Galiza

Comunque, finalmente Galizia...

di Antonio Cavallaro - mercoledì 29 dicembre 2004 - 6453 letture

Banchi di nebbia attraversano l’aria, piove sempre più forte, tiriamo fuori dagli zaini la mantella che poi ognuno sistema all’altro, da lì il Cammino s’arrampica subito per un sentiero di sassi e fango. Dei ciclisti ci chiedono strada e noi li facciamo passare, ci fermiamo a guardarli sparire. Camminiamo pianissimo, solleviamo a fatica le gambe e spesso inciampiamo nei sassi conficcati in terra. La salita aumenta di pendenza e favorisce il formarsi di un sentiero d’acqua piovana che cala da sopra e trova il suo percorso tra le pietre, non possiamo fare a meno di chiederci come abbiano fatto i ciclisti. Devono aver svoltato da qualche parte nella nebbia, ma dove.

La nebbia ci circonda, limita il cielo ma non la montagna, che affiora con gli alberi o con costoni di roccia, sospesi nell’aria come disegnati su una pagina. A sinistra dove la montagna precipita, crea una parete bianca che ci accompagna su e impedisce di vedere il paesaggio sottostante da dove proviene il suono dei clacson delle automobili impegnate nei tornanti. Non mi soffoca, non mi smarrisce anzi la invoco per trovarne nascondiglio, nel bianco come dietro vetri bui, celarmi. Passiamo molto tempo nella nebbia, ne usciamo solo per infilarci dentro una stalla. Credere che sia possibile sottrarsi al giogo della pioggia è una speranza vana, assieme ad una troupe televisiva di Tenerife aspettiamo, prestiamo attenzione e aspettiamo, ma c’è stato concesso solo di poter passare dal fango alla merda.

Poco più avanti una enorme stele di pietra segna l’ingresso in Galizia ma non è solo questo, ne è anche un ritratto. Lo stemma, e un po’ più giù -a lato- il volto di Cristo, sotto al centro la conchiglia e la bandiera dell’UE ad accompagnare la dicitura "Camino de Santiago", sono rispettivamente la faccia, il cuore e lo stomaco. Vergati a mano in caratteri neri e forti di vernice, in alto, in cima, nella spigolosità del gallego il nome "Galiza", in basso, più in basso di tutto la parola "indipendencia: la mente, le viscere.

Comunque, finalmente Galizia, passi affannati e stanchi ne calpestano il suolo mai più disposti a rincorrerlo, i nervi piegano la bocca con una smorfia soddisfatta che i denti stringendosi corrono a cancellare. La Galizia, cani che abbiano contro, legati alla catena dai padroni che li nutrono, passi affannati e stanchi ne sanno misurare la distanza, passi che disposti in cadenza irregolare concludono un’ascesa durata due ore quando, fendendo la nebbia una musica di cornamusa ci trova, ci invita e ci porta dentro: Cebreiro. Complimenti, ben arrivato, com’è andata? E’ stata dura? Come ti senti?


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