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Paolo Volponi: Il poeta, lo scrittore, il politico, soprattutto l’amico

Nel 2024 Paolo Volponi avrebbe compiuto 100 anni. Il 6 febbraio si aprirà in Urbino, presso la Fondazione Carlo e Marise Bo, un convegno a lui dedicato e lo stesso giorno...

di Massimo Stefano Russo - sabato 3 febbraio 2024 - 968 letture

6 febbraio, S’Amando
(ricorretto S. Armando)
nella curva della notte per il cielo
e di un vento di gran fortezza,
ore tre e quarantacinque minuti
è nato Paolo di Arturo e Teresa,
sano e libero, naso schiacciato.
Per il suo grande pianto
furono donati
dieci grammi d’oro
e un corallo con tre corni.
La mattina gran passaggio di tordi marinacci
”.
Le catene d’oro

Nato il giorno sei
in anno di maltempo,
con il filo elettrico
spezzato per i campi
tra la neve
tra i vecchi tronchi
e le case affondate
nel loro quieto respiro;
… … …

Il giorno nove di Febbraio


Nel 2024 Paolo Volponi avrebbe compiuto 100 anni. Il 6 febbraio si apre in Urbino, presso la Fondazione Carlo e Marise Bo, un convegno a lui dedicato e lo stesso giorno verrà posta una targa nella casa in cui abitava. Nel Novecento culturale e politico italiano Volponi è una figura importante ed esemplare. Ho avuto la fortuna di conoscerlo e frequentarlo per un decennio: gli anni che vanno dal 1984 al 1994, anno in cui sofferente e costretto alla dialisi, prematuramente, a soli 70 anni, passò a miglior vita.

Mi aveva preso in simpatia, concedendoci assieme ad altri amici, con in testa Gualtiero, in comodato d’uso gratuito un casolare in campagna di sua proprietà “Schiavonia”, dove a lungo ho abitato in allegra compagnia. Uno spazio con una splendida vista dirimpetto a Urbino, fuori dalle mura, distante qualche chilometro dal centro storico di Urbino, su un poggio sovrastante “la fornace Volponi” dismessa negli anni Sessanta. Da decenni disabitato rischiava l’inesorabile decadenza: siamo riusciti in qualche modo a risistemarlo. Ci ho trascorso in gran parte la mia “migliore gioventù”.

Volponi l’avevo incrociato per caso in una libreria di Catania (da Cavallotto, in corso Sicilia) frequentavo il Ginnasio-Liceo Gorgia di Lentini, correva l’anno 1976, più o meno. Non lo conoscevo, ne sapevo forse il nome citatomi da qualcuno in quanto vincitore di un premio Strega, eppure in quella circostanza mi venne incontro. Il suo volto espressivo, solare e ancor più bonario emanava un’aria energica e visionaria. Una faccia espressiva, “giottesca” come l’avrebbe definita Pasolini che l’inquadrerà nella figura del giovane prete confessore di Anna Magnani in “Mamma Roma”; il Volponi, si palesò davanti a me dal retro di copertina di una prima edizione de La macchina mondiale, pubblicata da Garzanti nel 1965 e finita nel bancone dei remainders, tra tanti libri di pregevole fattura che non avevano trovato fortuna, l’acquisto riproposto a metà prezzo. Come potevo immaginare che anni dopo “sor Paolo” l’avrei conosciuto di persona e mi avrebbe concesso un’amicizia sincera, carica di umanità? A Paolo Volponi devo molto, alla sua disponibilità il mio lungo soggiorno urbinate, con l’avvio di un precario ruolo universitario nei decenni reso poi fortunosamente stabile. L’anno di svolta avvenne nel 1987: scomparsa la madre, la signora Teresa, “sor Paolo” mi chiese di “fargli il favore” di recarmi a dormire in via Matteotti; non voleva lasciare sguarnita la casa di famiglia, lui assente.

Una condizione per me ideale: a un passo dall’Università, accudito persino dalla signora Gina la governante della famiglia Volponi che al mattino, nel continuare a prendersi cura della casa, mi preparava persino la colazione.

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Paolo Volponi

“E mi raccomando non fare entrare, non portare in casa donne di male affare …” mi apostrofò consegnandomi le chiavi e ricordo di avergli risposto suscitando la sua ilarità: “… ma di buona famiglia sì”. Entrato in sintonia con lui potevo permettermi di scherzare ed essere anche impertinente, richiamandolo Volponov, alla russa. Per lui ero il “Barone di Lentini”, non so perché mi avesse affibbiato tale titolo! (Mi pare di ricordare che nei suoi giri romani tra antiquari e case d’asta aveva incontrato tal Gioacchino Gargallo - VII Marchese di Castel Lentini -, immaginava per il fatto che sono nato proprio a Lentini sapessi chi fosse, ma di questa figura a tutt’oggi io ignoro del tutto l’esistenza).

