Ricordare Carlo Cafiero


Ricordare Carlo Cafiero significa ricordarci che, malgrado condizionamenti e fragilità biografiche, il senso della giustizia alberga in ogni essere umano


di Salvatore A. Bravo pubblicato il 2 luglio 2024

Carlo Cafiero [1] di origini borghesi non è mai stato parte di nessun movimento in toto, ha sempre mantenuto distanza critica rispetto ad ogni appartenenza, si sentiva legato piuttosto all’umanità. Egli ha posto la sua cultura, il suo impegno al servizio degli esseri umani. Lo scientismo asservito all’economicismo vorrebbe ridurre l’essere umano ad un ente socialmente condizionato. Il pessimismo antropologico è funzionale alla conservazione.

Cafiero con la sua tragica storia dimostra che l’essere umano può pensare le condizioni sociali date e valutarle a livello onto-assiologico. Egli è la testimonianza viva, dunque, che l’essere umano non è l’effetto del modo di produzione, ma vi è un’eccedenza, una resistenza al potere ed ai condizionamenti che permette la libertà critica e la prassi. Quest’ultima fu vissuta nella sua totalità, ovvero come azione politica a cui coniugò la produzione culturale.

I Cafiero erano una delle famiglie più rilevanti di Barletta e di Puglia, egli già avviato alla carriera diplomatica abbandonò le certezze e le agiatezze per impegnarsi politicamente a favore degli ultimi, di coloro che non hanno le parole per testimoniare e denunciare la violenza dello sfruttamento. La sua vita è stata tragica, terminò i suoi giorni in manicomio, ciò malgrado la sua breve parabola vitale dimostra che la natura umana è capace di vivere l’universale fino alle estreme conseguenze. In una realtà che è ormai un immenso mercato, in cui le istituzioni formano il consumatore e non la persona, Cafiero è un esempio vivo che vi sono possibilità imprevedibili nell’essere umano. Il capitalismo teme l’imprevedibile e gli eroi, per questo coltiva il controllo e il vittimismo. Genera personalità deboli e destrutturate per eternizzarsi. In questo tempo in cui gli eroi sono scomparsi, la storia tragica e vera di Cafiero denuncia che l’eroismo è sempre possibile.

Conobbe direttamente, forse Marx, sicuramente Engels con cui partecipò all’organizzazione dell’Internazionale, ma il potere, in qualsiasi forma era per Cafiero il male del mondo, per cui si schierò con gli anarchici avvicinandoci a Bakunin conosciuto nel 1872. Lo divise dall’Internazionale e da Engels il modello di organizzazione che secondo Cafiero non doveva essere accentrato ma libertario. Allo Stato proprietario ed erogatore dei servizi predilesse il federalismo comunitario: la libertà prima di tutto.

La propaganda del fatto

Nel 1877 a San Lupo nel Matese organizzò un moto anarchico che non ebbe successo, sperimentò la propaganda del fatto, ovvero non si incoraggia l’insurrezione con verbosi proclami, ma con azioni effettive: gli archivi comunali furono bruciati, in quanto in essi vi erano documenti e dati che permettevano l’ingiusta tassazione degli ultimi. In carcere lesse il Capitale di Marx, ne fece un compendio pubblicato da La Plebe, compendio che ha avuto una ventina di edizioni.

La figlia di Marx Laura Lafargue nel 1909 giudicò il lavoro di Cafiero un’ottima sintesi da diffondere tra le masse popolari. Il compendio non è pubblicato in Italia dal 1976, le ultime edizioni risalgono alla Nuova Sinistra Samonà e Savelli, benché abbia raggiunto nelle sue edizioni la tiratura notevole di centomila copie. Gli eroi e il loro pensiero sono oggetto di un evidente ostracismo.

