Sei all'interno di >> :.: Primo Piano | Immigrazioni |

Barconi

Resta un vuoto dentro le coscienze davanti alla traccia di un viaggio dall’incerto arrivo, come unica possibilità di vita

di Piero Buscemi - mercoledì 2 marzo 2022 - 3614 letture

Uscendo proprio dal paese, in direzione Portopalo di Capo Passero, dove finisce la Sicilia e forse la speranza di chi si affida al mare per ottenere risposte che il mondo per pochi ricchi ha rinunciato da anni ad ascoltarne le domande, proprio oltre il Viale Paolo Calleri, quello che si riempe di turisti a spasso con il cane o a correre la mattina presto in estate.

Siamo a Marzamemi, più volte citata sulle nostre pagine. Quel borgo marinaio che si svuota in autunno e si prova a ripopolare in tarda primavera, nella speranza di un ulteriore rilancio della stagione turistica che, da queste parti, è un’invenzione recente in via di perfezionamento.

Percorrendo questa strada, deserta in questo periodo, salvo qualche coraggioso ciclista a sfidare le corse di auto dei locali che, approfittando dello scarso traffico, si lanciano in gare immaginarie che appagano la solitudine e la vogllia di riscatto, comune a molti siciliani. Percorrendo il silenzio e assaporando la brezza marina tra un’onda che sbatte su un anfratto o va a colorare d’argento gli arenili abbandonati di fuori stagione che conducono a Portopalo. Qui si può incontrare adagiato dolcemente, quasi a non voler disturbare, in un’illusione di rialzo dopo una drammatica caduta, uno dei tanti barconi della speranza. In legno, blu come la paura che fa il mare quando lasci la casa natìa e ti affidi al destino che altri hanno disegnato per te.

Non lo si può non notare. Maestoso nella sua contraddittoria immagine fantasma di abbandono. Ne abbiamo incontrati tanti altri nel corso degli anni. Alcuni ormeggiati al porto con i loro caratteristici occhi disegnati sulle prue, a guardare un mondo che si è voltato dall’altra parte, credendo di annullare un disagio con l’indifferenza.

Un bellissimo barcone, costruito con sapienza da maestri d’ascia di questo antico Mediterraneo che ha dimenticato presto gli scambi di culture e le integrazioni che, ogni tanto, il mare ci restituisce con una carena di barca custodita per millenni dentro la sua sabbia. Blu, con la poppa tagliata a ospitare il nome Ali Baba e il nome della città turca di Iskenderun, riportandoci per un momento alla voglia di fantasticare con il resto del mondo, arte di popoli di mare, di sofferenze condivise, di sogni da tramandare alle future generazioni.

Baterebbe citare qualche cenno storico di questa città per parlarci di Alessandro Madro, di Persiani e di Macedoni, di Romani e Bizantini, di Arabi e Ottomani. Storia di popoli e di incroci di culture. Rivendicarne esclusività appare ancora più blasfemo.

Un’attrazione di contatto alla vita. Un giubbotto penzolante attaccato a un parapetto, una porta semiaperta che conduce a una stiva, grotta improvvisata di riparo e sicurezza di una traversata dall’esito incerto. All’interno altra archeologia d’abbigliamento, abbandonata in fretta per avvolgersi nello scambio di un segno di umanità che oggi rappresentano le migliaia di teli termici, argentati o dorati, come un ritrovato diritto alla vita.

Gli sbarchi sono continuati in questi ultimi due anni, nonostante tutto. Ci sono problemi di esistenza che superano le emergenze del momento. Non ci si può sottrarre. Non è più una scelta. Lo vediamo anche in questi giorni, in una guerra che distrattamente ci siamo accorti fosse così vicino a casa nostra. Inasprita quasi un decennio fa e che oggi causerà nuovi profughi in fuga da una follia della quale siamo tutti complici.

Questi luoghi, nel profondo sud della Sicilia, riescono a trasformare un barcone incastrato nelle rocce in un’opera d’arte da consegnare alle future generazioni, immortalata in una foto prima che la burocrazia la spazzi via dal ricordo. Proviamo a non dimenticare perché è l’unico modo per sentirci davvero partecipi e appartenenti di questa deriva sociale e umana che non percepiamo più come condizione di vita.

Si è parlato molto negli ultimi mesi di normalità, come un risveglio da un brutto sogno. Ma la normalità sono i miliardi di disperati che chiamiamo Terzo Mondo, erano lì prima della pandemia, saranno lì anche negli anni a venire, a guardarci tramite due occhi scolpiti sul legno e a lasciarci un giudizio sulle nostre contraddizioni che non ha bisogno di parole.

JPEG - 83.9 Kb
Tipico arenile sabbioso della Sicilia sudorientale
JPEG - 143 Kb
Isola delle Correnti
JPEG - 232.8 Kb
Barcone Alì Baba
JPEG - 200.8 Kb
Giubbotto penzolante
JPEG - 196.7 Kb
Cabina con resti di abbigliamento
JPEG - 222.8 Kb
Barcone Alì Baba poppa


- Ci sono 0 contributi al forum. - Policy sui Forum -