L'Italia nel XVI secolo

Antenati Storia della letteratura europea - Torna in homepage


L'Italia nel XVI secolo


La crisi italica del XVI secolo

La ricerca dei modelli

Tutta la cultura dotta europea, dalla caduta dell'impero roma no in poi si è posto come problema centrale quello del modello, dell'auctoritas da seguire all'interno di un dato filone o gene re. Nel momento in cui si pone concettualmente un momento del passato come età dell'oro, età di un paradiso terrestre mitico perduto, ci si trova ad avere a che fare con il problema dei mo delli. Per la cultura latina da Tommaso da Aquino in poi auctoritas divenne Aristoteles, e l'aristotelismo insieme all'idea geocentrica tolomeica fu l'assunto concettuale dominante. Con l'umanesimo, con il sorgere della nuova classe mercantile, si instaura un affinamento delle problematiche connesse ai modelli. Ci si accorge della povertà e, in molti casi, dell'errore cui la modellistica precedente portava. Il ritrovamento dei "classici" greci e latini, cioè del nuovo passato cui riferirsi, divenne evento non solo per il profilarsi di una nuova serie di modelli (Plato, Cicero ecc.), ma anche riaccostamento a quelli finora seguiti con nuovi occhi. Così la ripresa dell'aristotelismo.
La cultura dotta continua a riproporre il meccanismo dei mo delli, che è il tentativo di una classe di proteggersi dal nuovo, dal "disordine", da ciò che non riesce a controllare e non solo bisogno di ordine, disciplina e affinamento che il confronto con un "classico" comporta. Nel XVI secolo si verifica anche un altro fenomeno, quello dell'anticlassicismo. E' un fenomeno che ha le sue origini nel secolo immediatamente precedente, nella stessa ricerca umanistica e in particolar modo nella filologia, la ri cerca della verità intorno all'oggettività della realtà (un testo). Il contatto con la realtà dell'oggetto porta alla coscienza che il modello elaborato dai classici alcuni secoli prima non funziona pił, che la realtà contemporanea è diversa da quella an tica, che ha proprie regole e caratteristiche che vanno da una parte analizzate senza moralismi e senza falsificazioni (per la politica è Machiavelli per la storia è Guicciardini). Dall'altra parte si sente il bisogno di nuovi modelli. La cultura contemporanea, forte delle nuove conquiste effettuate, si propone e ricerca modelli nuovi, nei campi nuovi che la cultura del XVI seco lo conosce e che nel mondo classico greco e latino non esisteva o di cui non ha lasciato documentazione di riferimento. Così il "Cortigiano" di Castiglione, e la stessa opera di Vasari che è in fondo una esposizione di "modelli" di grandi artisti da proporre all'esempio di contemporanei e posteri, e la "Vita sobria" di Alvise Cornaro ecc.. E' una strada questa che porta man mano all'acquisizione di una nuova coscienza collettiva, quella di una differenza rispetto all'antico, e, perché no, a una superiorità rispetto al mondo classico latino e greco: sarà la "questione de gli antichi e dei moderni", parte di una nuova concezione dei va lori e della weltanschauung. Ciò che nel mondo borghese porterà alla nuova concezione del tempo e dell'idea di progresso. Nello stesso tempo la strada dei "modelli" porta al fenomeno, che inte ressa la letteratura soprattutto nella seconda metà del secolo, del manierismo.

Il dibattito estetico

Il dibattito estetico è dominato dalle figure di Pietro Bembo, Baldesar Castiglione, Lodovico Castelvetro, Stefano Guazzo. Sono i saggisti che possono ancora oggi leggersi, e che hanno avuto una influenza sugli sviluppi della riflessione estetica successivi.

Storiografia

Al campo storiografico appartengono le opere di Benedetto Varchi, Donato Giannotti, Iacopo Nardi, Francesco Guicciardini. Operazione storiografica particolare compie Giorgio Vasari. Con lui siamo nel territorio di confine tra estetica e storiografia.

