Tina
Pizzardo
Tina Pizzardo
Cesare Pavese nel suo diario ne parla malissimo,
lo ha fatto molto soffrire. Il questore di Ancona la descrive come
una "donna molto pericolosa specie per la sua cultura e condizione
sociale". Ma questa Tina di cui parlano frequentemente i documenti
delle questure e delle prefetture di mezza Italia ha, oltre che
un nome, anche un cognome che le restituisce - finalmente - una
identità compiutamente definita, quella di Tina Pizzardo, antifascista,
arrestata il I° settembre 1927 quale "fiduciaria del partito Comunista
nella provincia di Grosseto", condannata dal tribunale Speciale
il 28 Luglio 1928 a un anno di reclusione e tre di vigilanza speciale,
scarcerata il 13 settembre 1928 e diffidata, di nuovo arrestata
il 15 maggio 1935, scarcerata il 12 luglio 1935 e sottoposta ai
vincoli dell'ammonizione fino al 10 maggio 1936" (Giovanni De Luna,
Donne in oggetto, Bollati Borighieri, 1995, pp.274-275)
"Battistina (Tina) Pizzardo era nata a Torino il
5 febbraio 1903" da una famiglia di impiegati e di preti e badesse.
Tutta la mia vita - ha scritto - quella che è veramente vita, il
tempo delle scelte, il tempo dell'amore, è stata condizionata dalla
prima scelta - non meditata, istintiva, inevitabile - di essere
antifascista (…) e di restarlo a prezzo di miseria e di mia e altrui
infelicità, sempre." (Memorie) (Memorie remote. Tina vi rinvia nel
suo memoriale. "Il documento, dattiloscritto, conta 288 pagine e
una nota in calce lo data "Luserna S. Giovanni, estate 1962". Si
presenta come una vera e propria autobiografia, destinata anche
a una eventuale pubblicazione, frutto però di successive stesure,
alcune delle quali, come quelle relative alle pagine sul carcere,
facilmente identificabili grazie alle annotazioni della stessa Tina)
(n. p.407 De Luna) A nove anni le muore la madre e lei, insieme
alla sorella minore, finisce in un collegio di suore dove rimane
per otto anni. Un'esperienza che le tornerà utile nei periodi in
carcere "Mi pareva di essere tornata in collegio - ricordava a proposito
del suo arrivo nel carcere delle Mantellate a Roma, il 29 ottobre
1927, - dove l'attesa della libertà - a data incerta, adesso - dava,
con un senso di provvisorio, la propensione a vivere alla giornata
tra chiacchiere, monellerie, risate (…) ogni giorno dovevo trovare
il modo di fare la doccia sotto l'unico rubinetto della sezione
e, sdegnando il bugliolo, di servirmi solo del cesso. Altro tempo,
e altre astuzie, per intrufolarmi in varie sezioni, specie in lavanderia,
centro d'incontri, di notizie, di scambi"(Memorie)
L'altro fatto notevole della sua vita è la decisione
del padre di iscriverla all'Università, fatto strano per l'epoca
e la loro condizione sociale, che scaturì da una vincita al lotto
di poche centinaia di lire. Nell'autunno del 1920 si iscrive, dopo
la licenza magistrale e l'anno integrativo, alla facoltà di matematica
e Fisica. Iniziando un periodo intenso che alle sue coetanee era
per lo più precluso, fatto di buone letture (Stendhal) arte (i futuristi)
poesia, discussioni. Ma soprattutto gli anni dell'Università sono
gli anni in cui intraprende il rapporto con gli uomini e la militanza
"In un ambiente ossessivamente maschile, degli uomini conobbe rapidamente
tutta la vasta gamma degli approcci nei confronti delle donne" (De
Luna 277p.) "lui [l'insegnante] che con voce monotona e viso impassibile
spiega qualcosa e intanto allunga una mano sotto la tavola e mi
accarezza le gambe, io che, non osando dir parola, di scatto, sposto
la sedia per sfuggire, lui che senza interrompersi di scatto sposta
la sua per avvicinarsi. A venti lire all'ora facciamo a scatti più
volte il giro della tavola che è rotonda" (Memorie). Il suo primo
amore è uno studente in legge, un amore segretissimo "che finì con