L’esperienza del carcere minò la sua salute mentale, cominciò, così, il declino che lo porterà al manicomio. Anche nei giorni bui della follia le sue parole non sono sconnesse, ma palesano l’appartenenza al mondo e non alle cose:

”Un giorno di primavera del 1891 gli anarchici Amilcare Cipriani e Paolo Schicchi, in un momento di libera uscita dalle prigioni del Regno, salivano al manicomio di Nocera per visitare il loro compagno Cafiero. Trovarono il malato che se ne stava, com’era sua abitudine o mania, mezzo nudo al sole. Interrogato sulla ragione di questo comportamento, Cafiero additò il sole e disse ’Quello è mio padre’. La frase non va presa come una delle tante, sconnesse e strane, uscite da un cervello infermo ma ricollegata ad un mondo di simboli che popolano, non senza coerenza, la fantasia del malato. Cafiero si sentì sempre nella sua vita un figlio del mezzogiorno, di una terra la cui unica ricchezza era il cielo. Anche certi tratti della sua personalità e del suo pensiero, trascorrenti all’immaginazione e all’astrazione, richiamavano la sua origine meridionale” [2].

La vita difficile tra arresti, persecuzioni ed incomprensioni in famiglia sicuramente hanno contribuito alla follia di Cafiero, la quale resta un mistero; la nostra certezza è che non fu un facitore di parole, e che in pochi si rammentano di lui. Egli fu un anarco-comunista. Il comunismo senza libertà comunitaria, egli usava il termine collettivo per indicare l’organizzazione dal basso, non è tale. Il comunismo è vittoria dell’essere umano sull’autorità che lo umilia, mortifica e aliena.

L’uomo e il rivoluzionario Cafiero

L’introduzione al Compendio del Capitale ci descrive l’uomo Cafiero, ci fa comprendere le ragioni della la sua adesione al pensiero marxiano. Cafiero sente che l’altro non è a lui estraneo, ma è parte di lui, ne condivide la natura, per cui il privilegio in cui è nato, la sua cultura sono messe a disposizione dell’umanità. È un umanista come Marx, pone al centro del suo agire il dolore dell’altro, il quale è l’effetto di condizioni sociali non conformi alla natura umana libera, comunitaria e solidale. Non il Marx delle formule, ma il Marx che lotta contro l’ingiustizia vuole diffondere, vuole denunciare l’insopportabile. Le formule economiche sono importanti ma hanno la funzione di dimostrare l’ingiustizia:

”Questo primo libro del Capitale, scritto originalmente in tedesco e poscia tradotto in russo e in francese, è ora brevemente compendiato in italiano nell’interesse della causa del lavoro. Lo leggano i lavoratori e lo meditino attentamente perché in esso si contiene non solamente la storia dello Sviluppo della produzione capitalista, ma eziandio il Martirologio del lavoratore. E finalmente, farò anche appello a una classe altamente interessata nel fatto della accumulazione capitalista, alla classe cioè dei piccoli proprietari. Come va che questa classe, un giorno tanto numerosa in Italia, oggi si va sempre più restringendo? La ragione è molto semplice. Perché dal 1860 l’Italia si è messa a percorrere con più alacrità il cammino, che devono necessariamente percorrere tutte le nazioni moderne; il cammino che mena all’accumulazione capitalistica, la quale ha in Inghilterra raggiunta quella forma classica, che cerca di raggiungere in Italia come in ogni altro paese moderno. Meditino i piccoli proprietari sulle pagine della storia d’Inghilterra riportate in questo libro, meditino sull’accumulazione capitalista, accresciuta in Italia dalle usurpazioni dei grandi proprietari e dalla liquidazione dei beni ecclesiastici e dei beni demaniali, scuotano il torpore che opprime loro la mente e il cuore, e si persuadano una buona volta che la loro causa è la causa dei lavoratori, perché essi saranno inevitabilmente ridotti tutti, dalla moderna accumulazione capitalista, alla trista condizione: o vendersi al governo per la pagnotta, o scomparire per sempre fra le dense file del proletariato” [3].

