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Il laboratorio Colombia

Intervista al prof. Antanas Mockus che ci spiega alcune cose su una Colombia ben differente dall’identificazione “cartelli del narcotraffico” e “FARC”

di Emanuele G. - mercoledì 13 gennaio 2016 - 6414 letture

In Occidente spesso – sarà dovuto a una nostra presunta superiorità? – guardiamo agli “altri” attraverso la lente deformante dei preconcetti e delle semplificazioni banalizzanti. Per quanto riguarda la Colombia ci vengono in mente solo due aspetti: droga e le FARC. Poi il buio più completo… Eppure da anni nel paese sudamericano è in atto un profondo processo di cambiamento. Un cambiamento avviato da due versanti. Quello sociale mediante nuovi processi di socializzazione e quello politico grazie a riforme il cui obiettivo è l’implementazione di forme avanzate di partecipazione. Tale processo di mutazione sta provocando un vero e proprio risveglio in tutti i campi in Colombia. Un risveglio che attraversa le città, l’università, i corpi intermedi, il welfare, le attività economiche. Un esempio su tutti è rappresentato dalla città di Medellin divenuta in poco tempo un modello condiviso di governo di una comunità assurto a notorietà mondiale. Su quanto sta succedendo in Colombia – apripista per l’intero Sudamerica? – abbiamo intervista il due volte sindaco di Bogotà il prof. Antanas Mockus.

Come giudica la situazione della Colombia?

“Credo che la Colombia stia trovando la soluzione ai suoi problemi. Prendiamo ad esempio la questione riguardante le FARC. Le recenti trattative che si sono svolte a Cuba lasciano intravedere la possibilità di trovare una soluzione condivisa. In questa direzione si sta muovendo il nostro Presidente che ha lanciato una massiccia campagna di coinvolgimento della popolazione. In generale bisogna constatare che la Colombia sta procedendo nella giusta direzione. D’accordo ci sono delle incertezze, ma si sta trovando finalmente la possibilità di risolverle una buona volta per tutte.”

La Colombia è conosciuta nel mondo per droga e FARC… Credo che la realtà sia ben differente…

“La Colombia è un paese molto più complesso rispetto alla semplificazione espressa nella sua domanda. Il semplice fatto che il processo di pace sia ripartito sta generando un dialogo diffuso e su molti livelli in tutto il paese. Ciò comporta l’insorgenza di situazioni in apparenza senza soluzione oppure altre dove la soluzione, al contrario, è a portata di mano. Bisogna comprendere che tale dibattito non è facile visto la complessità della situazione del nostro paese. Nondimeno è un periodo davvero significativo per la Colombia. E’ in atto un processo di riforme culturali e sociali che vanno in profondità. L’obiettivo principale è quello di combattere la povertà assoluta perché vi sono ancora troppe disuguaglianze. Al momento siamo ottimisti in questo senso. Aggiungasi, inoltre, una decentralizzazione dello Stato in grado di fornire alle strutture di governo locali strumenti di intervento in campo sociale molto importati. Infine, è significativo che sia in atto un diffuso attivismo sociale che tenta di incidere in maniera decisiva sul numero delle armi in giro.”

In molte città della Colombia, a partire dalla capitale, è stato costruito un nuovo modello di amministrazione e partecipazione…

“Basta prendere l’esempio di Medellin dove un forte processo di decentralizzazione ha permesso a tutti gli attori coinvolti di costruire una nuova contestualizzazione della città. Contestualizzazione che è servita per dare un nuovo senso di appartenenza alla popolazione. Medellin è la città che ha meglio assimilato questo nuovo tipo di politica e cultura cittadina. Un esempio che si sta diffondendo in tutta la Colombia. A partire dal sindaco di Calì che si sta muovendo in questa direzione.”

Ci potete parlare della vostra esperienza di sindaco di Bogotà?

