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Con l’acqua alla gola

E’ l’argomento mediatico del mese che non ha tardato a provocare psicosi e paure nella vita quotidiana di ogni buon consumatore. Il gesto di avvelenare il bene più prezioso dell’uomo è quanto di più vigliacco possa esistere. Ma la nostra attenzione è rivolta verso la comunicazione giornalistica: iniziamo un dibattito con i lettori sul comportamento che i media dovrebbero tenere per evitare la sfilza di emulatori e le pesanti conseguenze negative.

di Luca Salici - venerdì 12 dicembre 2003 - 5437 letture

di Luca Salici

E’ il 21 novembre quando un bambino di 11 anni viene ricoverato in un ospedale di Mantova per un sospetto avvelenamento dovuto ad una sostanza ingerita, contenuta in una bottiglia di acqua minerale comprata al supermercato; la bottiglia di plastica presenta un piccolo forellino da siringa vicino al tappo, è l’inizio della psicosi e dell’ascesa del terrorista dell’acqua subito ribattezzato AcquaBomber. I primi casi sono tutti nella zona del Mantovano, molte persone finiscono all’ospedale per avvelenamento, il metodo è sempre quello, intanto iniziano le ispezioni ed i primi accertamenti. Qui si ha una svolta importante: la notizia, nei media, inizialmente a stento comunicata (è difficile che sia notiziato l’avvelenamento di una persona comune) comincia, con il sommarsi dei casi, ad occupare il primo piano di telegiornali e della carta stampata. Se ne inizierà a parlare nei talk-show e nei programmi d’intrattenimento, e la gente ne comincerà a parlare in strada e soprattutto nei supermercati. E’ già psicosi.

L’informazione giornalistica ha provocato due principali conseguenze: l’allarmismo esasperato e soprattutto l’emulazione. Quest’ultima conseguenza porterà il numero dei casi da 10 nella zona del mantovano a più di 100 in tutta Italia (al momento del mio articolo - ndr). Cento ricoveri per avvelenamento (varechina la sostanza più utilizzata), distribuiti su tutto il territorio italiano, casi a Forte dei Marmi, Salerno, Roma, Como, Milano, Lucca, Palermo e Catania. Questi i casi accertati, vi lascio immaginare il numero spropositato di segnalazioni ricevute dalle forze dell’ordine, oltre al numero infinito di falsi allarmi. Mai come in questo caso l’informazione mediatica martellante (unita ovviamente alla psicolabilità di alcune persone) sembra aver scatenato in prima persona la sponsorizzazione di un atto terroristico, provocando conseguenze solamente negative.

Come deve comportarsi la comunicazione giornalistica in questi casi. Nel caso Acquabomber, il giornalismo italiano sembra aver fatto il gioco del terrorista, non solo ma ne ha creati altri in tutta Italia. Sarebbe servito non parlarne per un po’ di tempo? Serve non parlarne adesso? E’ giusto che quasi mensilmente ci sia un argomento che crei psicosi e scompiglio nella società (esempi unabomber, pitbull, pacchi bomba, posta all’antrace)? Come si deve comportare secondo voi lettori la comunicazione giornalistica di fronte a queste vicende?. Vi invito a rifletterci e a confrontarci tramite il forum "Rispondi a questo articolo" che trovate in basso.


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> Con l’acqua alla gola
12 dicembre 2003, di : Rossella

Sono d’accordo con te sul fatto che il giornalismo influenzi negativamente tutto ciò che succede nel mondo odierno,pertanto non dovrebbero divulgare tali notizie facendo in questo modo lo stesso gioco di chi compie certi atti..fanno diventare una cosa piccola una cosa grande..Secondo me bisogna trattare con cautela i vari argomenti senza ingigantirli troppo!!!!
> Con l’acqua alla gola
23 dicembre 2003, di : Sandro

Esatto, è bastato il caso Parmalat e l’arresto di una brigatista per fare finire definitivamente la notizia di Acquabomber nel dimenticatoio. Mah!