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E’ utopia tutto quello che non si vuol fare

... Oggi siamo ancora molto lontani da quel punto di comune costruzione politica del futuro, come mostra la vicenda politica del Recovery Fund.

di Gaetano Sgalambro - venerdì 8 gennaio 2021 - 1768 letture

(Messa a fuoco controcorrente n°9 – Fb del 6 gennaio 2019)

Concludevo così la nota n°7: “Sentiremo mai dire che il fulcro della crescita economica siano il sapere, la conoscenza delle novità del mondo, la ricerca scientifica e umanistica, le licenze brevettuali, la competenza professionale e la meritocrazia, tutte volte a qualificare la produzione della politica, della burocrazia e della collettività? E perché no: anche alla realizzazione dell’equità sociale e, in sintesi, della democrazia costituzionale? Utopia, vero?”

L’auspicio è stato considerato utopia da alcuni lettori e un obiettivo fisiologico o doveroso da due altri. Quest’ultimi due però hanno precisato che per realizzarlo occorrerebbe un preliminare “evento straordinario”: di matrice politica (presumo cruenta) l’uno e di matrice culturale l’altro.

Trovo naturale supporre che per potere impiegare le risorse da me auspicate sia necessario rimuovere prima gli ostacoli che ne hanno impedito finora l’acquisizione e la cui responsabilità grava solidalmente su tutti i partiti storici e sui loro parlamentari. Il che non è proprio una facezia.

Ma non è detto che questo debba essere necessariamente frutto di un cruento evento rivoluzionario o di un evento miracoloso, sconvolgente una situazione di fatto. Tant’è che abbiamo appena vissuto un evento politico elettorale di portata storica che è maturato, inaspettatamente, senza alcuna violenza di strada e senza ispirazioni sacre, ma in modo assolutamente democratico (e laico).

Dopo le elezioni del 4 marzo scorso, infatti, una forza politica nata sulla strada solo da alcuni anni e definitasi movimento, per la prima volta nella storia della repubblica, è entrata in parlamento in maggioranza relativa e in pregiudiziale opposizione a tutti i partiti ivi presenti.

La vera portata storica di tale evento sta nel fatto che questo movimento ci sia riuscito proprio rifuggendo dal riconoscersi partito come tutte le altre forze politiche; dal riconoscersi ideologicamente in nessuna della loro categorie ideologiche; avendo come obiettivo programmatico primario quello di cambiare tutta la classe politica.

E’ solo per questo obiettivo primario che la maggioranza relativa degli elettori votanti gli ha conferito il consenso. E sta in ciò la vera portata storica dell’evento: una parte significativa degli elettori a fronte della grave crisi cronica del paese si è affrancata dall’appartenenza acritica ai partiti storici della prima repubblica.

Tuttavia questo evento straordinario è solo un piccolo passo sulla lunghissima strada verso la soluzione della crisi. Molti passi ancora, per la via web già tracciata, dovranno essere compiuti insieme ad altri nuovi soggetti politici, fino al rinnovo del deteriorato patrimonio umano dei partiti tradizionali (chiedo venia per la franchezza). Solo dopo sarà possibile ripristinare il primato costituzionale del bene della collettività (come avviene in altri paesi più evoluti) su quello degli interessi di partito.

Nel frattempo anche tanti altri cittadini potrebbero dare il loro contributo allo scopo, proponendo con lo strumento della legge d’iniziativa popolare, divenuto facilmente fruibile grazie sempre al web, l’istituzione dello status giuridico dei partiti, al fine di riportarli all’effettivo ruolo di servizio, assegnato loro dalla Costituzione. Dovrebbero essere trasformati da enti di diritto privato in enti di diritto pubblico, aventi come oggetto statutario la realizzazione dei 12 Principi Costituzionali, a ciò obbligandoli a presentare in campagna elettorale programmi di governo quinquennali, supportati da progetti tecnici compiuti e riconosciuti tali da enti terzi internazionali.

A quel punto maggioranza di governo ed opposizione potrebbero misurarsi seriamente sulla realizzazione di un comune futuro del paese: muovendo ognuno dal proprio ruolo istituzionale e con i propri limiti umani. Ma è pur vero che quando non si vuole fare un’ottima cosa, la si definisce un’utopia.

PS.: Oggi siamo ancora molto lontani da quel punto di comune costruzione politica del futuro, come mostra la vicenda politica del Recovery Fund.


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