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Con leggerezza, con morbidezza... come ferro avvolto nel cotone

"In questo tempo sempre più veloce, il Taiji, con i suoi movimenti lenti e aggraziati, pazienti, appare scomodo e troppo impegnativo". Ma è proprio questa lentezza, questa morbidezza che ci attrae - soprattutto considerando che "sotto" c’è la durezza e la determinazione di chi, la vita, la vuole viverla senza farsi dominare da nessuno.

di Sergej - domenica 5 gennaio 2014 - 10977 letture

Il fascino del Taiji, proprio per questa linea della morbidezza e della leggerezza, della "gentilezza" persino del gesto. Dietro cui vi è forza e decisione, pronta a scattare e colpire quando necessario, quando è "giusto". Con esattezza, con bellezza. Questo ci insegna qualcosa anche nella vita d’ogni giorno, nella pratica e persino nelle nostre cose "politiche". Abbiamo incontrato Marcello Sidoti, 46 anni, maestro di Taiji (o come dicon tutti tai-chi), fondatore e responsabile del Centro Studi Italiano di Tai-chi. Sul Taiji il maestro Sidoti è impegnato a scrivere un libro. Musicista e musicologo, eccellente pianista, Marcello Sidoti ha lasciato Lentini (in Sicilia) per andare a vivere a Bologna e poi nel sud-est asiatico e in Cina. Ha conosciuto direttamente il Taiji nella sua terra d’origine a Chenjiagou, ha incontrato anche il Dalai Lama...

- E così è stato a vedere il Dalai Lama...

Sono stato a vedere il Dalai Lama? davvero?

- Così mi dicono... che anno era?

Nel 2005...

- E chi l’ha portato nel 2005 a incontrare il Dalai Lama?

Da maggio a luglio sono stato lì a Dharamsala. Dharamsala è sede del governo tibetano in esilio e dove vive il Dalai Lama. E io mi trovavo lì a studiare filosofia buddhista.

E c’erano anche gli insegnamenti del Dalai Lama. Per la precisione a inizio luglio. Capitava di partecipare a questi insegnamenti. Gli insegnamenti proprio suoi sono durati una settimana, dieci giorni. Lui insegnava dei passi di filosofia buddhista. I suoi insegnamenti preferiti sono sulla Compassione, sulla Felicità che tutti gli esseri cercano e che tuttavia facciamo sempre in modo di allontanare dalle nostre vite.

E’ stato solo un momento particolare della mia permanenza lì. In realtà io ero lì per studiare filosofia buddhista con un altro Lama alla sede del governo tibetano in esilio. Lì ci sono dei corsi sia di filosofia che di lingua tibetana. I corsi si tenevano in inglese. Il Dalai Lama parlava in tibetano ma c’erano una serie di traduttori. La cosa curiosa è che ti davano una radiolina FM con la quale ascoltavi le varie traduzioni e c’era il traduttore italiano che non parlava. Ogni tanto diceva: Adesso sta parlando di questo argomento e... punto. Non traduceva. Per cui io l’ascoltavo in inglese. In italiano era praticamente inutile.

- Ma com’è che nel 2005 ha cominciato a frequentare questi posti?

Io ho girato per un bel po’ per l’India, per l’Asia, il Sudest asiatico... mi interesso di filosofia orientale da tanto tempo, e quindi ho deciso di fare un periodo di studio da quelle parti. Ero già andato a vedere questo posto da turista e mi aveva intrigato questa idea di passare del tempo in questo monastero e studiare. E così ci sono andato.

- Come si fa a entrare in un posto del genere?

C’è una foresteria. Si va lì individualmente, ci si iscrive ai corsi di lingue e filosofia, e poi trovi o una pensione oppure in questo monastero c’era una foresteria, ti affittano delle camere a prezzi veramente simbolici. E stavi lì. Fra l’altro stando in queste camere, in questo monastero, eri più isolato e invogliato a studiare, leggere, piuttosto che stare a contatto con troppa gente come in un normale albergo.

- Ma come si fa poi a scegliersi il docente che ti segue...?

C’è un programma, ci sono vari corsi, su vari argomenti. Ti iscrivi al corso che vuoi, è come una università, e segui liberamente. Chiaramente periodicamente cambiano gli argomenti. Quello che è capitato in quel periodo era sui primi filosofi del buddhismo indiano delle Origini, in particolare su un filosofo che si chiama Nagarjuna.

