I paesi extraeuropei nel XVII secolo

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I paesi extraeuropei nel XVII secolo



Persia

In Persia la situazione politica e sociale interna non permette vita facile ai ceti intellettuali. Dopo il periodo di emigrazione di intellettuali persiani attratti dalla corte meno burrascosa del Gran Mogol, e l'elaborazione dello "stile indiano" che influenzerà a sua volta la letteratura dell'epoca safavide (1500-1736), è significativo che il miglior poeta del XVII secolo persiano sia Sa'ib di Tabriz, che visse per sei anni alla corte del moghul indiano Shah Giahan (o Jahan). Sa'ib era nato a Isfahan nel 1601 (morì nel 1677) da una famiglia di Tabriz. Dopo il soggiorno indiano rientrò in patria. Il suo successo poetico proseguì alla corte del sovrano safavide Shah 'Abbas II. Scrisse un Viaggio a Qandahar (Qandahar-name) in 130 mila versi, numerosissimi ghazal, alcune qasida. E' il più celebre e migliore esponente dello "stile indiano", caratterizzato dalla rottura dell'armonia formale classica. Così come Mirza Bedil, indiano di Patna, fu a tutti gli effetti un poeta persiano, anello di congiunzione tra XVII e XVIII secolo delle aree culturali India-Afghanistan-Persia-Turchia.

