ad essere una terra ostile alla creazione di un’economia competitiva e organizzata in maniera moderna.

Gli effetti sommatori di decenni di politiche economiche sbagliate trovano oggi il loro drammatico appalesarsi poiché quel poco che si era riuscito a creare sta cedendo in maniera drammatica. Ci sono – è bene dirlo – prima di tutto della cause endogene accumulatesi negli anni. Naturalmente l’attuale crisi mondiale non ha fatto altro che far esplodere in tutta la sua tragica evenienza uno stato latente di non economia che si andava consolidandosi già da un bel po’. Come uscirne? E’ un problema serissimo. Non si potrà uscire dall’oggi al domani dalla crisi. Decenni di assenza di politiche economiche non si possono cancellare nello spazio di un mattino. Noi – sommessamente – ci permettiamo di indicare tre aree sensibili. La prima afferisce all’autonomia. Questa benedetta autonomia alla fine si è rivelata più una palla al piede che un efficace strumento per asservire il giusto desiderio allo sviluppo della Sicilia. O la si applica con convinzione oppure meglio abrogarla. Un’altra area sensibile attiene al clientelismo. E’ una mala pianta che distrugge qualsiasi progettualità in campo economico. L’economia globalizzata vuole territori concorrenziali, mentre il clientelismo atavico siciliano rappresenta l’esatto opposto. Con il clientelismo non potremo mai essere degni di nota a livello internazionale. Terzo, la mafia che con il suo fare violento altera profondamente le dinamiche sociali e economiche della Sicilia. Un’economia soggetta alla direzione della mafia non potrà mai servire al popolo siciliano tanto meno a rendere la nostra terra presentabile a livello internazionale. Ecco se cominciamo ad attivarci a partire dalle succitate aree sensibili allora ci sono fondate speranze di poter ricostruire un assetto economico che al momento sembra in fase di desertificazione.

Se non dobbiamo essere produttori a causa delle non scelte della politica, ci è stato imposto – è questo l’aspetto pericoloso della desertificazione industriale della Sicilia – il ruolo poco edificante di consumatori. Infatti, se vi fate un giro della Sicilia vedrete che siamo pieni di centri commerciali, sale di ricevimento, sale per giocare e centri fitness. Questo è il modello economico che raffinate menti hanno determinato di applicare alla Sicilia? E’ un modello inquietante e per motivi che intendo rappresentarvi qui di seguito. Il fatto di essere consumatori indica in maniera evidente che siamo più o meno una colonia che deve acquistare beni e servizi prodotti altrove. Un po’ come gli indiani che producevano il cotone e dovevano acquistare dall’Inghilterra capi di vestiario di cotone! Come possiamo essere consumatori se apparentemente siamo poveri? Cioè non abbiamo disponibilità di reddito per i consumi? Questo apre degli scenari niente affatto positivi. Ciò fa capire il peso dell’economia illegale che fornisce alla gente i soldi per spendere. Una ricerca del Sole 24 Ore di un due anni fa ha evidenziato che al reddito legale in Sicilia bisogna aggiungere un 50 % in più di derivazione illecita. Inoltre, l’incitare la gente a spendere significa che c’è molta gente prigioniera delle c.d. “finanziarie” le quali finanziando i consumi della gente irretisce un numero sempre maggiore di persone in un sistema di credito al consumo che non si differenzia molto con l’usura. Ma l’importante è essere consumatori anche se questo presuppone una diffusione inquietante dell’economia dell’illegalità nelle normali dinamiche del consumo.

In sede di conclusione: quando noi siciliani ci riprenderemo il ruolo di protagonisti nelle scelte di politica economica che riguardano la nostra terra? Fino a quando dovremo accettare la desertificazione economica della Sicilia solo perché a Roma o altrove si è pensato di affibbiare a noi siciliani il ruolo di semplici consumatori? Poi se tali scelte si traducono in un dilagare dell’illegalità non importa. L’importante è giocare il ruolo di pecorelle asservite in modo da lasciare agli altri i profitti di sfruttamento della nostra terra. Quando reagiremo? Eppure la possibilità di ribaltare tale drammatica situazione è già innanzi ai nostri occhi. Basta ripartire dal dare pieno significato etico, economico, politico e sociale a termini quale autonomia, legalità e responsabilità.

Appendice:

Il caso della Wind Jet dovrebbe far finalmente riflettere noi siciliani sulla qualità dei trasporti. Che è pessima e sta portando la Sicilia a rimanere isolata rispetto al sistema mondo. Riassumiamo velocemente le innumerevoli criticità dei trasporti in Sicilia:

Ferrovie – Con il taglio dei convogli notte non abbiamo più un barlume di trasporto passeggeri su rotaia che ci colleghi con il resto del paese. Per non parlare dei collegamenti interni alla regione. Quasi del tutto assenti;

Aerei – La crisi della Wind Jet di fatto causerà una diminuzione dei collegamenti aerei da e per l’isola con un aggravio di spesa per noi cittadini. Inoltre, che ne sarà dell’aeroporto di Catania il cui bilancio già prevede una perdita secca di almeno 7 mln di euro per l’anno in corso proprio a causa della Wind Jet?

Trasporto merci – L’aumento del pedaggio sullo Stretto di Messina e la concomitante crisi della società degli interporti siciliani renderanno il trasporto delle merci siciliani più costoso e meno agevole. Fra l’altro la Sicilia deve andare a Maddaloni in provincia di Caserta per caricare su rotaia le proprie merci!

Autobus – Il quasi fallimento dell’Ast e la riduzione del contributo a kilometro per tutte le società concessionarie di trasporto urbano ed extra-urbano comporterà un considerevole aumento delle già critiche condizioni della mobilità delle persone in Sicilia;

Porti – Non sono molto competitivi e stanno perdendo di centralità rispetto al sistema porti del Mediterraneo. Al momento sono entità incapaci di assicurare una decente mobilità delle merci prodotte in Sicilia. Per non parlare dei collegamenti con le isole minori. Meno frequenti ed efficienti. Il che sta comportando l’isolamento delle medesime rispetto alla stessa Sicilia;

A ciò aggiungasi che la Regione Siciliana non ha mai deliberato di redigere il piano regionale dei trasporti. Di conseguenza il quadro di per sé desolante diventa ancora più fosco. Un quesito: per raggiungere il continente dovremmo costruirci delle triremi o attraversare a nuoto lo Stretto di Messina?


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