“Sono stato sindaco di Bogotà due volte. In Colombia non si può essere eletti sindaci per più mandati consecutivi. Il primo mandato ha riguardato gli anni che vanno dal 1995 al 1998. Fra la prima sindacatura e la seconda c’è stato ovviamente un altro sindaco. Il secondo mandato di sindaco di Bogotà va dal gennaio del 2001 – anche se ero stato eletto nel 2000 – fino al 31 dicembre del 2003. Proprio in riferimento a quest’ultimo mandato devo dire che sono stato eletto a seguito di una campagna elettorale piuttosto economica. Appena 12.000 dollari! Mi sono rivolto a due canali prioritari per sviluppare la mia campagna elettorale: l’università e i media. Se abbiamo delle buone idee innovative possiamo, nelle società contemporanee, implementare nuove modalità di fare politica. Nel frattempo è intervenuta una riforma costituzionale che ha supportato tale innovazione nel senso di aprire nuovi spazi politici. Il problema era costituito dalle persone che non erano iscritte nei partiti. Prima della riforma avevamo in Colombia circa 70 partiti! Ora ne abbiamo 7/8 più alcuni altri rappresentativi di istanze locali. In breve, ho governato in tutta libertà e tenendo a mente la libertà di tutti. Quando mi sono insediato c’era il problema di imporre nuove tasse e aumentare quelle che erano già in vigore. Un problema piuttosto evidente in occasione del mio secondo mandato in quanto era in atto una grave crisi sociale. Il ricavato delle tasse non era sufficiente per coprire le spese sociali. Si trattava di una crisi impressionante. Lei deve pensare che i ceti meno abbienti avevano perso il 30% del loro potere di acquisto! Abbiamo fatto fronte a tale drammatica situazione operando su due fronti. Investendo importanti risorse finanziarie della municipalità e vendendo la metà della nostra società elettrica. La capitalizzazione di questa società ha permesso di reperire risorse in modo da assicurare entrate stabili alla città di Bogotà. Non sono contro le privatizzazioni a prescindere. Bisogna, piuttosto, giudicare caso per caso. Se si amministra in maniera appropriata si possono sempre trovare le giuste misure.”

In che modo Bogotà è cambiata nel corso dei vostri due mandati sindacali?

“Le mie priorità allorquando divenni per la prima volta sindaco di Bogotà erano gli spazi a verde, la tutela della natura e dei beni pubblici. Ma prima di tutto di cambiare alcuni aspetti della cultura dominante. Alcuni hanno definito questo insieme di interventi come “cultura de la tarde”. Succede che qualche volta i membri di una famiglia o dei dirigenti di impresa o di un’organizzazione non trovino delle risorse per fare quello che desiderano in modo legale. Quindi si industriamo per battere nuove strade in modo da raggiungere i loro obiettivi. Ma lo fanno in modo illegale. Bogotà in tutti questi anni ha cambiato molto i suoi modelli di interrelazione, rispetto e di vivibilità. Il tasso di fiducia fra i cittadini è di molto aumentato. Quando succede questo si ha una naturale propensione ad avere una maggiore fiducia nel proprio avvenire e in quello della città. Il mio primo mandato è iniziato a gennaio del 1995 e mi sono subito accorto che solo un terzo della comunità cittadina aveva fiducia nell’avvenire. Invece, nel corso dei primi mesi del mio secondo mandato questa fiducia riguardava più dei due terzi dell’intera cittadinanza! Mi sono impegnato nell’utilizzo della logica e dell’arte con lo scopo di migliorare l’educazione di noi stessi e di tutta la cittadinanza. Abbiamo dato molta importanza alla formazione. Abbiamo innovato gradualmente anche per quanto riguarda la dislocazione sul territorio comunale dei vigili urbani con l’obiettivo di rendere più efficienti la circolazione sia delle auto private che dei trasporti pubblici. Un altro step è stato rappresentato dall’ottimizzazione dell’uso dell’acqua. In breve, noi cittadini non siamo cittadini per nascita, ma dobbiamo imparare ad esserlo. E lo siamo quando siamo rispettati nei nostri diritti fondamentali e impariamo a rispettare quelli degli altri.”

Per governare una città o un paese c’è bisogno di grandi progetti o piccole cose?

“Entrambe le cose. Tuttavia possiamo apprendere grandi cose a partire da quelle più piccole ed in apparenza insignificanti. La copresenza di aspetti maggiori con altri meno importanti può diventare la scintilla che ci mena a realizzare grandi progetti”.

Non soffriamo, per caso, di iperdemocrazia?

