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Immigrazione. Il "fagotto" afghano e l’accusa di Medici senza frontiere

Il "fagotto" era un ragazzo di 14 anni. I dati di Msf sui lavoratori stranieri nelle terre del Sud Italia

di Adriano Todaro - martedì 5 febbraio 2008 - 3325 letture

Sembrava un grosso straccio impigliato nell’asse di trasmissione di un Tir. Invece era il corpo, orribilmente straziato, di un giovanissimo extracomunitario”.

Cominciava così il lancio di una notizia Ansa di qualche tempo fa. La notizia proveniva da Forlì, ma non è questo il punto. Quante volte abbiamo letto di povere vite uccise nel tentativo di raggiungere il nostro Paese. Giovani, meno giovani, donne, tutti in fuga dai loro Paesi straziati dalla fame, dalle malattie, dalle guerre nel tentativo di raggiungere posti dove poter ricominciare a vivere, senza la paura dell’oppressore, senza la paura della fame, senza la paura di non potersi curare. Non sempre, però, questo disegno, questa speranza riesce. Spesso si muore oppure si è arrestati, portati nei centri di permanenza temporanei, espulsi.

Il mito italiano si infrange davanti alla dura realtà. La notizia Ansa non ci fa sapere il nome del “giovanissimo extracomunitario”, ma sappiamo che aveva solo 14 anni ed era afghano. E’ l’età dell’adolescenza, un’età dove ci si dovrebbe aprire alla vita, alla conoscenza, l’età dove si deve studiare, giocare, innamorarsi della vicina di banco, ma no e poi no, morire.

Eppure è avvenuto. Il cadavere è stato trovato, legato sotto il telaio del Tir. Solo due instabili corde assicuravano il corpo del ragazzo al telaio, con la nuca “a pochi centimetri dall’asse di trasmissione diretto alle ruote posteriori e il viso a non più di trenta centimetri dal fondo stradale”. Un passante ha notato lo strano “fagotto” e ha inseguito, con la sua auto, il camion. Forse, dice l’Ansa, un colpo al “capo inferto dall’asse di trasmissione; oppure una caduta dall’instabile rifugio o ancora un’intossicazione, con perdita di conoscenza, provocata dai gas del vicino tubo di scarico del motore”.

Il camion era stato controllato sia alla partenza dalla Grecia e sia al porto di arrivo di Ancona. Tutti controllano e tutti non vedono. Un po’ come quello che succede nelle campagne del Sud Italia dove vivono e lavorano migliaia di cittadini stranieri, ma nessuno vede nulla. Invisibili fra gli invisibili, gli stranieri continuano a lavorare, ad essere sfruttati, ad ammalarsi. Talmente invisibili che Medici senza frontiere (Msf) nel presentare un’indagine sulle condizioni di vita, lavoro e salute dei lavoratori stagionali stranieri, ha fatto precise accuse. “Pur di lavorare – afferma Msf – queste persone accettano paghe da fame e sono costrette a condizioni di povertà ed esclusione estreme. Nel complesso fenomeno dell’immigrazione in Italia, la condizione degli stagionali resta dunque un nervo scoperto ipocritamente nascosto. I sindaci, le forze di Stato, gli ispettorati del lavoro, le associazioni di categoria e di tutela, i ministeri: tutti sanno e tutti tacciano. L’utilizzo di forza lavoro a basso costo, il reclutamento in nero, la negazione di condizioni di vita decenti, il mancato accesso alle cure mediche, sono aspetti ben noti e tollerati”.

Qua risaltano due aspetti ben precisi. Il primo aspetto riguarda le paghe “da fame”. Per una giornata di lavoro, nelle campagne, che va dalle 8 alle 10 ore, gli stranieri guadagnano dalle 25 ai 40 euro. Da 3 a 5 euro debbono però darli ai “caporali” che, bontà loro, li fanno lavorare. In alcune zone del Sud, le paghe sono ancora più base e chi tenta di ribellarsi a questo sfruttamento ci sono sempre le aggressioni fisiche e il licenziamento. Facile in questa situazione che la criminalità organizzata s’inserisca nel business. Msf ha monitorato 643 immigrati. I risultati di questa indagine sono terribili. Il 65% di loro vive in strutture abbandonate e il 10% in case in affitto. Un altro 10% in tende e il 5% all’aperto, sulle panchine, nelle strade, coperti da cartoni.