A Urbino Paolo Volponi recuperava il rapporto con le proprie radici, alla città ideale, alla terra urbinate e marchigiana si sentiva profondamente attaccato. Gli piaceva girovagare e chiacchierare con gli amici, ritrovarsi nei tavoli dell’osteria a giocare a carte, per far fronte alle sue “inquietudini da selvatico”.

Un primo pomeriggio con Sandrino, un caro amico dalla barba fluente e l’aspetto nordico, stavamo per entrare “da Cecconi” e sulla soglia fummo accolti da un: “Date da bere al Barone e al Vichingo” era il Volponov, tutto infervorato a rilanciare le carte in mano con i suoi compagni di briscola in cinque.

L’estate del 1994 fu l’ultima per Paolo Volponi sfibrato nel corpo e stremato dalla dialisi che silenziosamente sopportava recandosi all’Ospedale di Urbino, ma era un continuo stillicidio. Le occasioni per incontrarlo e vederlo si ridussero progressivamente. A luglio venne a trovarmi dalla Sicilia Luigi col figlio Luca, rimasero incantati dalla bellezza del luogo: li affascinò la prospettiva che si apriva da “Schiavonia”, una vera e propria cartolina su Urbino. Con Luigi, che aveva una lunga militanza sindacale e politica, già Parlamentare del Pci, riflettevamo sul ruolo degli intellettuali e dell’importanza di figure come Volponi per quello che rappresentavano per il movimento dei lavoratori e la forma partito. In altra situazione“sor Paolo” sarebbe stato contento, felice di dialogare con noi, ma le sue condizioni non lo consentivano. Una delle ultime immagini che ho di Volponi è legata al Festival dell’Unità - alla Fortezza Albornoz - dove, con voce assorta e muovendosi a fatica, il compagno Volponi chiese di intervenire per indicare puntuali e incisive riflessioni sul piano territoriale e le scelte urbanistiche del Comune di Urbino, in linea con la sua visione di comunità organica dove tradizione e modernizzazione costruiscono il progresso e lo sviluppo. La sua voce tra applausi, gesti di approvazione e consenso ancora una volta sarebbe rimasta inascoltata.

Nella produzione artistica di Volponi coesistono diversi codici narrativi che si rafforzano a vicenda. La scrittura si condensa per affermare, o meglio afferrare la forza della parola e dei pensieri, da catturare nel loro fluire naturale ed energico, da contenere e raccogliere nello spazio della memoria e della “storia infinita” tutta da raccontare, capaci ancora e pur sempre di narrare. L’inquietudine attraversa la mente e il corpo per farsi parola e grazie agli effetti imprevedibili generati dalla scrittura si affida a essa con creatività, alla ricerca di una sorta di speranza tranquillizzante. Il fraseggio diventa così movimento itinerante che nell’inseguire l’instabilità, prende la rincorsa per giungere a probabili certezze. Volponi scrive perché ha paura, perché è incerto, folgorato da immagini e visioni: scrive per uscire da se stesso e realizzarsi nell’andare alla ricerca di un mondo altro.

Paolo Volponi ha creduto nell’utopia olivettiana e si è speso per cercare di concretizzarla, amava il lavoro e sapeva parlare ai lavoratori, capace di intuire le trasformazioni in corso della società industriale; ha avuto accanto una compagna di vita, la signora Giovina che lo ha sostenuto e accompagnato amorevolmente, così come la figlia Caterina che negli anni ne ha mantenuto vivo il ricordo e ne custodisce sapientemente la memoria. La poesia, importante, specifica e unica, nell’evocare la realtà e la sua verità, appartiene da sempre a Volponi che da poeta esordiva nel 1948. In Volponi la natura travolge le immagini che si prodigano plasticamente. Volponi ha saputo cantare il dramma antropologico del nostro tempo. Lo scontro che vede fronteggiarsi il mondo naturale e la laboriosità umana, contrapposto al mondo del capitale e del lavoro alienato.

La poesia in Volponi ha una carica intima e profonda, con la ragione critica che scava e percuote nel voler dare senso ai suoni e allo stato psichico, col proposito di riflettere la dimensione sociale. Paolo Volponi è stato un amico generoso, contava in me con piena fiducia. Un giorno arrivò a dirmi: “Ho lasciato sul comodino dei fogli leggili e poi ne parliamo.” Era il manoscritto delle “Mosche del capitale” chiedeva a me una lettura critica, consigli, giudizi e suggerimenti per portare a termine un libro che considerava importante che gli costava tanta fatica perché racchiudeva tutta una vita. In molti negli anni a venire mi hanno detto di aver invidiato la mia amicizia con Volponi, da parte mia ho cercato negli anni di capirlo, accompagnandolo nella sua inquietudine e fatica di vivere, senza sentirmi o farlo sentire a disagio, con riguardo, disinteressato, senza approfittare della sua disponibilità.

E il Volponi politico? Un compagno di strada indipendente che sapeva stare e dialogare con i lavoratori che portava con passione nel cuore e nella mente. Urbino è stata avara con Volponi, ma l’avarizia appartiene al retaggio storico-antropologico degli urbinati che spesso la confondono con la sobrietà, al punto da tenere i caloriferi bassi nei locali aperti al pubblico.