La stampa: tipografie e editori

Con la nascita della stampa sorge un mestiere nuovo. La tipografia, centro di riproduzione del testo scritto, diventa editore, colui che investe denaro sulla vendita di un testo e che dunque opera la selezione dei testi in base al criterio di vendibilità del prodotto.
In questa fase di trasformazione avviene anche un fatto importante: la nascita di un'arte tipografica. I primi prodotti stam pati, quasi sempre esteticamente inferiori ai prodotti scrittori manuali, cominciano ad acquisire una peculiarità e un pregio artistico proprio. L'arte tipografica nello stesso tempo si affran ca dalla competizione con l'arte amanuense, sviluppa caratteri e vincoli stilistici formali propri.
Il maggiore tipografo ed editore dopo i "padri fondatori", è Aldo Manuzio, la cui arte influirà fino ad oggi sulla storia dell'edizione del libro.
Nel XVI secolo la fase sperimentale della stampa è in gran parte superata dal processo di espansione che le tipografie cono scono. Ne spuntano come funghi dapertutto, nelle città pił avanzate economicamente e culturalmente dell'europa latina e post-latina. A esse si deve il proliferare delle pubblicazioni, con l'allargamento della fascia del pubblico tradizionale.
Una delle conseguenze della stampa e dell'affinamento dei criteri razionali di sistemazione e sistematizzazione della cultura è anche lo sviluppo di scienze connesse con il libro. Così la bibliografia. Tra i maggiori bibliografi del secolo è Conrad Gesner, autore di una Biblioteca universale (Bibliotheca universalis) in due tomi, in cui ordinò e diede sistemazione al patrimonio scritto di tutta la civiltà scientifica e letteraria europea. Con la stampa il processo di accumulazione del sapere subisce una notevole virata. Si passa da una fase artigianale a una pre- industriale. Non è secondario il fatto che ciò sia potuto avvenire per opera degli umanisti, in cui l'attenzione per la tecnica si univa a un'amore per il libro che sconfinava anche nel misti cismo e nell'esoterismo (si pensi all'ermetismo e alla cabbala cristiana), in cui il libro era posto al centro dell'attenzione in quanto custode della conoscenza, e non solo delle tecniche (mediche o giuridiche) e della memoria (storia): conoscenza sapienzale, mistica, magica, occultistica. L'ansia umanistica per la totalità, ciò che portava da una parte al misticismo e al desiderio di tutto sapere sull'universo, dall'altro portava al ten tativo di accumulare quanto pił possibile delle conoscenze acquisite.

Teatro: la tragedia

Il peso della precettistica aristoteliana (che però ebbe una determinante importanza culturale a fornire strumenti, tecniche e coscienza artistica agli intellettuali che finora avevano operato dilettantisticamente) si ha soprattutto nella produzione di tragedie. Fredde, anche se stilisticamente impegnate ci sembrano le opere di Gian Giorgio Trissino (con la sua Sofonisba), Luigi Alamanni (con Antigone ). Alla fine del secolo sembra che la tragedia si evolva verso forme pił originali, con l'influsso di Seneca, la proposizione di temi orridi, atroci con Gianbattista Giraldi Cinzio (1504/1573): una tragedia horror che ebbe notevole fortuna in europa.

