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Cefalonia, ingiustizia è fatta

E pensare che quegli stessi italiani che la magistratura bavarese definisce “traditori” e “disertori” sono gli stessi che cinque anni fa il presidente Carlo Azeglio Ciampi commemorò, dicendosi “orgoglioso della pagina da loro scritta, fra le più gloriose della nostra millenaria storia”

di Redazione - mercoledì 27 settembre 2006 - 3282 letture

Riprendiamo di seguito l’editoriale apparso su Aprileonline.info, con il preciso intento di diffondere anche tra i lettori di Girodivite gli elementi di riflessione che l’articolo contiene.


Incredibile – nonostante i continui avvisi dei servizi segreti tedeschi – è stato il successo della formazione di estrema destra Npd alle ultime elezioni regionali in Germania, che nel Land del Meclenburgo-Pomerania anteriore ha ottenuto il 7,2 per cento delle preferenze sulla base di un programma antisemita, razzista e xenofobo, fondato sulla superiorità della razza ariana, sul nazionalismo esasperato e sull’esperienza delle S.A. hitleriane. Un successo, per un partito che nel 2002 aveva ottenuto un misero 0,8 per cento, che è parte dell’emergere di un sempre più diffuso revisionismo storico, caratterizzato, tra l’altro, dal diffondersi di episodi non più isolati di squadrismo urbano e da un astensionismo sopra i livelli di guardia, che sempre precede, come all’inizio del ’900, spinte verso le ali estreme.

Ancora più incredibile, in questo senso, è stato leggere la sentenza emessa dalla Procura di Monaco di Baviera nei confronti dell’ex sottotenente Otmar Muhlhauser, reo confesso di aver preso parte attiva a quel che è tristemente passato alla storia come “l’eccidio di Cefalonia”. Imputato prosciolto e procedimento penale archiviato. Motivazioni: i militari italiani trucidati a freddo dai tedeschi sull’isola greca di Cefalonia, nel settembre del 1943, “non erano dei prigionieri di guerra ai quali spettasse un trattamento riguardoso”, bensì dei “traditori”, da mettere sullo stesso piano – e da trattare con gli stessi riguardi – di “eventuali truppe tedesche che avessero disertato”. Una disposizione, risalente a due settimane fa, che riscrive completamente la storia di una delle stragi più cruente operate dall’esercito nazista durante la seconda guerra mondiale.

La storia di quanto avvenne in quell’autunno di oltre sessant’anni fa è presto detta. L’8 settembre 1943, la Divisione Acqui che, forte di 525 ufficiali e 11.500 soldati, presidiava Cefalonia sotto il comando del generale Antonio Gandin, si trovò di fronte ad un’alternativa: arrendersi e cedere le armi ai tedeschi, con cui spartiva il controllo dell’isola, oppure affrontare la resistenza armata, sapendo di non poter contare su alcun aiuto esterno. Tra il 9 e l’11 settembre si svolsero estenuanti trattative tra Gandin e il tenente colonnello tedesco Barge, che intanto fece affluire sull’isola nuove truppe. L’11 settembre arrivò l’ultimatum tedesco, con l’intimazione a cedere le armi. Seguirono due giorni di scontri e un nuovo ultimatum nazista, cui gli italiani risposero con una sola parola: resistenza. La battaglia durò fino al 22 settembre, quando la Divisione Acqui, che contava ormai 1.250 caduti, decise di arrendersi. La tovaglia bianca, sulla quale i comandanti mangiavano tutte le sere, venne issata sul balcone della sede del comando tattico italiano, in segno di resa. La vendetta tedesca, tuttavia, proseguì, spietata e ingiustificata. L’ordine del Comando superiore tedesco era chiaro: “Non devono essere fatti prigionieri di nazionalità italiana”. Il 24 settembre, il generale Antonio Gandin venne fucilato alla schiena. Alla fine, saranno 5.000 i soldati massacrati; 3.000 superstiti furono catturati, ma i tre piroscafi che li avrebbero dovuti deportare nei campi di concentramento in Germania scomparvero in mare, affondati dalle mine. In tutto 9.640 caduti, e la Divisione Acqui annientata.

In tutti questi anni nessun governo italiano ha mai ritenuto opportuno costituirsi parte civile nel procedimento contro Muhlhauser. Dopo decenni di silenzio, al limite della connivenza, da parte delle autorità italiane – che impedirono ogni indagine e occultarono la documentazione su quei fatti di sangue, ufficialmente per non creare attriti all’interno della Nato in periodo di Guerra Fredda – l’unico grido, accorato, affinché venisse rotta la “congiura del silenzio” su Cefalonia venne dall’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini, nel 1980. Oggi, il cammino della Storia ha fatto un colossale passo indietro: è tempo perso la commemorazione dell’eccidio che si tiene ogni anno, il 21 settembre, alla presenza di autorià civili e militari; sono stati soldi sprecati quelli occorsi per erigere, a Verona, il monumento in ricordo della Divisione Acqui. E pensare che quegli stessi italiani che la magistratura bavarese definisce “traditori” e “disertori” sono gli stessi che cinque anni fa il presidente Carlo Azeglio Ciampi commemorò, dicendosi “orgoglioso della pagina da loro scritta, fra le più gloriose della nostra millenaria storia”, perché “la loro scelta consapevole fu il primo atto della Resistenza, di un’Italia libera dal fascismo”.


Questo articolo è stato pubblicato su: AprileOnLine.Info n.229 del 22/09/2006.


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Cefalonia, ingiustizia è fatta
19 ottobre 2006, di : Tiziana

Buongiorno. Sono la figlia di un Superstite della Divisione Acqui, purtroppo deceduto nel gennaio 2005. Vi ringrazio per l’interesse dedicato alle tragiche vicende di Cefalonia. La sentenza mi ha nauseato. Non solo i nostri soldati sono stati traditi ed abbandonati durante il conflitto, sono stati traditi e dimenticati i superstiti per oltre 6o anni, sono stati doppiamente traditi da questa sentenza infame. Questa è l’ennesima fucilata alla Divisione Acqui. Mi auguro solo che i pochi superstiti rimasti non ne abbiano notizia. Grazie per l’ospitalità. Tiziana