E' difficile parlare di sé. Conversazione
a più voci condotta da Marino Sinibaldi /Natalia Ginzburg ; a cura di Cesare
Garboli e Lisa Ginzburg. - Einaudi, 1999.
E' più facile leggere e, ancor più, parlare
e scrivere di un libro che appartiene al passato, la cui vicenda è stata già
ampiamente dispiegata. Ha avuto un pubblico, la sua buona dose di critica ed
è ormai un'opera letteraria analizzata, sviscerata e accettata. Fa parte della
nostra eredita' di "lettori". Ma quando dobbiamo avvicinarci ad un'opera, ad
uno scrittore, più vicini a noi, che in qualche modo appartengono al nostro
tempo e di esso raccontano, beh! In questo caso il terreno si fa un po' più
accidentato. Ci sentiamo partecipi, quasi, di ciò che l'opera ci racconta, le
immagini che emergono, mentre leggiamo appartengono alla nostra memoria e non
solo ad una vaga idea di passato. Sono immagini che ci scorrono dinanzi come
la sequenza del nostro film. Anche la critica che tocca questi libri ha, per
il lettore, meno autorevolezza di quella reiterata nel tempo, si esplorano dei
percorsi di analisi e di scrittura, più che di critica la definirei un tentativo
di riflessione ed è quanto faccio nell'accostarmi a questo libro a più voci
sull'attività di Natalia Ginzburg. E' un'intervista radiofonica in quattro puntate
con la partecipazione di vari ospiti raccolta in volume in cui la scrittrice
e la donna si raccontano e raccontano il tempo del loro vissuto. Natalia Ginzburg
fa anche critica della sua opera, viene fuori un'analisi di ciò che ha scritto,
come l'idea veniva fuori, quante volte ha dovuto ricredersi su ciò' che avrebbe
voluto scrivere ma che non si sentiva in grado, all'altezza e che poi invece
ha realizzato. E' la storia delle sue insicurezze, in tutti i sensi. Attraverso
la sua voce e le sue parole si ripercorre un'epoca, si avverte l'atmosfera densa
e intensa di un ambiente e si ritrovano personaggi della nostra storia letteraria
e politica ormai scomparsi da tempo ma che continuano a contare. Natalia Ginzburg
lamenta l'assenza di fantasia come capacita' di inventare storie e per questo
il timore di non riuscire a scrivere, ma allo stesso tempo il bisogno sempre
vivo di scrivere, un bisogno quasi fisiologico, viscerale ed irrefrenabile.
A differenza di Elsa Morante mi sembra più dolce, una persona, in fondo più
consapevole, nel senso che non aveva bisogno di dimostrare agli altri a tutti
i costi chi fosse e cosa fosse capace di fare, pertanto risulta più rilassata
della Morante più libera di mostrarsi per quella che era realmente, incurante
dell'opinione altrui o di dover valere per forza qualcosa. C'è un'umiltà nelle
sue parole che mette in evidenza il suo star bene con se stessa e con la sua
opera. Scrive perché non è riuscita a farne a meno. E' un'opera che si legge
facilmente, si sente il parlato, la conversazione o meglio ancora la chiacchiera
lenta, di chi narra per piacere di farlo senza voler spiegare, senza aver la
pretesa di far capire; e' scorrevole ed è anche il racconto di uno spaccato
della storia dell'Italia a noi più vicina.
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