un abbandono, la promessa di una rappresaglia ('mi ripromisi di
baciare cento uomini in un anno'), e un impegno solennemente preso
con se stessa: 'Mi sentii rinnovata, adulta; ora sapevo che l'amore
viene e passa, l'accetto quando viene, ne trovo un altro quando
passa. "Per sempre" non lo avrei detto più'"(De Luna, p.277)
Per quanto riguarda la scelta politica: "Dopo la
marcia su Roma l'intransigenza nei confronti dei nuovi potenti fu
il metro con cui cominciò a distinguere tra 'chi accettava la svolta
storica per trarne profitto; chi si rassegnava a una silenziosa
inerme attesa; chi non si arrendeva e voleva lottare'. Tina scelse
di stare con questi ultimi, cioè, in maniera allora quasi assiomatica,
con i comunisti." Tina diventa comunista per la scelta antifascista,
come la maggior parte all'epoca, ed è antifascista per una scelta
etica. Ma la scelta di essere comunista è anche la scelta di distanza
rispetto ai modelli piccolo-borghesi, di rifiuto anzi radicale di
essi. Il senso di questo rifiuto e della militanza lo vediamo nel
ricordo compiaciuto delle rinunce: 'Ieri sera mi sono permessa un
grande scarto dalla mia vita monacale che conduco di solito: sono
stata all'operetta (…). L'operetta non mi piace, non sono più abituata
ad andare in palco, la compagnia, la vista di questa grassa borghesia
mi annoia. Ho giurato di non andarci più. Sono piena di rimorsi
per la sera perduta - scriveva ad Altiero Spinelli il 26 maggio
1927."
"All'amore furtivo e clandestino con il suo primo
ragazzo sostituì il rapporto d'amore con Liuben [lo studente che
l'aveva indirizzata nel sua scelta della militanza comunista], fieramente
ostentato, quasi esibito: 'Noi, liberati dalle convenzioni borghesi,
giriamo la città, la collina, tenendoci per mano, guardandoci perdutamente
negli occhi'. Una nuova scala di valori interveniva ora a dettare
i suoi comportamenti: 'Contava anzitutto la lotta (…) e di conseguenza
la solidarietà coi compagni; poi l'amicizia, che non mi poneva problemi
perché non avevo amici nell'altro campo. Successo di prestigio,
di denaro, di professione, di matrimonio, ecc. (…) non ci pensavo,
e non ci ho mai pensato. Morale cristiana corretta - a buon senso,
senza metodo - da morale comunista valeva per tutto il resto salvo
l'amore. Salvo l'amore, dove non c'è morale che tenga, tutto è permesso
senza esclusione di colpi e non piangere se ti pestano che te lo
sei voluto' Si iscrive quindi al PCI nel luglio 1926. Un anno prima
si era laureata. Nel marzo del 1926 partecipa al concorso per l'insegnamento
nelle scuole superiori ,vintolo, il 19 ottobre si trasferisce a
Grosseto, insegnante di matematica e Fisica al Liceo Classico Carducci-Ricasoli.
Qui assume il ruolo di "fiduciaria del partito" con la sensazione
di "riattraversare, almeno parzialmente, il febbrile attivismo della
militanza torinese: la distribuzione della stampa illegale, la raccolta
di fondi e sottoscrizioni, l'impegno per il "soccorso rosso", la
costruzione delle cellule" E' entrata nella dimensione di vita della
clandestinità caratterizzata, allora e per tutto il ventennio, dall'attesa
del carcere che condizionava i ritmi e i progetti di vita, ma anche
gli incubi: 'Stanotte non ho fatto altro che sognare il tuo arresto
- scriveva Tina ad Altiero Spinelli, il 25 maggio 1927.- Ti portavano
via, eri condannato a 60 anni di galera ( e Velio a 30), io assistevo
senza una lacrima, perché non vuoi che pianga, disperata di non
poter far nulla, di non poterti parlare'. E arrivò il momento anche
per lei:19 giugno '27: scoperta degli elenchi dei fiduciari a Bologna;
12 luglio, denunciata, 13 luglio, sospesa dall'incarico e 26 agosto,
richiesta del Tribunale Speciale di avere in visione le lettere
di Altiero Spinelli sequestrate in casa di Tina, a Grosseto: furono
l'elemento decisivo, il I° settembre 1927 fu arrestata.
