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Il giallo della morte dell’avvocato Libero Corso Bovio

Nel primo pomeriggio di un’afosa giornata di luglio, un famoso avvocato milanese, Libero Corso Bovio, senza alcun apparente motivo si suicida: è nato un mistero.

di Ornella Guidi - giovedì 26 luglio 2007 - 18901 letture

E’ luglio, aria di ferie imminenti e lavoro incessante prima della pausa estiva. Anche l’avvocato Corso Bovio si prepara alle sospirate vacanze, domenica 8 luglio chiama il marinaio addetto alla sua nuova barca e gli dà appuntamento per il giorno 24. Prima di partire però devono essere portati a termine gli impegni di lavoro, così il lunedì seguente, 9 luglio, con un suo collaboratore si reca al tribunale di Prato, in Toscana, per tenere un’arringa e insieme ritornano a Milano intorno alle ore 14. L’avvocato appena arrivato dà una busta al collaboratore chiedendogli di consegnarla alla moglie, gli avrebbe detto lui quando, poi entra nel proprio studio e si spara un colpo di pistola in bocca.

Chi era Corso Bovio?

Era un celebre avvocato, rampollo di una importante famiglia di origini pugliesi napoletane, il padre era stato uno dei migliori avvocati di Milano, purtroppo morì giovane, all’età di 59 anni per un infarto, il figlio ne segue però le orme diventando avvocato penalista e pubblicista, esperto in diritto all’informazione, giornalista professionista ed anche avvocato cassazionista; per anni l’avvocato Bovio ha difeso le più importanti testate giornalistiche italiane ed ha formato, attraverso la sua attività di docente, generazioni di giornalisti.

Corso Bovio viene apprezzato ed ha successo per la sua intelligenza, la sua brillantezza e acutezza, è un grande assertore della vittoria del processo, l’imputato non si deve difendere aggirando il processo come è accaduto ad esempio nel delitto di Cogne, la bravura dell’avvocato consiste nello smontare i pezzi dell’accusa con l’arma del proprio sapere. Un uomo rigoroso che non si affida a "mezzucci", anche mediatici.

Gli piace molto scrivere; quando vengono arrestate, dopo una ricerca serrata, due ragazze rumene accusate di aver ucciso (la maggiorenne) una giovane ragazza italiana infilandole "d’impeto" la punta di un ombrello nella cavità orbitale con conseguente sfondamento del cranio, l’avvocato Corso Bovio scrive un articolo contro la gogna mediatica che colpevolizza le ragazze in quanto prostitute e rumene, sicuramente chi ha ucciso non voleva uccidere...

Un uomo dunque non arroccato dietro i suoi privilegi di professionista di successo, un uomo attento ai margini, il giornale Panorama lo ha descritto come "uno con il pallino della verità". Viene ricordato, coro unanime, come un uomo di spirito, di stile, pronto a cogliere l’ironia nelle cose del mondo, un uomo, suppongo, amante della vita anche in virtù delle quattro mogli che ha avuto.

Senza offendere i matrimoni felici, spesso proprio chi si ferma al primo matrimonio fa parte della schiera degli sfiduciati dell’amore, di coloro i quali accettano passivi un fisiologico appiattirsi del sentimento e magari mutuano una situazione misera con qualche amante. Chi si sposa quattro volte è quanto meno un appassionato dell’amore, uno che comunque, ad un prezzo alto e non mi riferisco agli alimenti, ne va alla ricerca, che non si ferma per vigliaccheria, si assume le sue responsabilità perché ha fiducia nelle esperienze della vita e non teme bigotti giudizi sociali.

Un uomo che la vita se la sterza come vuole e non si fa vivere, perché si uccide? Forse perché è depresso? La depressione crea uno scafandro che impedisce di "vedere", non ci sono più occhi se non per il proprio dolore, allora come si giustifica questa sua attenzione anche per i casi che non lo riguardavano da vicino, vedi il fatto delle due rumene, tanto che sebbene fosse impegnatissimo trova il tempo e la voglia di scriverci un articolo. Ne scrive uno scherzoso anche per i diritti degli animali, soprattutto per i pesci e lo invia ad un collega.

Ma i suoi veri clienti chi erano? Certamente non le due rumene, i clienti dell’avvocato Bovio appartengono a ben altra tipologia tanto più che la sua specializzazione erano i reati societari, ambientali, fallimentari e contro la pubblica amministrazione. Ecco dunque una serie di nomi eccellenti: Marcello Dell’Utri, pupillo dell’Opus Dei, che nonostante le condanne definitive e non, per false fatture e frode fiscale, tentata estorsione, concorso esterno in associazione mafiosa, siede rieletto in Senato; Stefano Ricucci, uno dei furbetti del quarterino; l’ex ministro della Sanità Girolamo Sirchia; gli attori interessati alla scalata dell’Antonveneta; la Impregilo... uno dei colossi Fiat per le costruzioni, legalmente appartenente a Piergiorgio e Paolo Romiti.

Già, la Impregilo, Corso Bovio era andato personalmente due volte a Napoli in una settimana, aveva consegnato una memoria difensiva di duecentotrenta pagine per difendere l’operato della Impregilo dall’accusa di presunta truffa ai danni della Regione Campania; la società aveva in appalto lo smaltimento dei rifiuti della Campania, gara che aveva vinto nel 1999 contro l’offerta dell’Enel.

