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Il bel paese: che immagine sbiadita!

La strisciante crisi che ci investe dalla fine degli anni sessanta ha di fatto distrutto la nomea di “bel paese” che l’Italia aveva conquistato nel corso dei secoli.

di Emanuele G. - martedì 23 luglio 2013 - 4049 letture

Se uno volesse riprendere il celeberrimo viaggio in Italia di Mario Soldati riceverebbe subito un’impressione estremamente negativa del nostro paese. L’impressione di un paese sbiadito che ha perso nel corso degli anni quelle peculiarità in grado di renderlo un’entità unica in tutto il mondo. Infatti, all’estero l’Italia era identificata in base a precise e definite caratteristiche. Già la definizione di “bel paese” indicava cosa era il nostro paese: un paese bello in quanto dotato di un patrimonio artistico invidiabile e di un modo di vivere la vita del tutto particolare. Dov’è finito quel bel paese divenuto meta nel settecento e ottocento del “Grand Tour”? Evidentemente ha subito gli effetti di una drammatica e generalizzata involuzione. Un paese oggi – è bene ammetterlo senza tema di smentite – stremato, in debito di ossigeno e privo di punti di riferimento.

Lo scenario dell’Italia di oggi è pervaso da una sensazione di un qualcosa che è andato decomponendosi via via che il tempo passava. Un fiume carsico ha corroso da qualche decennio a questa parte il nostro paese. Un fiume carsico che a mio parere ha iniziato la sua opera distruttrice negli anni del c.d. “boom economico”. Era un’Italia divenuta simbolo di riscossa nel mondo. Di riscossa da una guerra che l’aveva vista sconfitta in modo pesante. L’Italia a cavallo degli anni cinquanta e sessanta era un paese rigoglioso. La sua economia registrava performance che neanche la Cina odierna è riuscita ad eguagliare. Il c.d. “made in Italy” conquistava i mercati di tutto il mondo. La Lira guadagnava il titolo di migliore moneta nazionale. L’Italia, insomma, era un paese da tenere in massima considerazione.

Eppure proprio da lì comincia la sua silenziosa marcia quel fiume carsico ricordato poc’anzi. L’Italia ebbra di successo a livello internazionale inizia ad appalesare i sintomi di un male interiore capace di annientare quelle peculiari caratteristiche che avevano reso unico il nostro paese. L’Italia di quegli anni, invece, di riflettere su quanto gli stava capitando e adottare opportuni provvedimenti si incamminava con passo deciso sulla strada del non ritorno. Una strada del non ritorno che ci ha portati tutti quanti al disastro dei giorni d’oggi. Negli anni sessanta l’Italia doveva avere il coraggio di affrontare con decisione alcune sue criticità storiche in modo da diventare un paese realmente moderno. Si doveva fare tesoro del “boom economico”, ma si è preferito dilapidare quanto di eccelso costruito a cavallo degni anni cinquanta e sessanta. Il “boom economico” è diventato l’occasione per ingigantire oltre ogni limite di decenza i tre mali endemici del nostro paese: la corruzione, il clientelismo e il familismo. Questi tre mali sono stati gli strumenti mediante i quali il succitato fiume carsico ha svolto il suo lavoro in maniera del tutto egregia.

Gli effetti distruttivi di questo maledetto fiume carsico sono sotto gli occhi di tutti. In effetti non c’è bisogno alcuno di attivare sofisticate analisi sociologiche per capirlo. Si nota la distruzione avvenuta guardandosi attorno. Una distruzione entrata con prepotenza in ognuno di noi. Ad esempio, notando il declino lento e costante della qualità della vita di tutti i giorni. L’ambiente è stato oggetto di una violenza distruttrice che non ha pari nel mondo. Mentre tutti sanno che l’Italia era nota per il suo paesaggio sublime e per le sue bellezze straordinarie. Tutto è stato spazzato via da un inurbamento feroce e una cementificazione selvaggia. La qualità della vita era anche espressione di certe caratteristiche attività economiche. La massificazione economica le ha costrette a chiudere i battenti per sempre desertificando città e comunità. Come, inoltre, non pensare ad usi e tradizioni che definivano la storia di un dato territorio? L’imbarbarimento generalizzato ha trasformato queste incredibili risorse in squallidi momenti pittoreschi. Il risultato di cotanta distruzione è un paese sbiadito, indecifrabile, anonimo e afasico.

Il problema che ci dobbiamo porre – con massima urgenza – è come riprendere il bandolo di una storia che ci è stata scippata dalle mani dalla nostra insensatezza.

Breve annotazione di carattere storico-letterario:

I primi ad utilizzare la definizione di “bel paese” sono stati Dante e Petrarca. Per la precisione:

"del bel paese là dove ’l sì suona," (Dante Alighieri, Inferno, Canto XXXIII, verso 80)

"il bel paese/Ch’Appennin parte e ’l mar circonda e l’Alpe" (Petrarca, Canzoniere, CXLVI, versi 13-14)

Infine, nel 1876 l’abate Antonio Stoppani scrisse “Il Bel Paese” (titolo completo: “Il Bel Paese. Conversazioni sulle bellezze naturali la geologia e la geografia fisica d’Italia.”) che prende il nome dai versi del Petrarca e che ebbe un vasto successo popolare ai tempi della pubblicazione.


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