Mi è capitato questo, ho studiato questo. C’erano vari insegnanti. Questo corso era tenuto da un lama. Rifugiato come altri dal Tibet, e in Tibet sembra che fosse tra le personalità monastiche piuttosto in vista. C’era una traduttrice che spiegava quello che lui insegnava. Eravamo una cinquantina da tutto il mondo. Una delle cose belle è stata l’internazionalità della frequenza di questi posti. Un po’ da tutti i continenti. C’erano sia dei monaci già buddhisti, per esempio birmani o thailandesi o tibetani, poi c’erano dei ragazzi di tutto il mondo: dell’Europa, dell’Australia, americani e così via. E’ stata una bella esperienza.

- Marcello Sidoti è nato a Lentini. Una realtà molto lontana dalla Cina e dal pensiero cinese. Chi l’ha portato in quella direzione?

Davvero non mi ricordo. Ho iniziato a leggere libri, di filosofia orientale, di buddhismo ecc. Poi più che altro quando mi sono trasferito a Bologna - mi sono diplomato nel 1995 - per studiare musicologia, il mio interesse per le filosofie orientali per caso o per letture varie si è spostato verso il taoismo. La tesi di laurea alla fine l’ho fatta un po’ sul taoismo, su una possibile educazione musicale attraverso i principi del taoismo. Da lì si è andato sempre più ad approfondire questo percorso nel pensiero orientale, nel pensiero cinese, le arti marziali e così via. Finché ho iniziato a viaggiare per mio interesse personale, cosa che fortunatamente faccio ancora, e a studiare.

All’inizio ero interessato al buddhismo. Da giovane ho tentato di avere incontri con monasteri zen in Italia, ma mi hanno detto: Prima studia, poi ne parliamo! in realtà poi ho frequentato per molti anni il monastero zen di Fudenji che è a Salsomaggiore. Gestito dall’abate Fausto Guareschi che è il presidente credo dell’unione buddhista italiana, quindi di tutti i buddhismi in Italia o è comunque un’alta personalità, ed ero arrivato quasi al punto da chiedere i voti laici. Fra l’altro lì l’avevamo preso anche come luogo dove facevamo i nostri stages di Taiji con la nostra scuola. Ho frequentato per diversi anni. Perché lo zen è un po’ una corrente che mi ha sempre "corrisposto" in un certo senso.

Però il mio modo di essere non è prettamente buddhista. Sono sì simpatizzante, ma più vicino al pensiero classico cinese. Si tratta in questo caso di un interesse "accademico" personale.

- Come è arrivato al Taiji?

Al Taiji ci sono arrivato attraverso questo interesse per le filosofie orientali. Ho iniziato a fare arti marziali varie in periodo di gioventù. E facendo arti marziali, e leggendo, e documentandomi sui diversi tipi di arti marziali ho scoperto che esisteva questa arte della morbidezza, un po’ particolare rispetto alle altre. Ai tempi, negli anni Ottanta - Novanta, non c’erano in Italia degli insegnanti di Taiji, e i libri disponibili erano piuttosto vaghi e imprecisi, perché comunque la Cina era un po’ chiusa e in particolare il luogo d’origine del Taiji era un po’ mitico, un po’ irraggiungibile. Mentre oggi ci andiamo quasi ogni mese, adesso ad esempio ci andrò di nuovo a marzo. Per cui le notizie che c’erano su quest’arte erano un po’ misteriose, rivestite da un alone di mistero, quasi di eccezionalità. Mi ha affascinato.

A un certo punto è arrivato un maestro di Taiji che mi hanno fatto conoscere, degli amici del campo delle arti marziali. Ero a Bologna. Questo Maestro è arrivato a Bologna, l’ho conosciuto e sono diventato suo allievo. Questo primo maestro si chiama Shi Rong Hua. E attraverso di lui sono arrivato dopo diversi anni a studiare con il suo Maestro, che è uno dei quattro maggiori rappresentanti del Taiji nel mondo, Wang Xian. Wang Xian che è una personalità importantissima sia nel Taiji perché è uno dei quattro depositari attuali di quest’arte, sia perché è stato una personalità ai tempi del maoismo, della Rivoluzione Culturale, lui era uno dei quadri di partito - del Partito Comunista -, ed essendo una persona di una certa influenza anche politica è riuscito in tempi in cui le arti marziali venivano perseguitate, bollate come cosa vecchia e i maestri venivano perseguitati, spesso uccisi o morivano di fame o di tortura, un po’ a proteggere questo stile di Taiji di cui stiamo parlando, che è lo stile Chen, l’originale.