Ancora una volta le lettere d'amore vengono utilizzate
dall'accusa 'piacevano molto le lettere d'amore ai poliziotti. Sghignazzando
si leggevano l'un l'altro i brani di loro gusto: - Ma lei è pericolosa
per gli uomini, non per il governo!' La storia d'amore tra Tina
e Altiero Spinelli dura pochi mesi intensi, poi vive nove anni di
intenso epistolario con lui in carcere. Da questo epistolario e
dalle loro rispettive memorie emerge una relazione di cui è possibile
fare un "racconto storico unitario, in grado di restituircela con
una forte carica di rappresentatività rispetto all'universo politico-esistenziale
che ne costituiva lo sfondo. Si conobbero nel marzo 1926, a Roma,
dove Tina si era recata per il concorso e si rividero in giugno,
quando lei restò dieci giorni nella capitale per sostenere gli esami
orali. Tra Luglio e Agosto fu Altiero a recarsi a Torino. Poi, dopo
il trasferimento di Tina a Grosseto, si incontrarono ancora in sei-sette
occasioni fino ai primi di giugno del 1927, quando Altiero fu arrestato.
L'ultima volta fu, anzi, proprio la sera del 21 aprile, quando a
Milano consumarono "la loro prima volta". "confronto tra due personalità
in grado di declinare le proprie appartenenze al maschile e al femminile
con pari intensità". Uniti nella scelta politica la loro diversità
irriducibile sta nel tipo di rapporto che instaurano con la politica:
"per Altiero l'impegno politico era stato subito indissolubilmente
legato a una prospettiva di potere, era cioè diventato comunista
'come si diventa prete, con la consapevolezza di assumere un dovere
e un diritto totale, di accettare la dura scuola dell'obbedienza
e dell'abnegazione per apprendere bene l'arte ancora più dura del
comando'. Per Tina le cose stanno in maniera diversa, lo vediamo
sia dal giudizio che ne da Altiero, sia dal confronto che lei istituisce
con Veniero, fratello minore di Altiero: 'era consapevole di quel
che c'era di serio nella sua adesione al partito, ma era ben decisa
a conservare per sé la parte più personale del proprio animo, le
amicizie, le letture di romanzi francesi e dei poeti, il gusto delle
cose belle';(Spinelli, Come ho tentato di diventare saggio)' ' Io
so dov'è il disaccordo con Veniero. Lui è un uomo di azione, ha
certi scopi ben determinati e si dirige senza indugi verso di essi.
Non sogna. Tutto ciò che pensa si traduce in azione. Non ha scrupoli
(…). Io sono ancora troppo civile, se riesco a pensare mi piace
pensare e non sempre il pensiero anima immediatamente un'azione.'(lettera
di Tina ad Altiero del 24-3-'33).
Questa diversa concezione della politica rese diversi
i loro percorsi. Altiero a 18 anni era segretario della federazione
giovanile laziale, nel '268a 19 anni) diventa segretario interregionale
per l'Italia centrale e poi, cambiando posto con Secchia, andò al
Nord a dirigere il movimento giovanile comunista. A tina si apriva
la strada di "moglie di funzionario" 'Ma a Milano che ci faccio
io? La solita moglie-serva del compagno. Anzi non potendo tirare
avanti in due con i pochi soldi che gli dà il partito, finisce che
mettono anche me a fare il corriere. Moglie serva e funzionaria
di partito. Funzionaria io, negata all'obbedienza cieca?' Fra l'altro
Altiero si portava dietro tutti gli stereotipi della sua educazione
borghese e soprattutto il suo atteggiamento pedagogico, che contribuiva
a respingere Tina (almeno nella ricostruzione che lei ne fa successivamente:
'Ricordo che quando parlavo per dire la mia (…) lui non mi guardava.
Ascoltava attento, gli occhi accesi e un lieve sorriso, come chi
spera di ghermire la preda (…) sta per cascarci? Un lampo di trionfo,
c'è cascata! Invano mi dibattevo con rettifiche, spiegazioni, nuovi
argomenti: ancora una volta era riuscito a farmi dire ciò che -
per il suo settarismo, la sua preparazione marxista - era una sciocchezza.
