Irene
Brin
Irene Brin
(Maria Rossi)(1914-1969)
"Un pomeriggio del 1950 portava un tailleur di Fabiani
con un cappello di fath in Park Avenue a New York, "dove l'ha preso,
di chi è?", le chiese un'anziana donna-feticcio fermandola, con
vera indiscrezione americana: ma era Diana Vreeland direttrice di
Harper's Bazaar, e così cominciarono le fortune della moda italiana
negli Stati Uniti e la collaborazione di Irene Brin a quella rivista
i cui altri collaboratori erano Truman Capote e Carson McCullers,
Brassai e Cartier Bresson, la cui influenza era decisiva per la
mescolanza di alta moda e avanguardia culturale, tra costume elitario
dei ricchi e innovazione anticonformista dei ricchi".
Cattolica praticante, socialista, appassionata divorzista,
leggeva almeno un libro al giorno "con la voglia di identificare
l'aria del proprio tempo nelle cose marginali o mediocri che sono
esperienza di tutti più che negli eventi storici che sono teatro
dei leaders". Arroganza e allegria la sua divisa. Conosceva diverse
lingue, viaggiò molto seguendo anche il marito nella guerra in Jugoslavia
e sotto il bombardamento della Sicilia. Omnibus, Fronte, Il Mediterraneo
- quando la censura fascista chiuse Omnibus. Galleria romana la
Margherita. Obelisco in via Sistina, attirava le avanguardie culturali
del momento, ma era anche bersaglio delle retroguardie, nei Cinquanta
democristiani. "Lo stile di Irene Brin diventava famoso, deplorato
dal moralismo marxista, irriso dal populismo d'epoca, imitato negli
anni sessanta della sprovincializzazione italiana: uno stile asciutto,
condensato, esatto, e insieme brillante, eccentrico, spiritoso;
una scrittura chiara, bella, nervosa, e insieme riferimenti culturali
precisi […] una informazione non provinciale, cosmopolita […] uno
sguardo analitico capace di cogliere nelle persone e nei dettagli
l'eloquente esemplarità del tempo, di conservare il costume per
la Storia". Prima di morire un viaggio a Strasburgo per una mostra
di Diaghilev.
Irene Brin è lo pseudonimo di Maria Rossi. Datole
da Leo Longanesi all'inizio della sua collaborazione con la rivista
Omnibus, divenne quasi il suo vero nome, la sua identità. Elegante,
eccentrica, aristocratica, grande lettrice, lavoratrice instancabile
preferì i giornali (scrisse poi sul Fronte e su Il Mediterraneo)
alla letteratura, "al narcisismo egotista della letteratura il servizio
altruista del giornalismo, alla presunzione d'immortalità la certezza
di contemporaneità, all'espressione romanzesca di sé il romanzo
dei personaggi della realtà". Oltre ai suoi articoli su Omnibus,
scrisse però "Usi e costumi, 1920-1940", pubblicato nel
1944, ispirato a quegli articoli. Scrisse poi "Olga a Belgrado"
e la raccolta di racconti "Le visite".
"Usi e costumi" raccoglie come in un dizionario,
sotto le voci più varie, le sue annotazioni sul costume di quegli
anni con uno stile veloce, ironico, e osservazioni puntuali, capaci
di illuminare un'epoca. "Le ragazze" è una delle voci: "Davvero
un malinconico furore di vita animò le adolescenti 1920, in una
confusione dove il coraggio delle Crocerossine, la futilità delle
madrine, l'indipendenza delle americane guidatrici di ambulanze,
la frivolezza o la desolazione delle madri, si accordavano per creare
inquietudini dense di fretta, di insolenza, di offerta […]. Un impiego
possibilmente pittoresco, segretaria di attore cinematografico,
giornalista, disegnatrice di figurini, manichina, grafologa, rappresentante
di commercio, ballerina, anche; una stanza con ingresso sulla scala,
e possibilmente a Parigi, o a Londra, o a Nuova York, con bagno
e cucinino confinati negli armadi: un'automobile o una moto, utilitarie;
la possibilità di bere dello champagne appiccicoso e del whisky
di legno, ogni sera, in qualche locale notturno frequentato da negri
e tempestato di palline in cotone, e di coriandoli; ecco tutto,
e solo per fraterna tenerezza non nominiamo le illusioni d'amore
che completavano questo sogno di ragazza moderna […]. Le mode eccessive
le trovavano pronte all'imitazione e all'esagerazione, ebbero il
sarcasmo facile, e la riflessione difficile. Marie-Claire, loro
organo ufficiale, diffondeva, inutilmente, esortazioni alle marmellate,
o al ricamo: anzi le provviste in scatola di latta ed i collettini
di organdi in serie furono parte principale dei loro sogni, e i
film americani accrescevano la falsità di un costume sproporzionato
tra le apparenze, e le realtà delle vita quotidiana […]".