E’ riuscito a proteggerlo usando la sua influenza politica. Per cui è uno stile che è rimasto preservato, ha passato e superato anni burrascosi - quelli delle Guardie Rosse, della Rivoluzione Culturale -, ed è rimasto abbastanza integro.

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Il maestro Sidoti a Chenjiagou

Ancora i segni in Cina di quel periodo turbolento, sono visibilissimi - molte cose sono finte: botteghe finte, hutong finti, opere d’arte finte. Che è anche un peccato dal nostro punto di vista, noi in Italia abbiamo tanti monumenti storici integri... Ma è bello lo stesso. Io penso che la memoria storica dei cinesi sia stata "cancellata". La cultura classica cinese ha tante cose belle, dagli ultimi reperti archeologici che sono rimasti, dalla letteratura, correnti di pensiero filosofiche, all’arte... tante cose belle. Ma probabilmente le nuove generazioni cinesi hanno subito un passaggio brusco da una sorta di medioevo al capitalismo di oggi. E’ una società comunista-capitalista. Probabilmente le nuove generazioni hanno poco interesse per il senso della storia. Tutte le ricostruzioni che ci sono, sono non tanto per l’interesse al mantenimento dell’opera storica, tanto le rifanno, le cambiano, le modificano più che altro per una certa immagine turistica della Cina. La Grande Muraglia stessa la stanno ricostruendo a pezzetti, l’aprono ai turisti, non è trattata come i nostri teatri greci e teatri romani che sono lì come sono. E’ un po’ tutto ricostruito e rifatto.

- Da questo punto di vista anche il Taiji o altre cose tradizionali rischiano...?

No. Il Taiji ha avuto una storia... ha avuto un boom incredibile, forse per le sue caratteristiche. E’ piaciuto molto agli Occidentali . E’ stato dichiarato recentemente patrimonio dell’umanità. Il Taiji è in espansione incontrollata. Non rischia l’estinzione.

In realtà ci sono tanti tipi di Taiji. La parola Taiji è un po’ inflazionata. Usata con diversi significati. Dal Taiji originario come arte marziale, creato e codificato per il combattimento anche con le armi bianche, con il mutare poi delle condizioni storiche quando la difesa con le mani nude o con armi bianche non aveva più tanto senso è diventato un’arte marziale che ha soprattutto delle valenze di mantenimento e incremento della buona salute, di percorso anche spirituale personale. Questa è stata anche la fortuna del Taiji.

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Yin-Yang

Il Taiji visivamente non è come le altre arti marziali, ma è anche molto piacevole da fare e da vedere, perché sono movimenti prevalentemente lenti, e non veloci, volti piuttosto allo sviluppo della cosiddetta energia interna che della forza muscolare. Il Taiji è stato creato chiaramente sulla base di altri stili di Wushu, cioè di arte guerriera cinese, veloci potenti... è stato creato mettendo insieme questi tipi di arte marziale con le teorie della medicina tradizionale cinese: la circolazione dell’energia dei meridiani (Jingluo) della medicina tradizionale cinese, con la teoria del Daoyin Tuna, che sarebbero le "tecniche di respirazione", parlando semplicisticamente, e conduzione dell’energia, e sulla base della filosofia Yin-Yang, la filosofia cinese di stampo neo-confuciano, il Taijiquan... Quan significa "pugilato" in senso ampio, dunque non solo pugni ma con tutto il corpo e le armi bianche.

Taiji invece è quel digramma che un po’ tutti conosciamo, bianco e nero, con i due pesci stilizzati che rappresentano le due forze principali della natura, o l’armonia e l’interazione di queste due forze. E’ quindi un pugilato che si basa sull’armonia degli opposti, in senso molto ampio. E tutto l’ insieme di queste cose ne ha fatto un’arte che è in continuo sviluppo.

- Come si concilia questo senso anche estetico della morbidezza, con una energia della violenza che è in ogni caso rottura?

