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Dal mondo “sublime” della musica a quello complesso della vita reale

Incontriamo il pianista Luca Passarella. "La musica non dovrebbe mai togliere qualcosa come la lucidità, la concentrazione dove necessaria, il rispetto verso l’altro".

di Silvia Zambrini - mercoledì 23 marzo 2022 - 4263 letture

Dal mondo “sublime” della musica a quello complesso della vita reale. Eclettismo culturale e personalità poliedriche dei giorni nostri

Spesso ancora si considera la vita di un musicista come qualcosa di unico, totalizzante, per certi versi esclusivo. Di fatto molti di questi professionisti allargano il proprio sapere a differenti percorsi di studio e di carriera. Ce ne parla Luca Passarella pianista, funzionario pubblico, protagonista attivo di queste vite particolari in cui, responsabilità concrete nel ricoprire ruoli importanti e ispirazione nel coltivare la propria arte, anziché ostacolarsi si sostengono l’un l’altra.

Ho sempre voluto fare più di una cosa. Sin da piccolo a Mantova (mia città natale) ero attratto dalla musica nonostante non ci fossero particolari precedenti in famiglia. Ho iniziato a frequentare il Conservatorio e intanto le scuole fino alla maturità scientifica. Per alcuni anni mi sono poi dedicato esclusivamente al pianoforte. Fare il musicista è entusiasmante ma non totalizzante: nonostante molti scrivano “art is work”, ritengo che essere sempre e solo un pianista porti a vivere un po’ “fuori dal mondo”. Mi sentivo attratto da ambienti più concreti, in cui lavorare in squadra, coordinare un insieme (così come dirigere un’orchestra) secondo però obiettivi più mirati alla collettività. Ho così deciso di iniziare una nuova professione per la quale occorreva una laurea in legge; del resto fare l’università era già tra i miei programmi. Non ho però lasciato il pianoforte.

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Luca Passarella al pianoforte

L’insegnamento per un musicista è spesso un’attività parallela a quella di strumentista o cantante.

Dopo essermi diplomato in Conservatorio ho insegnato alcuni anni nelle scuole medie a orientamento musicale ma per me era difficile attenermi a problematiche che, in una realtà complessa come attualmente è la scuola, esulavano dalla didattica vera e propria. In generale ritengo importante che chi insegna la musica sia un musicista, in grado di trasmettere emozioni che lui stesso conosce. Adoro un certo tipo di docenza come quello di educare all’ascolto di un brano classico: una cosa che ho coltivato nel tempo e che continuo a fare riunendo attorno a me gruppi di appassionati incuriositi da una conoscenza musicale più profonda.

Alcune professioni richiedono un approccio presumibilmente opposto a quello del “musicista tra le nuvole”, specie quando si tratta di strutture in cui attenzione ed efficienza sono indispensabili quali l’ospedale, il grande cantiere, l’ente di pubblica sicurezza.

La musica classica, in particolare Bach per quella perfezione della forma che lo contraddistingue, è super organizzazione, ragionamento, calcolo matematico, quindi l’analogia con impieghi in cui servono tali caratteristiche è molto forte. Ma lo stesso Bach (ecco che nulla è mai totalizzante) è soprattutto sentimento, fondamentale anche nelle professioni in cui, superficialmente, si crede sia necessaria solo l’organizzazione. Senso di piacevole astrazione durante le ore che ogni giorno dedico al pianoforte, e attenzione vigile mentre sono in servizio, si compensano e completano a vicenda.

Viene erroneamente da pensare che la musica susciti maggiore curiosità verso chi opera in ambiti disciplinari umanistici piuttosto che puramente scientifici o tecnici.

Quando insegnavo a scuola ho notato che i colleghi di materie letterarie, con le dovute eccezioni, non conoscevano affatto il mondo della la musica. Temo vi sia ancora un antico retaggio che mi sembra risalga al Medioevo, per cui chi suona sa muovere le mani, magari con abilità, ma senza conoscenze culturali profonde. I giovani, anche se non tutti, sono interessati a particolari generi e interpreti di richiamo sostenuti a livello mediatico per un tempo determinato. Per quanto riguarda la musica classica ancora si trascura il capitale storico, intellettuale, indipendentemente dal fatto che uno sappia suonare o meno uno strumento, anche da parte delle persone “colte”.

Studiare seriamente la musica, indipendentemente da ciò che si farà da grandi, è abbastanza una tradizione di certi paesi europei: tipico l’esempio dell’ingegnere tedesco che suona il pianoforte o altro strumento, conosce il solfeggio, l’armonia, la storia della musica.

Considero positivo questo modello perché è giusto che tale cultura faccia parte del bagaglio conoscitivo di ogni essere umano per formare una personalità completa. Se poi qualcuno decide di fare il musicista, avendo cominciato da giovanissimo, si trova già a buon punto.

In Italia invece si continua a trattare la musica classica come disciplina che richiede un approccio totale, finalizzato alla professione.

Nelle scuole primarie il tempo per acquisire una base musicale completa ci sarebbe ma spesso si ritengono la lettura delle note e l’interpretazione corretta di un brano classico troppo impegnativi per alunni abituati a contenuti più soft. Di fatto questi giovani, facilmente assuefatti all’ascolto di colonne sonore irruenti con continui cambiamenti e interruzioni, sembrano incapaci di concentrarsi interamente su di un brano (che si tratti della Classica o del Pop); ciò non toglie che poi siano essi stessi a provare soddisfazione nell’apprendere teoria e pratica musicali attraverso una didattica seria. A chi mi chiede consiglio per i figli suggerisco di procedere attraverso lo studio musicale classico di uno strumento: anche solo pochi anni sono utili per acquisire un livello che darà loro modo di capire, ascoltare criticamente, giudicare con competenza, godere di ciò che veramente merita, indipendentemente da generi musicali e gusti personali.

A condannare il bombardamento acustico in sempre più luoghi sono i musicisti stessi per il loro particolare rapporto con il suono, oltre a persone per professione attente alla tutela e benessere dei cittadini. ​ Questo tipo di ascolto è fonte disagio per chi è costretto a subirlo passivamente negli ambienti di lavoro, nei ristoranti, a casa per via dei vicini (specie di notte), e di pericolo in strada perché distrae dal contesto reale. La musica non dovrebbe mai togliere qualcosa come la lucidità, la concentrazione dove necessaria, il rispetto verso l’altro. Al contrario serve a coronare, arricchire, rendere ancora più interessante tutto il resto.


Questo articolo è stato pubblicato anche da Fana.one.


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