Il dono di Bellow / di Claudio Gorlier

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Il dono di Bellow / di Claudio Gorlier

L'AMERICA BRUCIANTE DELLO SCRITTORE MORTO A 89 ANNI: COL SUO EBRAISMO E CON PROFONDO UMORISMO HA INTERPRETATO I MUTAMENTI ANTROPOLOGICI DEL NOVECENTO
di Claudio Gorlier

7 aprile 2005, la stampa

Il romanzo è per Saul Bellow, ha scritto un critico parafrasandolo, una
vecchia bicocca in cui si annida lo spirito. La bicocca rappresenta gli
pseudovalori, materialistici e deterministici, della nostra età; lo spirito
incarna un'alternativa umanistica, moralmente inquieta, alle soglie del
trascendente. Lo spirito sopravvive in un ambiente ostile, opponendosi alla
negatività, a un modernismo che vede l'umanità avviata a una catastrofe
quasi inevitabile. Così, forse il più grande scrittore dell'età definita del
modernismo si oppone ai suoi canoni, sul piano concettuale - non amava la
eliotiana «terra desolata» e detestava Sartre e il nouveau roman - e sul
piano della teoria letteraria.

Contava in modo cruciale per lui l'eredità della cultura ebraica. Nato in
Canada ma trasferitosi presto a Chicago, conosceva perfettamente lo yiddish,
aveva tradotto in inglese Singer che, mi confessò una volta, rimaneva il suo
più autentico modello, come Joseph Conrad che egli additò nel suo discorso
di accettazione del Nobel.

Tutti i suoi personaggi sono ebrei, sin dal primo, breve romanzo, Uomo in
bilico, del '44. Nel breve inesorabile La vittima, dedicato al suo vecchio
professore, Paolo Milano, l'ebreo Leventhal soffre persino maniacalmente la
tortura del pregiudizio, ma al tempo stesso istituisce un rapporto speculare
con l'antisemita Albee, il suo persecutore, che diviene vittima a sua volta,
nel segno di un insopprimibile rapporto morale. In La vittima si delinea già
l'antirealismo di Bellow, con una oppressiva, bruciante New York,
trasformata nella roccaforte di una sfrenata, darwiniana competizione.

Scrittore di idee non meno che inventore di caratteri e di un linguaggio
crepitante, Bellow, che insegnò a lungo sociologia all'Università di
Chicago, già nel 1953 pubblicava uno dei suoi due libri più celebrati e
popolari, Le avventure di Augie March, un romanzo picaresco e di
iniziazione, che nel titolo contiene un rimando non casuale allo Huckleberry
Finn di Mark Twain. Il giovane eroe ebreo, che si presenta già all'inizio
dichiarando «Io sono un Americano», passa attraverso tutta una serie di
avventure, e il suo naturale candore viene messo a dura prova da individui
machiavellici, ma resiste. In altre parole, Augie non si lascia sopraffare
da un ambiente amorale che vorrebbe imporgli la sua visione della realtà.
Alla fine, conquistata una precisa identità, Augie diviene il simbolo di un
americano nuovo, genuino, e con se stesso riscopre, appunto, l'America,
novello Colombo, come dichiara al termine del romanzo: «Può proprio darsi
che io sia un fallimento... Anche Colombo pensò di essere un fallimento,
probabilmente, quando lo rispedirono in catene. Il che non provò che non
c'era l'America». L'ebreo di Bellow è, dunque, profondamente americano: lo
scrittore tenne sempre a sottolinearlo, e ricordo che ne parlammo più di una
volta. Con gli anni, Bellow divenne addirittura una sorta di patriota
americano.

Nel 1964, dopo la «fantasia» africana di Henderson, il re della pioggia,
apparve l'altro romanzo chiave, Herzog.