Teatro: la commedia

Pił interessanti i risultati nella commedia. Ludovico Ariosto inizia l'imitazione dei modelli classici latini inserendo compli cazioni di trama e tipologizzazione dei personaggi, ma i suoi risultati non sono granché.
Tra le cose migliori del secolo è invece la Mandragola di Machiavelli, che riesce a rappresentare con vivace realismo, impie toso pessimismo, un mondo corrotto e quotidiano. Pił artificiose ma di buon livello ci paiono la Calandria di Bibbiena, le commedie di Pietro Aretino, quelle degli Accademici Intronati di Siena.
Il pił innovatore commediografo del secolo è Angelo Beolco detto 'il Ruzante' , che vivifica la cultura classica con il filone popolaresco in lingua pavana: contrapposizione città vs campa gna, satira del villano, il tragicomico del contadino in guerra sono i suoi temi. Con Ruzante siamo nell'orbita di una tradizione dialettale estremamente viva e efficace, cui appartengono anche altre commedie di alto livello qualitativo: La veneziana (La Venexiana), e le commedie di Antonio Calmo (1509 o 1510/1571): con essi siamo sulle soglie della "commedia italiana dell'arte".
Pił appartenente alla sociologia del teatro che da segnalare per i risultati di valore raggiunti, la produzione teatrale sempre vasta, che continua per tutto il secolo, proveniente dai centri e dalle organizzazioni religiose. Particolarmente interessante è la produzione teatrale dei conventi cattolici di suore. Quella dei conventi è una situazione molto differenziata, da con vento a convento; la produzione è legata alla connessione di ceto di badesse e suore. Mentre influisce la progressiva chiusura dei conventi: dopo il concilio di Trento si decretò ad esempio la clausura in tutti i monasteri femminili, anche quelli fondati co me case 'aperte' di terziarie. La vita delle suore era rigidamen te condizionata dalla disciplina imposta, ma in alcuni conventi, nei periodi festivi, la vita di preghiera e di lavoro veniva interrotta con spettacoli di vario genere e banchetti. Le monache allestivano rappresentazioni e commedie con intermezzi musicati e apparati scenici anche notevoli.
Giovan Battista Gelli che nella Sporta (atto III, scena 3) parla del teatro delle suore, così descrive le preparazioni: «e gli è teste lor tocco la fregola di far una commedia. Otto dì prima e otto dì poi, si durerà a portar cose in qua e in là». Nel prologo della Ricreazione facta per el dì di S.Agnese , una sacra rappresentazione proveniente da un monastero toscano di domenicane, due suore discutono: una si lamenta della fatica che lo spettacolo le ha procurato, l'altra trova a dirne bene:
«[Prima suora:] "O quanto indarno s'affatica & suda | per recrearsi una volta o dua l'anno! | Tanto è Fortuna de' suo' beni ignuda: | la festa è superata da l'affanno. | Pił di spiaceri che piacer si riceve | e sare' meglio a pigliarsene panno".
[Seconda suora:] "Egli è così ma pure e' si richiede | c'un s'affatichi perché ciaschun goda. | Così la carità crescer si vede"».
Le suore curavano tutti gli aspetti dell'allestimento: prove, messa in scena, recitazione. A volte producevano esse il testo da rappresentare. Le festività principali erano quelle di carnevale, il natale, e le feste importanti per il monastero come quella del santo protettore o per le vestizioni e professioni. A volte nei monasteri erano rappresentati testi scritti da 'esterni'.
Tra i commediografi che scrissero testi espressamente per i conventi, fu Giovan Maria Cecchi. Egli seguiva la prassi di indirizzarle a pubblici diversi, modificando il prologo a seconda dei destinatari (monache, frati, confraternite ecc.). Nell'ambito di questa sua produzione, interessante è L'acquisto di Giacobbe , una commedia spirituale del 1580-1587, nel cui prologo, scritto per una recita claustrale di monache, è una difesa dell'uso di fare commedie nei monasteri, ovvero di aprire spiragli di evasione e di gioco in un ambito che i pił integralisti vorrebbero chiuso e fisso alla sola pratica cultuale. Fa dire Cecchi nel prologo:
«Questa nostra natura è così debole | che se ella non ha qualche ristoro | religiose ascoltatrici e pie | ella non può durar nelle fatiche | del corpo e manco in quelle dello spirito. | Onde vedete che bisogna darle | quanto al corpo, il suo cibo al tempo debito | e il suo sonno. Poi, quanto allo spirito, | le sue recreazioni e sue vacanze. | [...] | Alli contemplativi è di bisogno talvolta aver qualche re creazione, | come sarebbe andare all'aria, fare | altro esercizio lecito ed onesto | [...] il fare alla palla, alle pallottole, | e cose simiglianti. Acciò che poi, | ristora tosi il corpo insieme e l'animo, | fussero pił ferventi all'orazioni | e agli altri pesi che dava la regola».
Cecchi racconta un aneddoto, derivato dagli "Apophthegmata patrum" dov'era attribuita a san Antonio eremita, ma lui l'attri buisce a san Benedetto abate. Benedetto dimostra a un giovane mo naco la necessità del riposo nella vita: come per mantenere in buone condizioni una balestra non si può lasciarla carica a lungo altrimenti diventa molle e non tira pił bene, così affinché i monaci siano pił assidui nel lavoro e devoti nelle preghiere è necessario che si concedano riposo e svago: «ogni cosa | insomma, vuole i suoi riposi»:
«Da | questo, mi credo io, fur mossi quelli | che fér i monasteri, a consentire | che le suore facessero, ne' tempi | che siamo adesso, le presentazioni | e le commedie, avendo sempre l'occhio | che le fussero oneste e da cavarne | spas so spirituale e documento».
Le recite erano permesse dalle autorità purché avessero, oltre al divertimento, allo «spasso spirituale», anche uno scopo didattico, il «documento». Ma erano sempre controllate perché non scadessero nella licenza. E a recitare erano messe le giovane monache e qualche volta anche le educande.