Tecnicamente, a livello pratico, quest’arte marziale è tra le più funzionali. Anche per questo è nota e famosa. La lentezza e la morbidezza dei movimenti è funzionale ad imparare con precisione i movimenti. E a sviluppare, capire, comprendere l’energia cinetica del movimento, quindi le linee di forza, i vettori, l’intensità della forza ecc. Per cui l’uso del Taiji nel combattimento, nell’autodifesa, è estremamente veloce, estremamente potente. Il Taiji alterna morbido e duro insieme, non è solo morbidezza. Il modo di studiare, il modo di coltivare l’abilità è prevalentemente lento. In realtà non è solo così, perché nello stile Chen che noi pratichiamo e che è quello originale, anche l’allenamento alterna duro e morbido, veloce e lento. Ci sono dunque degli esercizi molto veloci e degli esercizi molto lenti. I movimenti lenti sono funzionali al miglioramento della circolazione energetica e quindi anche da un punto di vista secondario fanno molto bene alla salute. Gli esercizi veloci sono funzionali allo sviluppo della forza esplosiva. La strategia d’uso di mescolare questo veloce/lento, leggero/pesante, questi opposti, fa del praticante di Taiji un valido combattente.

Anche in tempi d’arti marziali moderne il Taiji è molto ben valutato. E’ un po’ difficile capire come la lentezza sconfigga la velocità, e la morbidezza la durezza, però... Sulla base della filosofia taoista: il morbido vince il duro, l’utilità delle cose sta nel vuoto - per esempio l’utilità di un vaso sta nel vuoto del vaso. Quello che dice il mio maestro Wang Xian quando gli chiedono: "Ah ma se io ti afferro, se io ti prendo...". Lui risponde sempre: non si può afferrare, non si può colpire qualcuno che non c’è. L’estrema morbidezza, l’estremo rilassamento, l’estremo vuoto, è funzionale al fare terminare o far esaurire, far andare fuori bersaglio la forza dell’avversario. Dopodiché bisogna usarla, la propria forza, non è che si diventa dei fantasmi e basta. In questo senso il morbido vince il duro. Prima cedendo e poi contrattaccando.

Il Taiji è un’arte marziale, un modo approfondito di usare il corpo o le armi pertinenti per la guerra. Adesso viene praticata soprattutto per l’autodifesa, anche se ovviamente non capita spesso di usarla. Però è un’arte marziale, un modo completo che comprende anche trucchi e tecniche varie per avere la meglio su uno o più avversari.

-Com’è la situazione in Italia?

Io ho imparato in Italia con questo maestro che era arrivato a Bologna dal Sud della Cina. Tramite lui ho avuto accesso al suo maestro, con cui vado a studiare almeno tre volte l’anno in Cina - ma lo vedo altrettante volte in Francia o in giro per l’Europa. Anche in Italia l’abbiamo invitato, abbiamo un contatto abbastanza costante. Ci sono tantissimi che praticano Taiji, ma la parola Taiji è molto inflazionata. Siccome è molto di moda, qualsiasi palestra richiede un istruttore di Taiji, per aprire un corso, perché la gente vuole provare questo Taiji. Più che altro spesso senza informarsi bene prima di cosa si tratta. Io ricevo tantissime email in cui chiedono senza essersi documentati, senza aver guardato un minimo sul sito per sapere di cosa si tratta. Per cui molta gente non sa che è un’arte marziale, qualcuno mi ha scritto pensando che sia una disciplina mentale ed emotiva. Emotiva non lo è. Mentale forse,ma è comunque una ginnastica fisica. C’è molta ignoranza su questo argomento. E di conseguenza la grande richiesta fa sì che ci siano molti insegnanti poco preparati, non qualificati.

Lo stile Chen è abbastanza diffuso. Ci sono quattro grandi maestri di riferimento, quindi quattro grandi correnti dello stile Chen. Poi ci sono anche gli altri stili. Io sono il rappresentante ufficiale di questo mio maestro. Poi ci sono anche altri insegnanti che seguono gli altri maestri. Gli altri stili che esistono sono nati posteriormente, e sono diffusi allo stesso modo. Il Taijiquan è molo diffuso in tutto il mondo.

- Ma il Taiji è una pratica di gruppo o individuale?

La pratica dovrebbe essere una pratica individuale, perché è come quando si fa meditazione, ognuno dovrebbe praticare tutti i giorni - uno che suona il piano dovrebbe mettersi tutti i giorni lì a suonare. Si va dal maestro, si fa una lezione e si pratica per una settimana, fino alla volta successiva. Nelle palestre la lezione è una lezione di gruppo, quindi ci sono una serie di persone, ci sono degli esercizi fondamentali, ci sono degli esercizi a solo - dunque la pratica a solo
 , più che altro per prendere confidenza con se stessi, con l’energia interiore di cui parlavamo, e con le tecniche individuali. E c’è una pratica a coppia, che passa dai primi esercizi di sensibilità a quelli di autodifesa ai combattimenti veri e propri. Poi ci sono le competizioni sportive. Noi come scuola non siamo molto attratti dalle competizioni sportive, anche se abbiamo avuto dei risultati di prestigio. Ogni 3 o 5 anni ci andiamo. Io stesso ne ho fatte. Nelle competizioni sportive si tratta o di forme a solo o di combattimento. Si usano anche le armi bianche. Ci sono campionati regionali e nazionali, internazionali.