Herzog il cornuto
Moses Herzog, professore di mezza età, deluso e affascinante, mattacchione e cornuto, cerca con frenetica angoscia di mettere insieme i frammenti di un
passato frustrante, di trovare una spiegazione. Depresso per il divorzio
dalla seconda moglie Madeleine, associa la sua crisi con quella dell'intera
civiltà occidentale: riflette sull'etica di Nietzsche e su quella del suo
analista, il dottor Edvig. Lo prende l'ossessione di scrivere a catena
lettere all'amante Ramona, ad amici, a sconosciuti, a personaggi importanti,
vivi o morti. E' questa la trovata centrale del libro, con un risvolto
psicanalitico familiare a Bellow, autore, tra l'altro, di una brillante,
sottovalutata commedia. L'ultima analisi, di chiara impronta yiddish, il cui
maniacale protagonista vorrebbe salvare il mondo con la psicoterapia (fu
rappresentata in Italia, regia di Scaparro, formidabile interprete Scaccia).
Ramona vorrebbe salvarlo con il sesso, ma Herzog lo ritiene puro edonismo.
Si precipita dalla campagna a Chicago per uccidere Madeleine e il suo
amante, poi si rende conto della assurdità del proposito e ritorna in
campagna, dove il romanzo era iniziato, guarito, pacificato, senza più
«messaggi per nessuno. Neanche una parola». Ha acquistato una nuova
coscienza di sé.
Herzog è un romanzo a vari registri, come i viaggi che il protagonista ha
compiuto, i suoi vagabondaggi eteriali e mentali, la scoperta della crudeltà
del mondo, nella scena decisiva di un processo per infanticidio cui assiste,
e infine la ricusazione del proprio egoistico e astratto idealismo, il
ripudio della sua fuga dalla realtà. Non meno decisiva la mordente ironia e
il gioco autobiografico. Il disk-joker Valentine, come ha verificato James
Atlas nella sua Vita di Saul Bellow (Mondadori) e mi capitò di riferire
nella mia recensione su La Stampa, sbeffeggia Jack Ludwig, amante di una
delle cinque mogli di Bellow. Antifemminista ma irresistibile dongiovanni,
modesto di statura ma seduttore impenitente, conversatore di raro fascino,
Bellow riuscì a diventare padre di una bambina nel 1999, a 84 anni. «Sono
matto, per me va benissimo».
Prima del Nobel, nel '76, altri due romanzi meritano una particolare
attenzione, Il pianeta di Mr. Sammler e Il dono di Humboldt, del '70 e del
'75. Sammler, ricco ebreo di Cracovia, rispettato intellettuale, di
formazione scientista alla Wells, scampa alla morte in campo di sterminio
dove la moglie viene uccisa, e dopo la guerra pensa di trovare pace negli
Stati Uniti.

Lettera postuma di Humboldt
Non è così: il mito del profitto lo opprime, uno studente radicale lo
insulta, un tagliaborse lo aggredisce, uno statuario nero - reale,
immaginario? - lo segue e, quando si rifugia in un portone, gli esibisce
sfrontatamente il suo membro senza una parola. Il secolare, materialista
Sammler si trasforma in spiritualista, legge avidamente i mistici medievali.
Alla fine del romanzo, andrà in ospedale dove un amico è morto, per recitare
davanti a lui una preghiera.
In Il dono di Humboldt, il protagonista, Charlie Citrine, ha perduto
prematuramente il suo mentore, Von Humboldt Fleisher, potenzialmente un
notevole poeta mai del tutto realizzatosi. Una lettera postuma di Humboldt è
il dono, quello che consente a lui, scrittore che ha finora sprecato il
proprio talento, di rinnegare il suo narcisismo, di trovare salvezza in una
società che ha ben poco rispetto per l'arte.
Bellow, che aveva compiuto a suo tempo un decisivo viaggio in Israele da cui
scaturì il partecipatorio e partigiano A Gerusalemme e ritorno, si era negli
ultimi anni trasferito a Boston, la città più tradizionalmente americana.
Qui egli scrisse la sua ultima opera, il pregnante breve romanzo Ravelstein,
ancora una prova folgorante ove si fondono narrativa, ritratto letterario,
satira e, significativamente, il senso della morte. Ma delle ultime opere,
vorrei almeno rammentare Una proposta di matrimonio, un romanzo per molti versi inaspettato, umbratile: la storia di un uomo di successo che ha amato una donna andata moglie a un altro, e che, ritrovatala durante il funerale di lui, si getta alle spalle una vita banale e ordinaria proponendole con successo di sposarlo. Anche qui un riscatto, una salvezza.
E' scomparso, con Bellow, uno scrittore per il quale riesce arduo trovare
aggettivi. In quanto a me, permettetemi di ricordare un uomo che mi ha
arricchito in ogni incontro e con il quale ho avuto un rapporto prezioso.

Contesto

Saul Bellow

 


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