Produzione lirica

La produzione lirica è indirizzata lungo una serie di filoni. Quello sentimentale e di evasione, con il petrarchismo e l'arcadismo (cui dà il via Sannazaro); nei migliori tra essi vi sono spunti esistenziali veri (come in Buonarroti). E quello satirico e polemico, di cui è parte anche Pietro Aretino.
Al di fuori del petrarchismo, ma dentro filoni già provati, i migliori risultati sono raggiunti da Francesco Berni (1497/1535) nel campo della satira per i suoi atteggiamenti antiletterari.

L'arcadismo

La fortuna dell'opera di Sannazaro fu enorme nel XVI secolo. Solo in Italia si contano 66 edizioni nel corso del secolo. Negli altri paesi l'imitazione continuò anche nel XVII secolo. Si pensi alle egloghe di Garcilaso de la Vega; "I sette libri della Diana" (1558-9) del portoghese J. de Montemayor; l'"Arcadia" (1590) di Sidney; l'"Astrea" (1607-1627) del francese H. d'Urfé; la "Ninfa Ercinia" (1630) del tedesco M. Opitz.
In genere si può dire che l'arcadismo interessò in particolar modo l'area spagnolo- castigliana, e quella inglese. Nel XV secolo nella Spagna castigliana le forme liriche risentono pił dell'in flusso dell'arcadismo e di Sannazaro che del petrarchismo (che pure ha vasta eco). esemplare l'opera di J. Boscán Almogáver il cui incontro a Granada con Navagero nel 1526, è rimasto a indicare emblematicamente l'inizio di una nuova stagione. Oltre che naturalmente Garcilaso de la Vega.
Sugli inglesi è forte l'influenza del petrarchismo, mediato anche attraverso le esperienze liriche francesi della Pléiade. Ma è l'"Arcadia" di Sidney a essere tradotta nel 1620 da M. Opitz in tedesco e avviare, anche se solo in ambienti ristretti, la moda pastorale. La lezione italica del modulo pastorale è assorbita anche da lirici olandesi come D. Heinsius e P.C. Hooft.