L’analisi di Cafiero non si limita allo scandalo etico, ma esprime un chiaro giudizio sul modo di produzione capitalistico, esso ha come fine il plusvalore, riproduce ed amplifica se stesso in modo esponenziale, pertanto l’accumulazione delle ricchezze si concentrano sempre più in pochi spingendo il ceto medio verso la proletarizzazione. Nel tempo del vittimismo manca il giudizio onto-assiologico sul sistema capitalistico che risulta in tal modo naturalizzato. L’eroismo non è solo costituito da grandi gesta, esso valutazione trasformativa che costruisce il tessuto della prassi. Rivolse il suo messaggio non solo ai precari, ma anche al ceto medio sconfitto dalla finanziarizzazione dell’economia.

Chi decide?

Nel compendio sono riportati brani tratti dal primo libro del Capitale di Marx. I testi in genere riguardano la condizione del lavoratore, lo stato di miseria umana ed economica in cui è costretto a vivere. Si può cogliere la dicotomia limitato-illimitato. Il capitalismo è l’illimitato, esso ha come fine solo l’accumulo crematistico, a tale scopo divora i lavoratori nello spirito e nella carne. Le forze del lavoratore sono limitate, ma lo si coarta ad uno sfruttamento illimitato, poiché il mercato ed il compratore sono mossi dall’illimitato. Il sistema è attraversato da un’insanabile e terribile contraddizione che tutto divora:

”Come si vede, siamo entro limiti molto elastici e la natura stessa dello scambio delle merci non impone alcun limite alla giornata di lavoro. Il capitalista sostiene il suo diritto come compratore, quando cerca di prolungare questa giornata il più che gli è possibile e di fare di due giorni uno solo. D’altra parte la natura speciale della merce venduta esige che il suo consumo per il compratore non sia illimitato, e il lavoratore sostiene il suo diritto come venditore, quando vuole restringere la giornata di lavoro ad una durata normalmente determinata. V’ha dunque diritto contro diritto, tutti due portanti il sigillo della legge che regola gli scambi delle merci. Fra due diritti uguali chi decide?“ [4].

Storpiare il lavoratore

Le tecnologie e l’automazione possono essere usate contro l’umanità ed a favore dell’accumulo di pochi oppure come ipotizzava Marx a favore dell’umanità con il general intellect. Cafiero riporta un brano di Marx in cui le tecnologie divengono parte del dispositivo di controllo e sfruttamento. Marx non ha mai utilizzato il termine Capitale o capitalismo, ma modo di produzione capitalistico, come ha fatto osservare Costanzo Preve, in quanto il modo di produzione capitalistico diviene il dispositivo anonimo ed impalpabile che si installa negli esseri umani, cerca di sostituire la natura umana con una nuova natura orientata in ogni agire e relazione all’economicismo ed allo sfruttamento. Cafiero, non a caso, riporta un brano in cui l’essere umano è solo l’appendice del sistema. L’umanesimo marciano in Cafiero diventa evidente nella scelta antologica dei brani con cui far conoscere Marx:

”«La manifattura rivoluziona da cima a fondo il modo di lavoro individuale e attacca nella sua radice la forza lavoro. Essa storpia il lavoratore, essa fa di lui qualche cosa di mostruoso, attivando lo sviluppo fittizio della sua abilità di dettaglio e sacrificando una grande quantità di disposizioni e d’istinti produttori, nella stessa guisa che, negli Stati della Plata, si immola un toro per avere la sua pelle ed il suo sego.» «Non è solamente il lavoro che è diviso, suddiviso e ripartito fra diversi individui, è l’individuo stesso che è sminuzzato e trasformato in molla automatica in una operazione esclusiva, di guisa che si trova realizzata la favola assurda di Menenio Agrippa, rappresentante un uomo come frammento del suo proprio corpo. Stewart chiama gli operai delle manifatture automi viventi impiegati nei dettagli di un’opera»“ [5].