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Il maestro Sidoti nel corso di una dimostrazione

- Nel Taiji esistono vari gradi...?

Diciamo che questo dipende dalle varie scuole. Dal maestro di riferimento, come organizza i programmi. Un determinato programma può corrispondere, all’interno della scuola, a un determinato livello. Qualcuno dà le cinture colorate, qualcuno i livelli, i gradi. Abbiamo gli allenatori, gli istruttori, i maestri. Dovrebbe essere il Coni che in Italia dovrebbe regolamentare questi gradi, però nella realtà in Italia c’è molta confusione a livello di Federazioni. Ci sono diverse Federazioni e diversi sistemi di graduazione, non regolati al momento dal Coni. Io mi rifaccio più che altro ai gradi che prendo in Cina, quindi al corso istruttori che faccio con il mio maestro, e questi gradi poi mi vengono riconosciuti dalle varie Federazioni in Italia. C’è molta confusione, ma c’è comunque un sistema di graduazioni. Sia tecnica per gli insegnanti che per gli allievi.

-Oltre che in Cina è stato anche in altre parti...?

Sono stato parecchio in India, e parecchio in Thailandia, in cui tra l’altro insegnavo Taiji in una grossa scuola a Bangkok, dal 2004 al 2008.

Il Taiji è un’arte marziale di ceppo cinese. Un’arte marziale di tipo "interno", perché le arti marziali cinesi si dividono in esterne, o che fanno uso di movimenti veloci o di forza muscolare, e interne, quindi un po’ più meditative, un po’ più sullo sviluppo dell’energia interiore. Ha delle valenze oltre che marziali, filosofiche e salutistiche. E una cosa che a me non piace molto dire... ma uno dei fini ultimi della pratica del Taiji è la conoscenza di se stessi, e del mondo... ma è vero,perché è un lavoro interiore e non soltanto fisico, per cui alla fine si impara comunque come funziona il nostro corpo o il rapporto tra la mente e il pensiero creatore, i movimenti, la sensazione dello spazio. E’ bello, insomma. Pratico da 23 anni, continuamente tutti i giorni, pratico e insegno. E’ una bella attività.


Approfondimenti

Riferimenti per approfondire. Intanto alcune voci di Wikipedia:

http://it.wikipedia.org/wiki/Dalai_Lama

http://it.wikipedia.org/wiki/N%C4%81g%C4%81rjuna

http://it.wikipedia.org/wiki/N%3Fg%3Frjuna

http://it.wikipedia.org/wiki/Taoismo

http://it.wikipedia.org/wiki/Unione_buddhista_italiana

http://it.wikipedia.org/wiki/Buddhismo_in_Italia

http://www.fudenji.it/

http://it.wikipedia.org/wiki/Arti_marziali_cinesi

Sul taijiquan vero e proprio:

http://it.wikipedia.org/wiki/Tai-Chi

http://it.wikipedia.org/wiki/Taijiquan

Per ulteriori informazioni e contatti:

www.csitaichi.it


Scheda biografica

Marcello Sidoti è Responsabile Nazionale e guida tecnica della Scuola Wang Xian Chenjiagou Taijiquan Italy (Centro Studi Italiano Tai chi), e rappresentante del Gran Maestro Wang Xian in Italia. E’uno dei pochi occidentali ad aver ottenuto riconoscimenti importantissimi in Cina, sia in ambito tecnico-didattico che sportivo.

Insegna dal 1994 Taijquan in tutta Italia, oltre che in Thailandia, India e Germania, e il suo sforzo è soprattutto volto a trasmettere il difficile aspetto energetico di quest’Arte, e a guidare gli allievi nel cammino di pratica e sviluppo personale.

Attraverso stage e corsi da lui tenuti, fino ad oggi migliaia di praticanti hanno potuto avvicinarsi a questa meravigliosa Arte, e provare il "sapore" dell’autentico e tradizionale Taijiquan di Chenjiagou, e grazie al suo metodo didattico, alcuni tra i suoi allievi hanno ottenuto risultati tecnici e sportivi di alto livello.