Kurdistan

All'area culturale kurda rimandano, oltre alla serie di poemetti di carattere popolare e anonimo, alcuni autori.
Così Malaye Jaziri nato a Jazira nel 1570 (morì nel 1640). Ja zira era allora capitale del principato di Botan, e importante centro di cultura. Jaziri fu soprattutto un poeta mistico, ma ha dedicato anche versi appassionati alla bellissima Selma, figlia o sorella del principe di Jazira. In alcune liriche si riferisce al Kurdistan con passione patriottica. Scrive in una sua lirica, esprimendo in maniera elegante il suo dolore:
«Sono un fiore in Botan, giardino dell'Eden. | Sono un gioiello splendente nella notte del Kurdistan. | Sono re nel reame della parola. | Canto l'amore di tutti. | A tutti offro il mio augurio. | Ma io sono infelice, il dolore mi tormenta».
Alla prima metà del XVII secolo rimanda Ali Tarmuki. Nato a Tarhmuk [regione di Hakkari] nel 1590 (morì nel 1653). Nella sua poesia toccò vari argomenti, dall'amore alla caducità delle cose, alla passione patriottica. Si distinse per l'acuta consapevolezza dell'indipendenza della lingua kurda e della letteratura, che ritiene immortale più della gloria delle armi. Scrisse la prima grammatica kurda. Leggiamo in una delle sue liriche:
«Lunghe sono le strade dei secoli | senza fine è la vita dei popoli. | Segni miracolosi della tua lingua splendente, | o popolo mio, ho scoperto | nel contemplare l'azzurro | delle tue acque e del tuo cielo puro. | Tante e tante tempeste, tante grida, | tante parole all'orecchio nostro sconosciute. | Lunga è stata la notte e cupo l'orizzonte | ma quanto è meraviglioso ora il risveglio. | Soffiamo nel flauto: dalla sua melodia | scendono perle più belle di quelle | dormienti nella notte dei mari. | Sulle lande di questa terra | parola kurda, tu sola non sei effimera».
Sempre alla prima metà del XVII secolo dovrebbe risalire un poemetto epico anonimo, di carattere popolare, intitolato La fortezza di Dimdim, che si riferisce all'assedio avvenuto nel 1608-1610 della fortezza kurda di Dimdim a opera dei persiani Safavidi. Vi si canta la disperata resistenza degli eroici assediati guidati da Amir Khan che «combatterono con le spade | e le loro spade mai videro i foderi. | Dapertutto giacevano montagne di morti | il canale era pieno di sangue | le impugnature delle spa de si ruppero | lamenti e dolore a Dimdim [...]».
Nella seconda metà del XVII secolo è uno dei più importanti poeti della produzione kurda prima del XX secolo. Ahmadi Khani nacque nella regione di Hakkari nel 1651 (morì nel 1707). Studiò a lungo a Bayazid e, per arricchire le sue conoscenze, viaggiò in Kurdistan, Siria, Egitto, forse anche in Persia. Probabilmente insegnò a Jazira. Khani fu scrittore, poeta, mistico sufi e guida spirituale. Scrisse di geografia, astronomia, teologia. Le sue opere più interessanti furono un vocabolario arabo-kurdo in circa 1000 parole scritto in versi, e un'opera poetica sulla religione. Il suo capolavoro è il poema epico-cavalleresco Mam e Zin. In circa 3000 distici, racconta l'amore contrastato del giovane Mam e della principessa Zin, a Jazira. Opera ricchissima, che ha le sue radici nel folklore, "Mam e Zin" fu poi letto in senso nazionalistico dal movimento kurdo del XX secolo. In effetti in Khani è forte la coscienza del carattere di nazione delle popolazioni kurde:
«E' possibile che nella miniera del vento [=il cielo] | si accenda una stella per noi? || Farà amicizia con noi la Fortuna? | per una volta si desterà dal sonno || così che un rifugio del mondo [=un re] possa emergere tra noi [...]? || [...] Se avessimo in grande re, | se Dio gli fornisse una corona || [...] egli provvederebbe a noi, orfani, | ci strapperebbe da mani vili. || Questi Rum non ci sconfiggerebbero, | non diverremmo rovine nelle mani dei Gufi, || non saremmo votati alla distruzione, senza patria, | vinti dai Turchi e Tagiki e da loro soggiogati. || Ma dall'eternità Dio ha disposto così , | ha alzato su di noi questi Turchi e questi Ajams. || Se dipendere da loro è una vergogna, | per questa vergogna la colpa è della gente famosa, || la vergo gna è dei governanti e dei prì ncipi: | che colpa hanno i poeti e la povera gente?».
Il Kurdistan è visto da Khani circondato e soggiogato da popoli stranieri: i Rum, cioè i popoli provenienti dall'occidente (romani, greci, turchi), i Tagiki, e gli Ajams (i persiani):
«Entrambe le parti hanno fatto delle popolazioni dei kurdi | il bersaglio delle frecce del Fato, || come se esse fossero chaivi alle frontiere, | ogni tribù una diga. || Il mare dei Turchi e il mare di Tagiki, | ogni qual volta si alza e si muove, || i kurdi sono affogati nel sangue, | perché essi li separano come un istmo».
Khani, scrittore dotto, sceglie di usare il kurdo come lingua per "Mam e Zin", al posto della lingua letteraria di allora (il persiano o il turco) o di quella della religione (l'arabo). Con auto-ironia, fingendosi un rozzo montanaro che parla una lingua aspra e meno duttile, da fabbro e non da orefice, spiega la propria scelta e rivendica l'autenticità della sua creazione e dello stile letterario:
«Se questo frutto non è succoso, | è kurdo, ed è quel che conta. || Se questo figlio non è aggraziato, | è il primo frutto, e lo amo grandemente. || Anche se non è dolce questo frutto, | e questo figlio a me è molto caro. || La veste e gli ornamenti, il senso e le parole, | non sono affatto presi a prestito, || tutto l'insieme è il frutto della mente, | è vergine come fanciulla e fresca sposa. || Spero che la comunità dei dotti | non mi biasimerà per i miei errori, || e non mi calunnierà per gelosia | ma vorrà correggere le mie mancanze. || Io sono un fabbro, non un orefice, | mi sono fatto da solo, nessuno mi ha educato. || Sono un kurdo, un montanaro, un valligiano | e in kurdo dico le mie parole».

