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Contro la mafia: Liliana Ferraro


La prima scena è già nel libro di Stille, a p. 81: "Martinazzoli inviò una sua ispettrice, Liliana Ferraro, a Palermo, per accertare le condizioni di lavoro dei magistrati siciliani. Liliana Ferraro fu scandalizzata da quello che vide. I giudici che combattevano in prima linea contro la mafia non solo non godevano di quasi nessuna protezione e non possedevano un computer, ma non avevano neppure gli strumenti più elementari: macchine per scrivere, scrivanie, sedie.

 

"Sono entrata nell'ufficio [di Falcone], era seduto su una sedia quasi sgangherata, appoggiato a un tavolo traballante dove c'erano fascicoli che cadevano da tutte le parti. Ho detto: 'Iniziamo dalle cose più elementari; prendiamo una sedia comoda, un tavolo stabile'. Così abbiamo cominciato: prima la sedia, poi il tavolo, l'archivio, un sistema informatico per la gestione dei dati. Poi la sede per il gruppo della finanza, che era sommerso di carte provenienti dalle banche, il computer per i finanzieri, la microfilmatura delle carte, perché ormai i fogli erano tanti che non si trovavano più"

 

Inesistenti erano anche le misure di sicurezza all'interno del palazzo di Giustizia. Falcone e Borsellino vennero spostati in un corridoio del mezzanino, chiuso da una porta di ferro controllata da una guardia. Nel 1984 Palermo disponeva finalmente di uomini e mezzi per combattere la mafia.
Lo Stato trovò i fondi per la costruzione di un nuovo tribunale, di enormi dimensioni sotto la supervisione di Liliana Ferraro, che a Palermo, dal giorno in cui aveva procurato una nuova scrivania a Giovanni Falcone, aveva lavorato parecchio (p.139).

 

Dice Caponnetto: senza la Ferraro non saremmo mai arrivati al maxiprocesso (p.143).
Amica e collega di Falcone e Borsellino, il 31 gennaio 1992, la sera in cui fu resa nota la sentenza del maxiprocesso, si trovava con Falcone: “Poi Falcone fece comperare una bottiglia di champagne e brindammo. Non fu allegro. Una serata di soddisfazione enorme, ma sobria. Sapevamo che era successo qualcosa di grosso e che loro ce l'avrebbero fatta pagare”.

 

Quelle di Cosa Nostra, di Pina La Villa

 


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