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L’Italia (di Sanremo) che essi vogliono

Quella di San Remo non è una "normalizzazione" ma un vero e proprio golpe culturale

di Sergej - domenica 21 febbraio 2010 - 2121 letture

L’Italia che essi vogliono. Questa in fondo è la vicenda che sta alla base dell’ultimo festival di Sanremo, quello condotto dalla culinaria travestita da mamma Antonella Clerici, e che ha portato alla vittoria l’idolo delle teen-ager televisive Mediaset Valerio Scanu, e al secondo posto il trio reazionario-populista composto da Pupo e da Emanuele Filiberto Savoia (il terzo signor nessuno è un certo Luca Canonici, nome che credo nessuno ricorda né ricorderà in avvenire). Una edizione dai buoni indici d’ascolto, egemonizzata dalla co-conduzione di Maurizio Costanzo (Mediaset/Berlusconi) e Antonella Clerici (Rai), con la partecipazione da spettatore di Pierluigi Bersani tra il pubblico, ad avallare il ruolo dell’opposizione in questo Paese: se nel Ventennio l’opposizione fu accusata di "stare sull’Aventino", cosa si dovrà dire di questa opposizione che si limita a "stare a guardare" un po’ impotente e un po’ complice del "lavoro sporco" compiuto dal regime anche per conto loro, nell’unitarietà sostanziale di classe? La decisione di comporre i vincitori, fatta a tavolino, è propria del regime che sta compiendo allo stesso modo tutte le sue disposizioni amministrative e governative. Un dirigismo che sta dietro le quinte, un tavolo di comando che non ammette controllo né partecipazione di altri all’infuori dei funzionari cooptati a questo ruolo dal Pensiero Unico che domina la testa del Paese. Con questo festival il regime compie un passo in avanti, un passo di non ritorno. Mostra come non ci sia possibilità che la storia di questo Paese sia diversa da quella dettata dal regime. Se gli orchestrali, specchio dei lavoratori coscienziosi che svolgono ogni giorno il loro lavoro e cercano di farlo al meglio, secondo coscienza e competenza - stracciano gli spartiti per protesta, questo è l’unico spazio che chi non ci sta può avere all’interno del regime. Segno residuale della complessità della sociaetà italiana, di ciò che una volta era democrazia e presenza di forze e persino classi diverse, ma che oggi non può fare altro, avendo avuto tutti i mezzi di espressione e azione democratica tarpati o eliminati (in politica, si pensi alle votazioni in cui si possono avallare solo i nomi dei candidati scelti dalla Nomenklatura del regime, secondo un sistema bulgaro e non certo democratico).

Sanremo è sempre stata manifesto di ciò che in quel momento il potere voleva che fosse la società italiana. Alla fine degli anni Sessanta la contestazione verteva proprio su questo: il rifiuto da parte di molti di quello specchio, in cui non ci si riconosceva. Si pensava, allora, che la società rappresentata a Sanremo fosse "indietro" rispetto alla realtà della società italiana, e nello stesso tempo premevano forti spinte all’innovazione. La spinta proveniva dalla necessità portata dall’industrialismo nordamericano a superare il blocco cattolico e fascista dominante in Italia; e questo aveva aperto la via anche ad altre spinte innovatrici, provenienti dal razionalismo e dall’illuminismo borghese (il riformismo di vari gruppi politici, si pensi agli Azionisti, agli Olivettiani o ai gruppi riformisti dentro il partito Socialista) fino a forme di varia matrice libertaria (comunisti, sinistra extraparlamentare ecc.). Il compito oggi che è stato dato ai funzionari di Sanremo è stato quello di "normalizzare" la manifestazione ma imponendo non una convergenza all’interno di una composizione dialettica, ma proprio imponendo una terza via: che è quella propria di questo regime pidduista. E’ anche ciò che affascina una parte delle frange "giovani" del potere, quello di pensare se stessi come una "rivoluzione". La reazione nel momento in cui sceglie una strada di rottura, e non tradizionalmente di compromesso, compie una "rivoluzione". La rivoluzione della Destra in Italia, quella che non c’è mai stata e che ha dato i suoi frutti nell’Inghilterra della Thatcher.

Nell’Italia cattolica e fascista, la rivoluzione tahtcheriana che arriva ora, con vent’anni e passa di ritardo, si configura come regime a forte connotato sudamericano. Un peronismo senza gli spiriti socialisti di Peron. Per ora senza le sciabole, i desaparecidos e le persone buttate fuori dagli aerei di Pinochet e dei golpisti argentini. Ma proprio perché non c’è opposizione - se non quella estetica e il ribrezzo per il sangue proprio di parte della vecchia borghesia illuminata italica - nulla vieta che non si scavalchi il muro e che non si faccia anche questo. D’altra parte, senza i niet nordamericani, con la borghesia italica lasciata sola a se stessa, chi può impedirglielo?

Nell’Italia che essi vogliono, la composizione egemonica e culturale che è stata posta ieri a Sanremo ottiene un nuovo tassello, importante per questa egemonia. Un ennesimo tassello. D’altra parte, si può "morire" per difendere il festival di Sanremo? Se ne può fare un campo di battaglia politico? Per chi non comprende che le egemonie culturali e politiche passano anche attraverso i festival musicali, e le piazze, i quartieri, il lavoro, le amministrazioni, gli uffici e i servizi pubblici (l’acqua privatizzata...), chiaramente no. Il Popolo delle Libertà è stato creato apposta per chiudere le libertà in questo Paese. La libertà di ascoltare musica, anche. Perché tutti intanto si debba ascoltare le canzonette e gli inni del regime; nella stretta progressiva che, foglia dopo foglia, ci ritorverà tutti nudi e alla completa mercé di chi comanda. Orwell sapeva cosa scriveva, nel 1948.


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