“Non credo che siamo in una fase di troppa democrazia, anzi il contrario… Purtroppo… Ho preso dei rischi per pianificare il mio avvenire e le cose che avrei voluto fare in politica. Il mio interesse principale è la partecipazione. Mai ho cercato di spingere la gente a votarmi. Tutto è stato realizzato garantendo a ognuno la propria libertà di espressione. Per me rispettare i desideri dei cittadini è un obbligo morale. Al limite mi sono riservato il diritto di dare degli obiettivi finali in base a un piano strategico. Ci sono sì dei limiti alla democrazia, ma essi sono individuati dalla nostra Costituzione. Questi limiti sono validi per tutti i cittadini”.

In che modo la vostra esperienza di professore universitario ha influenzato la sua attività di sindaco di Bogotà?

“In quanto studente prima e poi studioso/professore universitario ho avuto la fortuna di leggere e tradurre dei libri. Fra i quali uno ha ritenuto la mia attenzione: “La Riproduzione” di Jean-Claude Passeron. Un libro molto stimolante per chi compie studi di matematica. Quando mi sono trasferito a diciassette anni in Francia le tematiche affrontate dal libro di Jean-Claude Passeron erano al centro del dibattito. Soprattutto in riferimento alla collaborazione fra università e formazione. Certo c’erano delle opposizioni. Scioperi. Non si voleva che i professori delle scuole di primo e secondo grado ricevessero una formazione universitaria. Anche gruppi di studenti radicali protestavano in tal senso. Proteste che hanno causato uno shock nel mondo della formazione universitaria in Francia. Come professore universitario mi sono avvalso degli studi e dei saggi di Jean-Claude Passeron. Di conseguenza, mi sono impegnato in prima persona a combattere contro qualsiasi tipo di violenza. Soprattutto quella fisica. La violenza politica che significa dibattito appassionato può andarmi anche bene. Sempre nel rispetto, ovviamente, delle regole democratiche ”

Ci può spiegare come la cultura può diventare un atout essenziale per costruire dei nuovi modelli di partecipazione e democrazia?

“Ogni aspetto della vita non è mai scollegato dalla cultura e dai suoi processi. Quando si affronta i problemi quotidiani di una città e di una comunità bisogna sempre andare oltre al mero problema avendo capacità descrittiva e comprenderne appieno il significato. Al momento di programmare e coordinare le azioni da implementare viene sempre in soccorso la cultura. Grazie alla cultura riusciamo a rintracciare aspetti poco evidenti. Aspetti che una lettura frettolosa ci spinge a dimenticare o a non prendere in considerazione. La cultura è una sotto specie di caleidoscopio che da colore alla vita. Ma c’è un altro discorso da fare. In Francia è uso corrente che la mediazione fra cittadini sia fatta dagli stessi cittadini. In Colombia il processo è agli inizi. Quando mi trovavo in Francia notavo che la gente si mandava a quel paese al momento di uscire o entrare dalla metropolitana, ma tutto finiva lì. Ecco insegno ai miei studenti come mandarsi a quel paese in modo da evitare le aggressioni fisiche.”

Quali sono le scommesse più importanti che la Colombia deve affrontare per il suo futuro?

“La pace innanzi tutto. E’ un traguardo che non è facile da raggiungere. Bisogna perdonare tutto il male commesso in passato. E’ una preziosa possibilità. Tuttavia per perdonare bisogna rischiare di chiederlo. Rischiando persino di non riceverlo. Abbiamo il diritto di dare tutta la libertà a chi è stato offeso. Chi ha offeso deve mettersi nelle mani dell’offeso. Quest’ultimo deve chiedere alla propria coscienza se è capace di dimenticare l’offesa. Spesso la gente dice che è pronta a perdonare. Bene bisogna proseguire su questa strada. E’ necessario che ci sia un diffuso rispetto collettivo. In Colombia bisogna fare la pace. Deve essere un paese più giusto. Ciò significa diminuire le disuguaglianze. Il lavoro a questo punto può diventare il volano per la vera svolta del nostro paese. I ricchi devono essere messi in grado di essere efficaci per la Colombia. D’accordo è auspicabile che essi abbiano meno guadagni. Tuttavia non bisogna metterli in un angolo. Dobbiamo porli al centro del nostro rispetto e riconoscenza. Alla Colombia va assicurata la piena funzionalità delle imprese e delle istituzioni. Questa è la nostra sfida. Una diffusa rivoluzione sociale.”

Crediti fotografici: La fotografia è stata tratta dalla pagina ufficiale su Facebook del Prof. Antanas Mockus.

Sito istituzionale del Prof. Antanas Mockus

Per approfondire:

Medellin: come rinasce una città


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