Cina

Nel 1644 si afferma in Cina la dinastia manchu dei Ch'ing, che durerà fino al 1911 anno della proclamazione della repubblica. In un quadro di cristallizzazione culturale, operano alcune personalità di letterati che, pur senza uscire dal contesto confuciano, esprimono una opposizione al dispotismo e alle sue ideologie tardo-confuciane. Nel frattempo matura una concezione più avanzata della ricerca storica e letteraria. La filologia diventa terreno di scienza e occasione di pensiero critico. Al teorico politico Huang Tsung-hsi (1610\1695), seguono il grande filologo Ku Yen-wu , il filosofo materialista Wang Fu- chih (1619\1692), e, nel secolo successivo, Tai Chen (1724\1777) anticipatore della critica testuale.
Ku Yen-wu (1613\1682) fece parte della scuola Han hsüeh , che si opponeva alla interpretazione in chiave filosofica dei classici sostenuta dagli aderenti alla scuola Sung hsüeh . Ku Yen-wu fu assertore del metodo della critica scientifica, basata esclusiva mente sulla esegesi dei testi. Pubblicò opere dell'antichità dimenticate, e ottime edizioni critiche di classici. Fedele partigiano dei Ming, dopo la conquista della Cina da parte dei mancesi si ritirò dalla vita pubblica rifiutando cariche e onori. Si dedicò , in condizioni disagevoli, a studi di geografia, fonetica, archeologia e epigrafia. Scrisse anche poesie e prose d'arte. La sua opera più nota è la Raccolta quotidiana di note (Jih-chih lu), una specie di zibaldone, pubblicato nel 1695, ricco di noti zie e osservazioni di vario genere, annotate con grande cura.
L'unico poeta di rilievo è forse il manchu Na-lan Hsing-te (1655\1685).
I Racconti fantastici dello studio di Liao (Liao-chai chih-i) di P'u Sung- ling sono la più famosa raccolta di racconti in lingua parlata. P'u Sung-ling nacque a Tzechwan [Shantung] nel 1640 (morì nel 1715), scrisse opere di argomento morale perdute, e un romanzo in lingua parlata, la Storia di un amore coniugale per scuotere il mondo. Ma decisamente la sua cosa migliore sono i "Racconti fantastici dello studio di Liao". Pubblicati a stampa solo nel 1766, è una vera enciclopedia della novellistica cinese: si va dai racconti fantastici aventi per protagonisti mostri e demoni, alla satira sociale con i ritratti di burocrati, monaci, ricchi; dagli argomenti licenziosi a quelli moraleggianti. Intrecci e stile limpido ne fanno uno dei più grandi novellieri ci nesi di ogni tempo.

In campo teatrale si ricordano due autori di primo piano come K'ung Shan- jen , e Hung Sheng .
K'ung Shan-jen nacque a Ch'üfu [Shantung] nel 1648 (morì nel 1718). Discendente di K'ung di cui porta il nome di famiglia, se guì lo stile k'un ch'ü. La sua fama è legata a Il ventaglio dei fiori di pesco (T'ao-hua shan), dramma storico realista che inscena avvenimenti di poco precedenti la nascita dell'autore, cioè la conquista di Nanchino da parte degli invasori mancesi. La sua opera dà il quadro fedele di un periodo di crisi della società cinese. La storia d'amore dei due protagonisti, il letterato Hou Fang-yüe la cantante Li Hsiang-chün, si intreccia e si confonde con gli avvenimenti politici dell'epoca, dando alle figure dei personaggi un valore emblematico. "Il ventaglio dei fiori di pesco" fu rappresentato per la prima volta nel 1700 e, a causa del patriottismo antimancese che lo pervade, destò scalpore negli ambienti della capitale: K'ung Shan-jen fu rimosso dall'ufficio che occupava a corte.

Hung Sheng nacque a Jen-ho [Hangchou] nel 1646 (morì presso Hangchou nel 1704), è l'autore del più famoso dramma del teatro cinese in stile k'un ch'ü: Il palazzo della lunga vita (Ch'ang-sheng tien) racconta l'infelice amore dell'imperatore della dinastia Ming, Hsüan Tsung (712-755), per la bella favorita Yang Kuei-fei, e il loro ricongiungimento in cielo dopo la morte. Hung Sheng fu perseguitato dall'imperatore K'ang Hsi, che giudicò il contenuto dell'opera fortemente nazionalista, deliberato attacco al suo regime. "Il palazzo della lunga vita" è considerato uno dei capolavori della produzione cinese, ed ebbe una immediata popolarità.

Giappone

In Giappone, antologie successive al Ma'yoshu (VIII secolo), come la Raccolta di poesie giapponesi antiche e moderne (Kokinshu, o Kokin-waka-shu, 905) e la Nuova Raccolta di poesie giapponesi antiche e moderne (Shin Kokin- waka-shu, 1201-1206) testimoniano una progressiva sclerotizzazione.
Si deve all'ingegno poetico di Basho, creatore della scuola poetica degli haikaihaikai (i componimenti di 17 sillabe), un nuovo slancio poetico e una nuova purezza espressiva, attraverso la disciplina di una maggiore brevità formale.