Marcello Sidoti ha iniziato lo studio delle Arti Marziali Cinesi nel 1987. Dal 1989 si occupa attivamente di tutti gli aspetti legati alla cultura cinese e approfondisce anche a livello universitario, oltre che personale, lo studio del Buddhismo Zen e soprattutto della filosofia taoista.

Nel 1991 incontra il Maestro Shi Ronghua. Inizia a studiare con lui il Taijiquan tradizionale della famiglia Chen, seguendolo ininterrottamente dappertutto nei suoi frequenti spostamenti e dividendo usi e costumi della sua famiglia, ancora molto legata alle antiche tradizioni cinesi. Da allora ha fatto del Taijiquan il suo stile di vita, e grazie ai contatti giornalieri col Maestro e a una rigorosa pratica quotidiana, ha ottenuto una buona padronanza delle tecniche marziali e un netto e decisivo miglioramento delle proprie condizioni fisiche ed energetiche.

Nel 1996 entra in contatto con il Gran Maestro Chen Xiaowang, rappresentante ufficiale della 19sima generazione della famiglia Chen con il quale perfeziona le proprie basi nel Taijiquan.

Nel 2002 viene da questi invitato a studiare privatamente con il fratello, Chen Xiaoxing, anche lui attuale rappresentante della 19sima generazione della famiglia Chen, a Chenjiagou (Henan, Cina), villaggio dal quale si considera storicamente sia nato e si sia sviluppato in tutta la Cina e nel mondo il Taijiquan.

Durante il suo soggiorno a Chenjiagou, vivendo in casa del Maestro Chen Xiaoxing, completa lo studio dell’intero sistema, approfondisce gli aspetti avanzati dell’Arte, e instaura un rapporto continuativo di studio e ricerca con la scuola del villaggio, come percorso e ricerca di originalità, autenticità e verità nello sviluppo del proprio Taiji.

Dal 2004 ha iniziato un percorso di formazione sulla filosofia del Buddhismo tibetano, con ritiri al Monastero Tsechokling, nell’ Himalaya indiano, durante i quali studia filosofia Buddhista sotto la guida di Geshe Sonam Rinchen, uno dei più alti lama tibetani, segue gli insegnamenti annuali di S.S. il Dalai Lama, e occasionalmente insegna Taijiquan.

Nel 2005 è stato invitato a insegnare a Bangkok, presso un gruppo distaccato della Sinchun Yangshi Taijiquan School, che oggi segue periodicamente per la formazione sul Taijiquan stile Chen tradizionale e sportivo, e sul Tui shou. Lo stesso anno è stato ospite d’onore alla Giornata Nazionale del Taijiquan a Bangkok. Da quel momento è stato invitato a insegnare presso la Scuola Taijiquan Liangong, formando in pochi anni diversi campioni Thailandesi.

La svolta nella comprensione degli aspetti più interni del Taijiquan avviene nel 2007, grazie al fortunato incontro con il Gran Maestro Wang Xian, uno dei quattro cosiddetti "Guerrieri di Buddha", e massimo esponente della 19sima generazione del Taijiquan stile Chen. Il rapporto con questo grande Maestro, dotato di grande conoscenza e ottima didattica, gli apre nuove porte nello studio e approfondimento degli aspetti energetici e interni del Taijiquan. Il livello personale cresce di colpo, così come l’abilità tecnica e la comprensione dei principi avanzati dell’Arte.

Nel 2010 a Chenjiagou viene nominato Insegnante di Taijiquan stile Chen dal Gran Maestro Wang Xian e dall’IRAP China, superando i relativi esami a pieni voti, risultato che ripete a livello superiore nel 2011.

Nello stesso anno gli viene conferito il 4° Chinese Duanwei, e vince 2 medaglie d’oro alla competizione più prestigiosa al mondo, l’International Taijiquan Exchange di Jiaozuo (Henan - Cina).

Tra le altre esperienze di formazione personale, frutto dei lunghi soggiorni di studio e insegnamento in India e Thailandia, lo studio della Medicina Tradizionale Thailandese e la pratica del Kriya Yoga contribuiscono di certo al suo percorso di studio e comprensione del Taijiquan.

E’ oggi Responsabile Nazionale delle scuole associate alla Wang Xian Chenjiagou Taijiquan Italy, Istruttore riconosciuto dall’ IRAP China, e rappresentante del Gran Maestro Wang Xian per l’Italia.

Fonte: http://www.csitaichi.it/marcello_sidoti.html



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