Il petrarchismo

In campo poetico dominante è il petrarchismo. Esso si sviluppa in Italia, nella prima metà del XVI secolo in ambiente accademico-universitario, principalmente veneto, grazie alla normalizzazione fatta da Bembo. Una riforma, rispetto al petrarchismo del XV secolo, scandita da tappe successive e continue sempre pił prestigiose: la riproposta del "Canzoniere" (cioè i "Frammenti di cose in volgare") di Petrarca in una edizione puntigliosa mente corretta e annotata (1501); l'approccio teorico al nesso platonismo-petrarchismo nel dialogo degli "Asolani" (1505); la codificazione, intimamente rivissuta, del linguaggio petrarchesco come linguaggio supremo e assoluto della poesia nelle "Prose di lingua volgare" (1525). Contro l'eclettismo del XV secolo, Bembo applica alla produzione volgare il principio dell'imitazione dell'"autore unico", teorizzato dall'umanesimo ciceronianista; addita nel "Canzoniere" e nel "Decameron" i paradigmi esclusivi della poesia e della prosa. In questa prospettiva il "Canzoniere" diventa il modello in sé concluso e perfetto, da cui ricavare le regole generali di comportamento e le forme espressive conseguen ti. Sintomatica è l'interpretazione del "Canzoniere" in chiave di storia romanzesca e di "itinerarium vitae", su cui insisteranno tutti i commentatori del XVI secolo (A. Vellutello, G.A. Gesualdo, B. Daniello ecc.). Il petrarchismo bembiano ebbe anche una valenza sociale, fu una moda, amplificata dalla diffusione a stampa dei canzonieri e delle raccolte di rime, in grado di caratterizzare e definire precisi ambiti e livelli socio-culturali.
In Bembo teorico è l'identificazione assoluta con il modello, che è quindi un "sistema". Ciò porta nei rimatori bembeschi a forme di virtuosismo e stereotipizzazione.
Nella selva dei petrarchisti del XVI secolo, il petrarchismo si presenta tuttavia realizzato in una casistica inesauribile di variazioni, pił o meno consapevoli, di slittamenti che non intaccano il sistema ma portano alla graduale dissoluzione dei modelli e dei canoni, ciò che verrà sanzionato nelle rime di Tasso. I pił ortodossi sono i rimatori veneti: T. Gabriele, B. Cappello, Antonio Brocardo.
Tra i tosco-romani sono tentativi di variare la "grammatica" bembiana, in vari modi: ricorrendo ai metri barbari e al classicismo archeologico (Claudio Tolomei); intensificando i toni elegiaco-meditativi (Giovanni Guidiccioni); rappresentando gli effetti dolorosi e stranianti dell'amore (Francesco Beccuti il Coppetta); si impiegano forme pił sciolte, come il madrigale (G.B. Strozzi).
Nei meridionali si privilegiano i temi paesistici e pittorici (Luigi Tansillo, Bernardino Rota); altri curano la scansione epigrammatica del sonetto (Angelo Di Costanzo).
Anche tra le rimatrici, ad eccezione di Isabella di Morra chiusa nella tragicità della sua personale esperienza, ci si muove nell'ambito del petrarchismo bembesco: a livello colto e dot trinario con Vittoria Colonna, sentimentale e melodrammatico con Gaspara Stampa (tra i maggiori autori lirici del secolo), mondano o "di corrispondenza" con Veronica Gambara, Chiara Matraini, Laura Battiferri, Laura Terracina ecc.
Sul finire del XVI secolo, il petrarchismo tende sempre pił a complicarsi all'interno di una moda manieristica. A un manierismo classicistico si ricollega un minore come Bernardino Baldi.
Nel corso del XVI secolo, mediato dalle traduzioni del "Canzoniere" di Petrarca e dalla diffusione delle opere dei maggiori poeti italici, e grazie al soggiorno in Italia di molti intellet tuali europei, il petrarchismo si estese agli altri paesi europei. In Europa modello di riferimento però non fu Bembo all'inizio, ma la poesia cortigiana del secondo XV secolo. Grande fortu na ebbe ad esempio Tebaldeo e soprattutto Serafino Aquilano, in Francia: si vedano M. Scève, Ph. Desportes, Clement Marot, M. de Saint-Gelais; mentre in Inghilterra ne sono influenzati Th. Wyatt e H.H. Surrey. Il petrarchismo bembesco fu ripreso dai poeti francesi della Pléiade: P. de Ronsard, J. Du Bellay, J.A. de Baļf , R. Belleau ecc. Essi sul tronco bembesco innestano i modelli dell'antichità greco-latina: Pindaro per le odi, Anakreon, Oratius, Catullus per le liriche, creando forme preziose di intarsio stilistico desti nate a rigenerare il classicismo europeo del tardo XVI secolo e dei primi del XVII. Subirono l'influenza della Pléiade una lunga schiera di lirici inglesi: Th. Watson, Ph. Sidney (i padri del sonetto elisabettiano), Th. Lodge, M. Drayton, E. Spenser, William Shakespeare.
Pił autonoma l'evoluzione del petrarchismo castigliano- spagnolo, in cui si inserisce pił forte la mediazione di Sannazaro. Da una conoscenza diretta degli ambienti italici nasce anche la riforma poetica portoghese, attuata da F. Sá de Miranda dopo il lungo soggiorno italico del 1521- 1527.
Sporadico e tardivo fu invece l'influsso del petrarchismo in Germania, dove la tecnica della "correlazione" affiora solo in alcuni poeti del XVII secolo, e con la mediazione del modulo pastorale. Così avviene anche per i lirici olandesi.
I migliori petrarchisti italici sono Giovanni della Casa, Galeazzo Di Tarsia, Gaspara Stampa, e soprattutto Michelangelo Buonarroti. Essi si muovo all'interno del sistema, ma lo portano in direzione pił personale, a una maggiore varietà di toni e modi. A essi riesce forse quello che non riesce agli antipetrarchisti di chiarati (come Berni, T. Folengo, Pietro Aretino): la disgrega zione e il superamento del petrarchismo stesso. Nel momento in cui questi ne accettano i canoni, ne mettono profondamente in crisi le premesse ideologiche: in essi sono vivi esigenze nuove, che non hanno pił il loro rispecchiamento in quel modello statico e sempre pił inadeguato ad accogliere le oscillazioni e i tormenti delle coscienze della post-controriforma.