Secondo le decisioni dei giudici napoletani Impregilo non potrà partecipare a gare pubbliche sui rifiuti per un anno; l’impresa sarebbe colpevole dell’emergenza rifiuti in Campania in quanto viene accusata di aver saputo da sempre che gli impianti non avrebbero mai funzionato. Alla società sono contestati illeciti penali per truffa, frode in pubbliche forniture ed è stato disposto un sequestro per 750 milioni di euro, intanto gli abitanti della Campania vivono in una discarica a cielo aperto.

Coinvolti sono anche coloro che avrebbero dovuto vigilare e non l’hanno fatto come il presidente della Regione Antonio Bassolino in qualità fino al 2004, di commissario straordinario per l’emergenza rifiuti.

Il presidente della Commissione Ambiente del Senato, Tommaso Sodano, riferendosi all’Impregilo da anni denuncia "la condotta volontariamente colpevole di questa società", Pecoraro Scanio rincalza dicendo che non si poteva mettere nelle mani di una sola azienda tutto il ciclo di smaltimento e di gestione dei rifiuti della Campania.

Certo queste cause sono delle vere e proprie patate bollenti per gli avvocati, anche per quelli bravi come Bovio, eppure non c’è motivo di non credere alla moglie Rita Percile quando pochi istanti dopo la disgrazia ha asserito che il suicidio del marito non poveva essere messo in relazione alle cause che stava trattando.

Sicuramente la signora Percile, che non ha voluto farsi riprendere dalle telecamere mentre rilasciava queste dichiarazioni è in grado di valutare meglio di noi ogni elemento non solo per la vicinanza al marito ma anche per le sue competenze essendo essa stessa avvocato penalista, lavora inoltre in uno studio importante, quello dell’avvocato Ignazio La Russa.

Nell’ambito della famiglia non tutti però la pensano come lei. La zia dell’avvocato, signora Gianna, è convinta del contrario, che le cause della morte possono essere legate proprio al lavoro del nipote, l’aveva visto preoccupato nel gennaio scorso tanto che gli aveva chiesto - chi mai può avercela con te? - e lui le aveva risposto - c’è sempre qualcuno che ti vuole male -.

Ricorda inoltre la signora che il nipote pur non soffrendo di cuore si sottoponeva a regolari controlli cardiologici dopo la morte del padre per infarto, era quindi una persona che aveva cura della propria salute. La signora si sofferma sulla generosità e sulla bontà del nipote; certo è difficile immaginare che un uomo così attento ed equilibrato non abbia valutato il dolore che la sua morte per di più così drammatica avrebbe arrecato alla madre, alla zia, alla sorella, alla nipote, alla moglie, agli amici, ragion per cui la contropartita doveva essere veramente alta. Anche in caso di depressione per arrivare a fare il gesto estremo che va contro ogni naturale istinto di sopravvivenza, questa dovrebbe essere così profonda che un segnale, se pur minimo, qualcuno dei più stretti collaboratori avrebbe dovuto coglierlo.

Ma i fatti rimangono, e il nove luglio scorso, alle ore quattordici, chiuso nel suo studio di via Podgora n.13, l’avvocato cinquantanovenne Libero Corso Bovio si sdraia sul pavimento del suo studio e con una pistola si uccide sparandosi in bocca.

Nello studio, evidentemente grande, qualcuno sente il colpo attutito, un’altra collaboratrice riferisce invece di non aver sentito niente, chi ha sentito va a vedere, trova la porta chiusa a chiave dall’interno. Quando arriva la polizia si cercano, inutilmente, le chiavi della cassaforte, è necessario chiamare un fabbro per aprirla, dentro ci sono alcune pistole, tutte regolarmente denunciate come la Magnum 357; si apre la lettera per la moglie ma non è una lettera d’addio, non ci sono spiegazioni, c’è solo del denaro, 14.000 euro e qualche oggetto personale.

Tutti quelli che lo conoscevano rimangono, secondo le testimonianze rese ai giornali, increduli e sbigottiti, e ricordando l’umorismo, l’ironia, la compostezza, gli innumerevoli interessi, l’amore per il lavoro e il carattere vincente dell’avvocato Bovio, ritengono assolutamente assurdo l’accaduto. In ultimo, l’autopsia non ha evidenziato alcuna patologia e malattia grave.

Parafrasando il celebre detto di Sherlock Holmes viene da dire "quando tutte le ipotesi possibili devono essere scartate non rimane che l’impossibile".


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Il giallo della morte dell’avvocato Libero Corso Bovio
10 agosto 2008, di : Pietro Terenzio, ex scandalo Roma Vetus |||||| Sito Web: Ecco la verita’: Corso Bovio venne assassinato, su ordine di Silvio Berlusconi

Corso Bovio fu fatto ammazzare. E l’ordine e’ stato di Silvio Berlusconi. Egli era avvocato di Paolo Berlusconi, e i due avevano litigato furiosamente, sia in Loggia coperta a Milano che nel suo, di studio, giusto 6 mesi prima del tragico epilogo. Corso Bovio minacciava di far sapere di soldi riciclati alla mafia da parte di Paolo Berlusconi stesso, me lo han detto sia al Rotary di Cso Porta Venezia a Milano che presso la Gran Loggia Italiana Massonica del, praticamente, nuovo Licio Gelli italiano, Giuseppe Sabato, mio ex Gran Maestro e non per niente dipendente Berlusconianissimo in Banca Esperia. Ora tirero’ fuori tutti gli scheletri dall’armadio di Silvio Berlusconi che conosco benissimo essendo stato mio ex socio in Roma Vetus.