Ancora: il 62% non ha servizi igienici e il 64% non ha l’acqua, il 69% non ha elettricità e si arrangia con le candele. Di riscaldamenti neanche a parlarne e le stanze sono talmente sovraffollate che il 21% deve condividere il materasso con una o più persone e oltre la metà (il 53%) dorme per terra. Poi c’è ancora qualcuno che si lamenta che gli stranieri sono sporchi, puzzano e fanno i bisogni per strada.

L’altro aspetto che Msf denuncia è la questione sanitaria. La vulgata popolare dice che gli stranieri hanno portato le malattie nel nostro Paese. La realtà è ben diversa. Il 76% di loro è arrivato in Italia in buone condizioni di salute. Ma nelle condizioni di vita che fanno, fra lavoro e abitazioni precarie, è facilissimo ammalarsi. E così le patologie interessano ossa e muscoli, l’apparato respiratorio, quello gastrointestinale, il cavo orale. Nel 10% dei casi, si sospetta una malattia infettiva.

Si curano? No di certo, perché c’è la paura del rimpatrio in quanto, in maggiorana (72%), non hanno un regolare permesso di soggiorno e mancano di informazioni che dovrebbero essere a cura delle istituzioni perché – come afferma Msf – il Servizio Sanitario Nazionale deve ottemperare “alla legislazione vigente garantendo adeguate informazioni agli stranieri presenti sul territorio italiano in merito al loro diritto alla salute e che fornisce adeguate risposte sanitarie nelle aree interessate dalla presenza di lavoratori stagionali mediante l’istituzione di ambulatori dedicati e di servizi di mediazione culturale”.

Dubito che facciano queste cose. Le istituzioni sono più attente al loro orticello elettorale e dividersi le presidenze delle Asl. Eppure tutto quanto sta avvenendo fra gli immigrati è già avvenuto e l’abbiamo vissuto sulla nostra pelle. Tutto già scritto se si avesse l’umiltà di percorrere la nostra storia e di studiarla. Gli stessi slogan, le stesse invettive, le stesse norme restrittive, sono state usate nei confronti dei nostri nonni in giro per il pianeta a cercar fortuna. Anche noi vivevamo in tanti in una stanza, ci ammalavamo, ci isolavano, i nostri figli non potevano andare nelle loro scuole e, spesso, fuori dei negozi c’era scritto “Né animali, né stranieri”. Oggi sono i rumeni che rubano, violentano, insozzano le nostre città. Dieci-quindici anni fa erano gli albanesi, prima ancora i maghrebini. E, ancor prima, gli italiani tanto odiati che il sindaco di New Orleans, negli anni Trenta, affermava che gli italiani erano “gli individui più pigri, più depravati e indegni che esistono”.

C’è un ultimo aspetto nel rapporto di Medici Senza Frontiere, l’esclusione estrema degli stranieri. E’ un problema, questo, terribilmente importante, ma troppo dimenticato. L’esclusione non porta all’integrazione con tutto ciò che di negativo comporta. C’è un bellissimo libro di Maria Pace Ottieri di qualche anno fa che in poche righe fa capire il dramma della solitudine e dell’esclusione. Una nigeriana racconta le sue peripezie in Italia. Poi trova da lavorare come infermiera diplomata in un ospedale. Eppure, afferma, non sono amica con nessuno. La sera, a casa, è sola con la figlia Rachele: “La mia vita qui è fatta di niente, sto sempre sola, vedo la televisione… La sera aspetto il telegiornale e non dimentico mai di guardare le previsioni del tempo; il freddo mi fa ancora molto paura”.

Già, la paura. Paura del freddo, paura del domani, di essere soli. Paura di non aver trovato un mondo migliore, più giusto e tollerante. Una paura che non avrà più il “fagotto” afghano di 14 anni trascinato, per chilometri, da un Tir. Lui, in Italia, non ha trovato la paura. Solo la morte.


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