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Pietro Mennea ci lasciava 10 anni fa

Il 21 marzo del 2013 moriva Pietro Mennea, uno dei più forti velocisti di sempre, passato alla Storia con lo pseudonimo di la Freccia del Sud

di Piero Buscemi - mercoledì 22 marzo 2023 - 1914 letture

Vogliamo ricordare questo inarrivabile campione dell’atletica leggera, specialità velocità, detentore ancora oggi del record europeo dei 200 metri piani, che fu dal 1979 al 1996 anche record del mondo, con un fantastico 19"72, realizzato a Città del Messico in occasione delle Universiadi. Voglio ricordarlo con un racconto, tratto dal romanzo inedito "20 secondi e 19 centesimi", che dono volentieri ai lettori in anteprima.

Pietro Mennea, un sogno lungo 200 metri

Pietro dallo schermo televisivo sembrava guardasse la telecamera, quasi a volermi lanciare un messaggio che quel giorno avrebbe compiuto l’impresa. Le immagini erano alquanto torbide, ma non riuscivo a capire se la colpa fosse di quel tv ancora in fase sperimentale per il colore o, se piuttosto, un’eccessiva emozione che per un momento mi fecero credere di essere a bordo pista a riscaldarmi anch’io. Pippo e Carmelo continuavano a fare troppa confusione per concentrarsi. Per la precisione era Pippo, poiché u moggiu mugugnava sotto i colpi che sembravano non dovessero finire mai.

Lo avrei voluto fermare, ma da un lato non volevo perdermi neanche un momento della preparazione sempre meticolosa di Pietro prima di ogni partenza, dall’altro sapevo che Pippo aveva un conto in sospeso da qualche mese con Carmelo. La classica ruggine che non si ricordava mai nessuno, neanche i protagonisti, per quale motivo si fosse formata, ma che doveva determinare la supremazia all’interno di un quartiere. A volte rivendicata come una conquista sociale, ma tutto sommato limitata a quelle accozzaglie da cortile tra sbarbati adolescenti ai quali piaceva mostrarsi al resto del gruppo dei ragazzi, che frequentavano le stesse strade, come capi non si sa bene di cosa.

La movenza a memoria di Pietro mi attirava più di qualsiasi altra cosa. Quel rito ripetuto centinaia di volte che appariva come un necessario riscaldamento dei muscoli, ma che negli occhi potevi leggergli lo scarico di una tensione che si sarebbe bruciata in pochi secondi qualche minuto dopo. Era tutto pronto. I partecipanti evitavano di guardarsi anche se era fin troppo evidente che con la coda dell’occhio provavano a rubare gli ultimi segreti di una concentrazione che appariva come la chiave del successo finale e del risultato atteso da mesi. ​ Cominciai ad incrociare lo sguardo del campione, fissando quel rettangolo illuminato. Non mi sembrava di vedere molta gente sugli spalti, come se fosse una gara qualsiasi e non una finale. Ricordo una voce ovattata del telecronista che commentava l’evento col giusto distacco di un cronista che deve trattenere le emozioni e non far trasparire l’orgoglio nazionale, come se questo fosse realmente possibile.

Non so se i colpi di Pippo riuscirono per un momento a distrarmi dalla visuale del programma televisivo al quale stavo assistendo, ma ad un certo punto mi ritrovai con Pietro che viaggiava sulla curva iniziale predisponendosi per affrontare il rettilineo seguente. I miei occhi si concentrarono soltanto sulla sagoma del mio campione di sempre e lo seguirono fino alla linea dell’arrivo.

M’illusi per un momento che Pietro si voltasse dalla mia parte per scambiarci un segno di intesa. Accettai l’allucinazione che rilasciava lentamente l’adrenalina che sentivo salirmi dalle gambe. Intanto lo sguardo incredulo del campione si voltava tra la pista a cercare conferme. Forse neanche quando lo schermo dello stadio si illuminò indicando il tempo finale, credette realmente a quello che aveva appena compiuto.

Quelle lucine di un arancione sbiadito segnavano quattro cifre in sequenza che componevano quel 19”72 come se fosse un anno da ricordare. Record del mondo. Pietro aveva fatto il record del mondo dei 200 metri piani. Mentre il commentatore cominciava a tesserne le lodi, colorando la cronaca con quelle rivendicazioni del sud che si scrolla di dosso decenni di sudditanza culturale con l’impresa sportiva, cominciai a correre sul marciapiede come a volere ripercorrere la gara lasciando Pippo e Carmelo a spolverarsi i jeans, stanchi di inscenare la parte dei bulli.

Tornai a tutta velocità verso un traguardo immaginario. La mattina precedente Fabio mi aveva cronometrato un 11” netti sui 100 metri. Un ultimo sguardo verso il televisore ancora acceso. Mi voltai verso Pippo che mi veniva incontro comunicandomi che per un mese intero aveva conquistato il diritto di utilizzare la piazza, per lui e per i suoi amici nei quali rientravo anch’io, grazie al pestaggio di Carmelo. Prima devo scendere sotto gli 11 secondi. Risposi piegandomi sulle ginocchia, come a prepararmi ad un’altra gara.


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