Gaspara Stampa

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Gaspara Stampa


Nata a Padova nel 1523, da una modesta famiglia di commercianti, si trasferì a Venezia (dove morirà nel 1554) insieme con i fratelli dopo la morte del padre (1531). Fece buoni studi lette rari e musicali, divenne una delle personalità più in vista di Venezia. Ammirata anche per la sua bellezza e come cantante, ebbe molte relazioni. Tra queste, quella, non adeguatamente corrispo sta, per il conte Collaltino di Collalto: a lui è dedicata gran parte dei 311 componimenti delle sue Rime . Esse furono pubblicate postume dalla sorella Cassandra nel 1544, e dedicate a Giovanni della Casa. Sono in gran parte sonetti, ma con alcune canzoni e sestine.
La critica romanticista valorizzò molto i componimenti di S., leggendovi una vicenda autobiografica sofferta e appassionata. I pregi migliori delle sue rime sono, a parte il repertorio lessi cale e iconografico petrarchesco, un certo scavo psicologico, la mancanza di complicazioni intellettualistiche. Come esempio possiamo ricordare i sonetti "Qualunque dal mio petto esce sospiro" e "Io son da l'aspettar sì stanca":

Qualunque dal mio petto esce sospiro, | ch'escon ad or ad or ardenti e spessi | dal dì che per mio sole gli occhi elessi, | ch'a prima vista a morte mi feriro, | vanno verso il bel colle, ove pur miro, | benché lontana, e vanno anche con essi | i miei pensieri e tutti i sensi stessi; | né val s'io li ritengo o li ritiro, | perché la propria loro e vera stanza | son que' begli occhi e quella alma beltade, | che prima mi destar la desianza. | O pur sieno ivi accolti da pietade! | di che non spero, poi che per l'usanza | vi suol sempre aver luogo crudeltade.
[Qualunque sospiro esca dal mio petto, | (giac)ché essi escono di momento in momento spessi e ardenti | dal giorno in cui elessi come mio sole (come mia guida) gli occhi, | che alla prima occhiata mi hanno ferito, | vanno verso il bel colle, dove pure guardo, | benché sia lontana, e con es si vanno anche | i miei pensieri e tutti i miei sensi; | e non serve che li trattenga o li ritira, | perché quei bei occhi e quell'anima bella | che prima mi destò il desiderio | sono la loro propria e vera stanza. | O almeno siano qui accolti con pietà! | di questo non spero, giacché secondo l'uso | vi è sempre crudeltà]

Io son da l'aspettar ormai sì stanca, | sì vinta dal do lor e dal disìo, | per la sì poca fede e molto oblìo | di chi del suo tornar, lassa, mi manca, | che lei, che 'l mondo impallidisce e 'mbianca | con la sua falce e dà l'ultimo fio, | chiamo talor per refrigerio mio, | sì 'l dolor nel mio petto si rinfranca. | Ed ella si fa sorda, al mio chia- mare, | schernendo i miei pensier fallaci e folli, | come sta sordo anch'egli al suo tornare. | Così col pianto, on d'ho gli occhi miei molli, | fo pietose quest'onde e questo mare; | ed ei si vive lieto ne' suoi colli.
[Sono così stanca orma da aspettare, | così vinta dal do lore e dal desiderio, | per la poca fede e la molta dimenti canza | di colui il quale, misera, mi manca il ritorno, | che colei che il mondo fa impallidire e sbianca | con la sua falce e dà l'ultimo castigo, | chiamo talvolta a mio refri gerio, | così il dolore si rinfranca nel mio petto. | E lei finge di non sentire al mio chiamare, | schernendo i miei pensieri errati e folli, | così come lui è sordo dal torna re. | Così con il piento, per cui ho i miei occhi molli, | faccio commiserevoli queste onde e questo mare; | e lui vive lieto nei suoi colli]



[1997]


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