  L’automa produttivo e la morte dell’uomo

L’operaio vive in modo completo, per tutti, la negazione della natura umana. L’artigiano e il lavoratore nella manifattura usavano i loro strumenti di lavoro, per cui erano attivi verso di essi, controllavano le fasi della realizzazione del prodotto, mentre nel modo di produzione capitalistico il lavoratore è il servo della macchina, è in una posizione di passività totale. E’ un’appendice della produzione, del mercato, del plusvalore, è “niente” nelle mani di un potere anonimo:

”«Nella manifattura e nel mestiere, l’operaio si serve del suo istrumento; nella fabbrica, egli serve la macchina. Là, il movimento dell’istrumento di lavoro parte da lui; qui, egli non fa che seguirlo. Nella manifattura gli operai formano tante membra d’un meccanismo vivente. Nella fabbrica, essi sono incorporati ad un meccanismo morto, che esiste indipendentemente da loro. La facilità stessa del lavoro diventa una tortura, nel senso che la macchina non libera l’operaio dal lavoro, ma spoglia il lavoro del suo interesse. Il mezzo di lavoro, convertito in automa, si drizza innanzi all’operaio, durante il processo del lavoro, sotto forma di capitale, di lavoro morto, che domina e inghiotte la sua forza vivente»“ [6].

Cafiero è sicuramente un caso di coscienza infelice della borghesia. Nel nostro tempo tali casi sono divenuti rari, poiché il modo di produzione capitalistico marca le differenze reddituali, ma omologa i costumi, i pensieri e i comportamenti. La natura dell’essere umano resta il logos con le sue potenzialità, pertanto la storia è esposta all’imprevedibilità. In un’epoca di sussunzione culturale, in cui l’egemonia culturale si esplica mediante il silenzio dei “Ribelli”, ricordare gli uomini e le donne che hanno osato divergere dal “politicamente corretto” è un modo per riportare al centro del dibattito culturale la prassi e la coscienza critica collettiva. La contro-egemonia è sapere che può diventare paideutica del pensiero critico e comunitario. Le nuove generazioni sussunte al paradigma dell’uomo-imprenditore e padrone dello spazio e del tempo dei lavoratori non hanno raffronti critici con cui poter valutare il loro tempo storico. Pensare il proprio tempo per renderlo razionale e reale è possibile con la mediazione di modelli da contrapporre all’ordinaria banalità del proprio tempo. Le parole di Cafiero risuonano ancora in un’epoca di disuguaglianze e violenze:

“Dunque, se per noi libertà è uguale all’anarchia e l’eguaglianza al comunismo, la nostra formula rivoluzionaria sarà: (Rivoluzione) = (Libertà ed Eguaglianza) = (Anarchia e Comunismo). Anarchia e comunismo, come forza e materia, sono due termini che dovrebbero formare un termine solo, perché essi esprimono collettivamente un solo concetto. La sottomissione de’ nullatenenti, grande maggioranza dell’umanità, agli accaparratori delle materie di lavoro e de’ mezzi di lavoro, piccola minoranza, è la causa prima di ogni oppressione e sfruttamento, di ogni ineguaglianza, dispotismo e abbruttimento umano. Rivendicare alla comunità umana le materie ed i mezzi di lavoro, sorgenti della vita di tutti, è rivendicare la libertà e l’eguaglianza di tutti gli uomini. Ma a guardia del tesoro rapitoci trovasi lo Stato con tutte le sue autorità costituite e la sua forza armata, ostacoli che dobbiamo abbattere se vogliamo mettere la mano sul nostro bene” [7].

Ricordare Carlo Cafiero significa ricordarci che, malgrado condizionamenti e fragilità biografiche, il senso della giustizia alberga in ogni essere umano, per cui ricordarlo non può che porci dinanzi a noi stessi e al nostro tempo storico che esige risposte a domande che attraversano la storia.


[1] Carlo Cafiero (Barletta, 1º settembre 1846– Nocera inferiore 1892) fu un anarchico e comunista di famiglia borghese, si deve a lui il primo compendio per la conoscenza del Capitale di Marx in Italia, oggi è uno sconosciuto.

[2] Pier Carlo Masini, Carlo Cafiero, Rizzoli, 1974 pag. 11

[3] Ibidem, pag. 5

[4] Ibidem, pp. 11-12

[5] Ibidem, pag. 18

[6] Ibidem, pag. 24

[7] Carlo Cafiero, Dossier Cafiero, LiberLiber 2012, pag. 47


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