Basho era lo pseudonimo usato da Matsuo Munefusa (1644\1694). Egli visse libero e volutamente povero. Morì durante uno dei suoi frequenti viaggi attraverso tutto il Giappone. Scrisse una Relazione di viaggio sotto la pioggia e il vento (Nozarashi Kiko, 1685-6), i Frammenti dello zaino (Oi no Kobumi, 1687- 8), e Lo stretto sentiero per Oku (Okuno Hosomichi, 1694): si tratta di stupendi diari di viaggio (haibun), che contengono alcune delle sue poesie migliori e pagine di estetica e critica. Suoi versi si trovano anche nelle postume Sette raccolte di haikai (Haikai Shichibu-shu, 1732) insieme a opere dei suoi numerosi discepoli, che costituirono una vera scuola poetica, chiamata Shomon . In strutture formali concise e apparentemente semplici, Basho, che era un seguace dello zen, contemplò e descrisse aspetti della natura, intesi come momenti di illuminazione e penetrazione spirituale, senza mai scadere però nell'ermetismo mistico. Insofferente al manierismo elegante dei suoi maestri di haiku, Basho elaborò una poetica caratterizzata da un raro dinamismo, liberata da regole che contraddicessero o ostacolassero la serena fusione di esistenza e di poesia. Con Basho l'haiku diventa espressione della lirica, liberandosi dalla tendenza comica cui lo si destinava in precedenza. Sulla sua traccia si posero i grandi scrittori di haiku, immediatamente successivi come Kikaku Takarai Eno moto (1661\1701) e dei secoli successivi (nel XVIII secolo: Buson Yosa, Issa Kobayashi ; nel XIX secolo Shiki Masaoka , nel XX secolo Kyoshi Takahama ecc.).
Anche in campo teatrale si ha un mutamento; accanto al teatro no , fa la sua comparsa il teatro kabuki, e il joruri, il teatro delle marionette, che si affermano come teatro popolare, dal gusto semplice e immediato (grazie soprattutto a Chikamatsu Monzaemon 1653\1724). Il favore goduto dal teatro kabuki e joruri è conseguenza del sorgere della nuova classe sociale dei chonin, dei mercanti; da loro viene, in letteratura e in arte, la spinta a nuove ricerche e a nuovi indirizzi.
Secondo la tradizione il kabuki fu creato dalla danzatrice O Kuni, del tempio di Izumo a Kyoto, nel XVII secolo. A differenza del no, considerato un'arte per la nobiltà, il kabuki-odori ("danze eccentriche") acquistò fin dall'inizio il carattere di divertimento popolare. I soggetti sono di solito vicende o gesta compiute da personaggi storici o da eroi leggendari, oppure epi sodi sensazionali di ambiente cittadino. Gli attori, vistosamente truccati, assumono anche le parti femminili, recitano in modo volutamente artificioso, spesso con accompagnamento di canti e strumenti musicali. Nella rappresentazione, in genere divisa in cinque atti, si inseriscono a volte scene di sola danza mimica. A esclusione di un periodo di offuscamento, tra la fine del XVII secolo e la prima metà del XVIII secolo, dovuto al fiorire del teatro di marionette joruri, il kabuki ha sempre goduto di grande favore presso il pubblico giapponese. Relativamente al XVII secolo, i maggiori autori furono Sakata Tojuro (1645\1709), Ichikawa Danjuro (1660\1704), Yoshizawa Ayame (1673\1729).
Si affermano, grazie soprattutto alla fresca vena di Ihara Saikaku , gli ukiyo-zoshi, brevi racconti popolari illustrati, spesso licenziosi e volgari, che spostano la tematica dalle ormai statiche vicende aristocratiche al vivace mondo dei mercanti e del popolo.
Ihara Saikaku fu lo pseudonimo di Hirayama Togo. Egli nacque a Osaka nel 1641 (morì nel 1693). Esordì come autore di haiku: in questo genere fu tra i maestri. Scrisse poi La vita di un libertino (1682), ambientato nei quartieri di piaceri. L'enorme successo dell'opera diede inizio al romanzo realistico di costume, l'ukiyo-zoshi. Seguirono altre opere: La vita di una puttana (1686) patetica confessione di una vecchia ex prostituta, Cinque donne amorose (1686), Il grande specchio della pederastia (1687), Il magazzino eterno del Giappone (1688) è una raccolta di trenta storie di nuovi ricchi, La revisione dei conti (1692). Ihara crebbe nell'ambiente dei commercianti di Osaka, e fu il primo romanziere giapponese di estrazione popolare. Dotato di acuto spi rito di osservazione e di una ricca esperienza di vita e di viaggi, trasse i soggetti dei suoi romanzi dal mondo dei militari e soprattutto dalla società borghese, di cui fu interprete crudo e realistico. Ihara ebbe una grande fortuna, anche grazie allo sti le, conciso e pittoresco, che sfrutta efficacemente tutti i mezzi espressivi del linguaggio comune.