Irene presenta anche lei nel libro una galleria di
donne, sotto il titolo "Le protagoniste". Si tratta di donne dell'alta
società, eccentriche, ricche, per lo più, donne di cui si parlava
allora, l'equivalente delle attuali attrici e attricette, che in
fondo incarnavano i miti delle ragazze di cui si è parlato prima:
La Regina di Rumenia, Lady Mendl, la contessa Dorothy Dentice di
Frasso (pigmaliona - se si può dire - di Gary Cooper), Amalia Guglielminetti
(poetessa), madame Martinez de Hoz, Lucienne Boyer, Greta Garbo,
Odette Pannetier (giornalista di Candide), Anna De Noailles "di
grande famiglia quasi orientale per nascita, di grande famiglia
francese per matrimonio, scandalizzò deliziosamente il Faubourg,
dimenticando le sue sottovesti, e apparendo splendida fra i tulle
trasparenti; citava Platone invece di dire buongiorno. Un'estasi
piacevolmente comprensibile raggiava da lei, dai suoi amori dalla
sua poesia. Faceva l'amore, faceva i sonetti: il primo, sembra,
le importò meglio dei secondi, ed incontrando un giorno un'amica,
davanti all'ascensore di casa, le chiese, con gravità: "que ferons-nous,
ma bonne, lorsque nous ne pourrons plus faire l'amour? C'est bien
simple, nous ferons kara-kiri", e in ascensore si librò pronta verso
il cielo. Ma purtroppo non fece kara-kiri: divenne cavaliere della
legion d'onore, divenne vecchia, ed ansiosa di giovinezza: lasciò
decorare il suo castello di lettucci sospesi in ferro, di seggiole
a tubo, si tagliò i capelli, scrisse, morì" (Usi e costumi, pp.62-63).
Marta Palmer, Marie Laurencin, Mariette Lydis, Paola
di Ostheim, principessa di Sassonia Weimar (scrittrice, conobbe
D'Annunzio), Chanel, Marta Abba, Gertrude Stein, Elsa Maxwell, Andrée
Caron (Odette), Muriel Philipps Pawley, Clara Bow: "Nei suoi film
impersonava sempre una ragazza piacente anche troppo,e, per colpa
dei suoi capelli e del suo sorriso, costretta a difendersi dalle
insidie di vilains temibili. Alla fine la virtù tronfava sempre,
e si supponeva che la sua vita privata, nonostante i divorzi, le
fughe, gli abiti audaci, avesse sempre conclusioni rassicuranti.
Invece la sua segretaria, per ricattarla, pubblicò lettere, diari
e documenti che la rivelarono interamente corrotta. Ninfomane, lesbica,
alcolizzata: dovette intervenire Hearst, il custode del Buon Costume
Americano, per imporre il silenzio, e Clara, ufficialmente salvata
e coperta, finì la sua carriera di attrice. Ebbe naturalmente la
domestica a mezzo servizio, negra, le piatte bottiglie di whisky
falsificato, la miseria, grassa, cardiaca, solitaria". Amy Mollison
"la dattilografa volante, vinse una quantità di primati, e sposò
un aviatore. Ma dovette divorziare, quando ebbe battuto anche un
record di suo marito, che non le perdonò di aver compiuto il raid
Londra-Città del Capo in tempo minore. Divenne poi collaudatrice
di apparecchi militari, e, durante la seconda guerra mondiale, la
si fotografò spesso, ai fini della propaganda". Mrs. Massie violentata
da un chitarrista durante una vacanza ad Honululu, suo marito e
sua madre si vendicano uccidendo il colpevole e vengono condannati
a un'ora di carcere che trascorsero in casa del governatore; Sophie
Tucker (cantante), Isa Miranda "dattilografa milanese […].
Il suo nasetto irregolare, è divenuto per pura forza di coraggio,
il tratto più ammirevole e toccante di un viso ormai celebre tra
le folle"; Caterina Mansfield, Mae West, Jane di san Faustino, scrisse
delle memorie pubblicate su Omnibus, che fecero preoccupare i rappresentanti
del bel mondo; La baronessa Kayser, Ludmilla Pitoeff "la massima
attrice del nostro tempo", Frieda Lawrence, l'attrice Costanza Bennett.
Sono le donne di Irene.
Sherazade
5: Galleria del Novecento
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