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Colette

Nel 1949, quando diventa Presidente dell'Accademia Goncourt, ha settantasei anni. Finalmente può guardare gli altri senza paura di essere ferita. "Ho un bel posare ad anziano ragazzo. In realtà gusto tuttora un piacere molto femminile nell'essere l'unica donna nei pranzi Goncourt, circondata da un aeropago di uomini: cinque, sei, otto, nove uomini. Dei veri uomini, nonostante l'età, con dei difetti da uomini, delle seduzioni da uomini". Al fotografo il suo viso appare quello di chi "non ha appreso nulla se non bruciandosi".

Scrisse, fra il 1900 e il 1950, circa sessanta libri fra romanzi, memorie novelle, diari, dialoghi, prose d'occasione. La sua riserva di immagini era quella dell'adolescenza, anzi meglio, di un giardino e degli alberi della sua adolescenza a Saint Sauveur, un paesino della Borgogna. Da qui era arrivata a Parigi, negli anni della Belle Epoque, col suo primo marito, un giornalista che la avviò alla scrittura firmando i suoi racconti, a cui lei affidò tutta la sua vita e da cui fu abbandonata dopo tredici anni. Senza soldi e soprattutto senza status. Lavora al Music-hall, riprende a scrivere e a pubblicare, nel 1911 ottiene tre voti dalla giuria del Goncourt, ma incappa in un nuovo Henry: inutilmente la madre la mette in guardia. A quarant'anni ha una bambina e gode, allo chalet di Passy, tutte le gioie femminili. A cinquant'anni è di nuovo sola. Scrive finalmente col suo nome: Colette. Di questi anni Chéry, Il grano in erba e La fine di Chéri. A sessantadue anni sposa Maurice, un uomo più giovane di lei che per la prima volta le infonde sicurezza e le dà benessere. E continua a scrivere "si legge e si dimenticano le parole, ci si dimentica la barriera del linguaggio scritto, l'autore, la cultura. Si legge. Si vive" (Le Clézio).

"E' di nuovo un giudizio che dopo vari anni conferma quello di de Montherlant: la stupenda prosa di Colette è una prosa così immediata da risultare trasparente, è una prosa straordinariamente naturale […]. La prosa di Colette, in verità, non andrà mai oltre se stessa e finirà col realizzarsi in due soli generi di libri. Il primo - romanzo o novella - è l'eterno libro che narra 'l'inferno del quale non posso fare a meno, il dolore d'amare' Innamoramento, gelosia, abbandono, inganno […]. Il secondo genere di libro è quello d'occasione, tessuto coi fili dell'esperienza personale. Poco diverso dal primo sostanzialmente. Solo che in luogo della trama ha pensieri, incontri, ricordi, sogni a occhi aperti. Non detti, ma sussurrati all'orecchio in modo ambiguo, accattivante e dolce, come una donna seducente che voglia trasformare il lettore in un complice: il complice d'una confidenza speciale" [p.39 da "Le lettere del mio nome" di Grazia Livi, La Tartaruga, 1992]

Sherazade 5: Galleria del Novecento


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