Al monaco buddhista zen Tsunetomo Yamamoto (1659\1719) risale la trasmissione dell'Hagakure"Hagakure" cioè "All'ombra delle foglie". Tsunetomo non ne fu l'autore diretto, ma colui che trasmise a un discepolo (Tsuramoto) la sua esperienza umana e spirituale. Il testo fu la bibbia dei samurai, e come tale tenuto segreto. Un segreto rimasto tale fino al 1906. Nel testo giunto fino a noi, si tratta di 11 volumi, comprendenti 1343 brani-apologhi. Gelosamente custodito, l'insegnamento di "All'ombra delle foglie" fu soggetto alle interpretazioni e applicazioni storiche. Da un aforisma come quello che indica che "la via del samurai è la Morte", derivò l'uso del seppuku (l'espiazione/glorificazione tramite suicidio). Cuore del pensiero di Tsunetomo è il servizio fedele e totale al signore: attraverso questa via si collabora all'armonia e al benessere della comunità: "dedicarsi anima e corpo al servizio del signore è il dovere fondamentale del samurai". Abbando nandosi alla volontà suprema del suo signore, il samurai conquista la serenità interiore che gli fa vincere la paura della morte, sapendo che il suo vivere e il suo morire fanno parte di un progetto salvifico: "non ho imparato la Via per vincere gli altri ma per vincere se stesso". L'obbedienza al signore non è fine a sé stessa: "ci sono delle circostanze in cui è necessario disubbidire agli ordini del signore e contrariare le buone intenzioni degli altri". Il testo è un galateo per il samurai (si dice ad esempio come evitare lo sbadiglio in pubblico ecc.), codice di comportamento morale e etico (i quattro voti dei samurai), risposta esistenziale per il guerriero, e non solo, davanti alla morte: "poiché la morte è sempre vicina, non c'è altro da fare che vivere con diligenza e prepararsi alla sua venuta". Successivamente, nell'interpretazione che se ne diede di questo testo, prevalse una interpretazione fondamentalista e guerresca: si veda nel XX secolo il mito connesso al codice del samurai, al seppuku e ai kamikaze.

Cambogia e Siam

Al XVII secolo risalgono le prime opere sicuramente databili della letteratura cambogiana del popolo khmer. Tra i popoli del sud-est asiatico quello khmer è forse il popolo che ha avuto una più lunga tradizione letteraria attestata; iscrizioni khmer sono attestate dal VII al XIV secolo, mentre fino al XIII-XIV secolo è il dominio di questo popolo su tutta la regione.
Dal punto di vista letterario, nella tradizione khmer emergono lunghissimi romanzi, d'impianto narrativo di provenienza indiana ma con notazioni realistiche popolari locali. Il più celebre è Vorvong e Saurivong, pieno di mirabolanti avventure di principi e principesse. La letteratura popolare è ricca di racconti di animali, come il ciclo del Giudice Lepre (Saphea Tonsai).
Il XVII secolo è il secolo d'oro della letteratura thai siamese, culminata con il regno di Phra Naray (1657-1688). Risale a quest'epoca un grande poema, il Phra Lo (dal nome del re Lo: "phra" è prefisso onorifico): vi si narra la storia di un amore disgraziato tra due giovani appartenenti a famiglie nemiche.
Nascono in quest'epoca generi letterari nuovi, tra cui il nirat, parola di origine indiana che significa "separazione": una specie di poesia d'amore intrecciata a note di viaggio.
Si sviluppa anche il teatro, per lo più in forme ieratiche.

Mentre la produzione thai è estremamente aulica, quella lao è più popolare. I suoi testi sono di più difficile datazione. Tra le opere più antiche sono testi religiosi buddhisti, racconti profani come la versione lao, con molte varianti, dell'indiano "Pancatantra", racconti giudiziari e racconti comici. I racconti giudiziari, frequenti anche altrove e di origine buddhista, hanno uno schema fisso: casi difficili portati al tribunale del re; un sovrano straniero che propone enigmi e che il re deve risolvere pena il pagamento di un tributo. I racconti comici hanno per pro tagonista il bambino prodigio Jieng Mieng, oppure Ay Chet Hai (Fratello sette giare), una specie di Gargantua, e rappresentano a volte una forma popolare di denuncia della corruzione dei potenti.
Esiste inoltre una serie di lunghi romanzi fiabeschi, densi di avventure, in prosa e in versi, spesso recitate durante feste o riunioni: tra i romanzi più popolari sono Kalaket, Lin Tong, Surivong, Chambang, Usabarot, Sin Jai (i titoli corrispondono ai nomi dei protagonisti).



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