La mente in Volponi sa andare oltre l’occhio che osserva il Cosmo e la Natura in un dialogo intenso tra il clima interiore e quello esteriore, in un pensiero che intaglia la lingua e si ingegna a scrivere tra passato, presente e futuro, nell’inseguire le idee. Della Natura insegue la sregolatezza e il caos, l’oscurità e la bruttezza, ma anche l’armonia e la bellezza concesse, così da accettare e riconquistare. Il cantore aspira alla purezza, alla luminosità, alla giustizia che attraversa il dolore, le sporcature, le imperfezioni con tutte le anomalie problematicità tra percorsi accidentati. Nella sua ricerca non vuole mai prendere la distanza dal mondo ma renderlo più familiare, anche quando tortuoso e carico di difformità, di volgarità e immoderatezze. Si vuol fare portavoce dei diversi e degli irregolari, i disagiati e i disallineati, vuol prestare attenzione ai perseguitati e agli emarginati.

Volponi non vuol passare per un indifferente, ma un differente, ben contento di esserlo. Nel cammino verso il progresso della civiltà vuol sottrarsi alla morsa del “pensiero unico capitalista”. Sfugge all’incasellamento disciplinare che condiziona appartenenza e forme di sapere. Refrattario sa affrontare la realtà da ricercatore capitato quasi per caso o da intruso, nello stare con un piede dentro e uno fuori. La creatività del pensare si traduce in parola e scrittura; lo trasporta la forza della propria individualità, una tipicità di sentire che genialmente sa operare con sensibilità per restituire i molteplici significati della realtà. Volponi nel partire da se stesso arriva ad abbracciare il tutto fuori di sé. Lancia una sfida, senza essere deterministico, per intendere e comprendere i legami fra il sussistere singolare e l’esistere del mondo. In un tributo dei sensi recupera l’arte verbale, resa nella scrittura poetica e musicale, nel voler rappresentare significativamente l’invisibile oltre il visibile.

Il dirigente industriale Paolo Volponi nell’aver conosciuto i manager, i burocrati, i magnati di mercato in tutto il loro cinismo, dominare dietro delle quinte l’economia capitalistica, ne rimase a tal punto schifato da sentire il bisogno di liberarsene tramite Le mosche del capitale.

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Paolo Volponi

Quando era in giornata sprizzava energica vitalità, di frizzante loquace curiosità. La scomparsa del figlio Roberto l’aveva incupito, ancora di più nel sostenere un dolore lacerante che pur affranto riusciva a contenere con accorta signorilità. Un mattino, contento di avermi casualmente incontrato, mi disse: “Accompagnami, vieni con me … tirò fuori dei fogli … andiamo … seguimi devo passare dal notaio … ho dei certificati, dei titoli che avevo donato a mio figlio e adesso mi tocca riprenderli ... ritornarne in possesso”. Il disagio in Volponi era palpabile, percepibile in tutta la sua inquietudine e lo si notava nello smarrimento che provava e trasmetteva quando arrivava in piazza e si guardava attorno a ricercare un volto amico per tranquillizzarsi.

Quando ci si incontrava mi invitava a bere un caffè e seduti all’aperto ai tavolini del bar, il più delle volte nel rimanere assorto e pensieroso, facevo fatica ad accettare e ascoltare i suoi lunghi silenzi estranianti. Conosciuto da tutti Volponi rifiutava i cerimoniali e gli ossequi: “Ma cosa fai, mi dai lei? Chiamami Paolo…! Ebbe da dirmi in uno dei primi incontri.” Negli anni spesso a lezione ho citato e parlato di Paolo Volponi tra lo stupore degli studenti, ma soprattutto mio. Ignorandone la figura c’è chi senza timore alcuno senza remore lo indica come “fondatore della sede ad Urbino”, o “studioso scientifico”.

Mi chiedo: cosa direbbe e come commenterebbe “sor Paolo” tanta confusa dissonanza?

Ps.

La stampa annuncia:

“Il Comune di Urbino acquista la Fornace Volponi. La notizia è stata data ieri, durante la presentazione per l’avvio delle celebrazioni dedicate a Paolo Volponi, a 100 anni dalla nascita. Nel pomeriggio la Giunta ha approvato la transazione: la richiesta di Banca d’Italia (attuale proprietaria) è di 200mila euro: lo scorso mese di novembre venne proposta in vendita a 2 milioni e 400mila euro" [1]


Consigli di lettura e visione:

- A. Sarchi, La felicità delle immagini, il peso delle parole. Cinque esercizi di lettura di Moravia, Volponi, Pasolini, Calvino, Celati, Bompiani, Milano 2012.

- P. Volponi, Romanzi e prose, vol. I, II, III, Einaudi, Torino 2023.

- P. Volponi, Poesie, a cura di E. Zinato, Einaudi, Torino 2024.

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[1] “il Resto del Carlino,” 31 gennaio 2024.


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