Antipetrarchismo

Esiste in tutto il XVI secolo un sotterraneo impulso antipe trarchista e anti-dotto, proveniente da ambienti culturali scapi gliati e pił vicini, forse, ai gusti e alla realtà quotidiana. Ciò che rimane ovviamente sono in gran parte prodotti di uomini non incolti, letterati anti-dotti, giacché di tutto quel che si produceva a livello quotidiano e popolare, affidato alla cultura orale e dei cantastorie, non restano molte tracce. E tuttavia l'antipetrarchismo fu un'esigenza, parte della ricchezza cultura le dell'Italia centro-settentrionale nel XVI secolo. Fenomeno sociale ma anche portatore di opere e tentativi tra i pił interessanti dal punto di vista letterario.
I maggiori autori antipetrarchisti sono certo Berni, Folengo, Pietro Aretino. Ma insieme a loro, a livello spesso locale, operano tutta una serie di autori minori, che danno il background di un fenomeno capillare. Si pensi a una figura come Giovan Paolo Lomazzo.

Produzione narrativa

Le cose migliori sono quelle connesse a spiriti non eruditi, vivificati dalla comunicatività realistica. Per il resto si preferisce far opera d'arte tramite il poema narrativo, specie con quello cavalleresco. La narrativa in prosa italica è decisamente influenzata dal modello boccacciano. Interessante il racconto di Luigi Da Porto, sulla storia di Giulietta e Romeo che giungerà poi a Shakespeare tramite Bandello e Arthur Brooke.

Nella gran parte però si assiste a un processo di progressivo appiattimento dei moduli narrativi boccacciani, nella direzione pedanchesca e moralistica (un esempio estremo, le novelle di Sebastiano Erizzo quasi del tutto prive di dialogo e che utilizzano una lingua bembesca).

Il poema cavalleresco

Alla composizione di grossi poemi "cavallereschi" si dedicano all'inizio del secolo Ludovico Ariosto (1474/1533), con Orlando furioso (in prima edizione nel 1516 e in seconda, rilimata sotto i precetti bembeschi, nel 1532), tra le opere pił luminose e gra devoli della produzione di questo secolo, e, alla fine del secolo - in epoca già segnata da una decadenza sociale e culturale, dal la controriforma, dal manierismo prebarocchista - Torquato Tasso (1544/1595) con Gerusalemme liberata.
Nel contesto dei poemi cavallereschi seri e dotti, un posto importante hanno gli anti- poemi cavallereschi, in cui il comico la parodia e la satira prevale: così le opere di Folengo, e di Rabelais.

La produzione in latino

Parallela alla vasta fioritura in lingua post-latina italiana, si ha in Italia una vasta produzione in latino, proveniente dagli stessi ambienti culturali. In questa produzione è pił evidente la derivazione dal clima culturale del XV secolo. E' una produzione latina umanistica, che raggiunge notevoli risultati in campo poe tico e non solo nella trattatistica e negli studi. Il trionfo nel XIX secolo degli stati nazionali europei, con la scelta delle lingue nazionali, ha fatto dimenticare o perdere l'attenzione su gli autori latini coevi alle prove della maggiori letterature nelle lingue post-latine.
Il latino, nei paesi pił ricchi dell'occidente europeo era il background culturale, il mezzo di comunicazione comune degli appartenenti alla classe colta e intellettuale. Una presenza del latino che si era rafforzata con il progresso stesso della scolarizzazione.
Caso documentario tipico che ci fa vedere quanto presente e capillare fosse la diffusione del latino nelle regioni pił ricche dell'occidente europeo sono la serie di notai, giureconsulti, ecclesiastici che usano il latino per le normali faccende quotidiane, per la diaristica o per il diletto poetico.
Tra i poeti in latino, un posto occupano gli italiani Marcantonius Flaminius, Domenico Tarilli.

XVI secolo

[1997]


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