Pago della vittoria, mi tirava stretta al suo fianco, si faceva
gentile, indulgente: (…) ero "una cara bambina", col tempo sarei
diventata una "buona compagna". Quest'atteggiamento si accentuò
con le lettere dal carcere: "Il carcere aveva determinato due solitudini.
Quella di Altiero, racchiusa nelle mura di una prigione ma alimentata
da certezze granitiche e sorretta da una grande fiducia in se stesso
e nel proprio destino individuale; quella di Tina, affollata di
dubbi, di pulsioni contrastanti, di slanci vitalistici destinati
a entrare in una permanente rotta di collisione con il suo ruolo
di compagna di un detenuto politico: 'Io avevo 24 anni e dovevo
respirare, vivere (…). Aiutarlo durante la reclusione con lettere,
libri, visite era un dovere che sentivo (…) mi piaceva volergli
bene, ma anche avere amici con cui discutere, imparare, ridere e
poteva anche piacere scherzare con il fuoco' "Nel settembre 1929,
dopo aver avuto la sospensione della vigilanza, attraverso un'altra
sua amica ottenne l'incarico di direttrice della Colonia Marina
dei fasci femminili milanesi a Rimini (Igea Marina). Una sorta di
complicità tra donne l'aiutò a mantenere quel posto senza iscriversi
al PNF.
Vicende di lavoro e familiari la riportano a Torino
e qui a riprendere i contatti con l'antifascismo giellista (Leone
Ginzburg, Paola Lombroso Carrara) e sono contatti più amicali che
politici ma realizzano un distacco: 'I Carrara mi davano il primo,
confortante esempio di gente che pur desiderando salvare - col socialismo
- l'umanità, sa amarla al dettaglio, nei suoi singoli componenti".
Questa scelta le costò la solitudine 'e ieri ho sentito che fra
loro e me c'è un abisso. Dapprima ascoltavano sorridenti, un po'
scandalizzati un po' divertiti, le mie franche, eretiche parole.
Poi mi hanno isolata e ieri, pare, addirittura rinnegata. Un giudizio
spiccio, non sono stata interrogata, ma giudicata in camera segreta.
Finito. Non ci saluteremo più. Non ci conosciamo più. I nuovi amici
mi sono cari, ma ai vecchi volevo bene. Solitudine'. Nel 1933 incontra
Cesare Pavese e il giovane polacco Henek Rieser. Con entrambi, ma
soprattutto col primo ha relazioni burrascose. Il 15 maggio 1935,
"Tina fu di nuovo arrestata nella grande retata che portò all'azzeramento
definitivo della "cospirazionealla luce del sole." Fu a Torino alle
"Nuove". Questa nuova esperienza carceraria, durata solo qualche
mese, fu più traumatica e determinante per le sue scelte future.
"Qualcosa si ruppe nell'ottimismo e nello slancio vitale di Tina;
ora era veramente "stanca di guerra". In maniera assai significativa
e paradossale furono proprio i giudici ad aiutarla a mettere ordine
nella sua burrascosa vita sentimentale.
"Così di Tina ora sapevano tutto [i giudici del Tribunale
avevano messo le mani su tutta la sua corrispondenza e avevano indagato
a fondo sulla rete di amicizie e di rapporti che legava gli antifascisti
torinesi], anche quello che lei stentava a confessare a se stessa.
In questo senso il giudice istruttore le parlò con cognizione di
causa, emettendo una "sentenza" che, se non c'entra niente con il
procedimento penale avviato dopo l'arresto, per Tina fu come una
sorta di rivelazione di cose che lei confusamente aveva sempre saputo:
'il giudice (…) mi diede qualche consiglio. Pavese era da scartare;
un presuntuoso, uno che non sapeva vivere se aveva scritto a casa
- e mi lesse il pezzo che suonava all'incirca così: "qui giudici
e carcerieri, tutti terra da pipe, potete immaginare come andiamo
d'accordo" - Maffi deve essere un gran bravo figliolo, ma ha troppa
voglia di ridere e giocare, e non ha una posizione. L'unico serio
che dà affidamento è il terzo: un gentiluomo'. Tina decide di sposarlo,
è Henek, il polacco, perché così, sposando un ebreo di nazionalità
polacca, potrà eventualmente divorziare.
Sherazade
5: Galleria del Novecento
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