Per una didattica della differenza di genere
Primo volume della collana II genere e le
Differenze diretta da Annamaria Santo, docente di didattica generale presso
il Dipartimento di Scienze Pedagogiche, Psicologiche e Didattiche dell'Università
di Lecce, il libro affronta il tema ambizioso e coraggioso di una nuova didattica
imperniata sulla differenza di genere. Lo fa attraverso il contributo di varie
autrici che uniscono alla pratica didattica - sono tutte docenti , di varie
discipline e nei diversi ordini di scuola - una rigorosa riflessione e conoscenza
dei risultati che l'ottica di genere ha prodotto nelle varie discipline.
Un lavoro comune che è frutto di una lunga storia. Comincia nel 1991, con la
creazione, all'interno della CGIL-Scuola di lecce, della Consulta Scuola
ed Educazione alla sessualità per la valorizzazione dell'identità di genere,
continua attraverso l'organizzazione di seminari e corsi di aggiornamento con
i docenti, fino alla collaborazione con l'Università, che è storia di oggi.
Un lavoro comune su spazi diversi di riflessione, su campi apparentemente lontani
e "difficili" da affrontare attraverso un discorso "di genere" - pensiamo al
saggio di Cristina Mangia Straniere nei territori della scienza, e a
quello di Patrizia Colella Appartenenza di genere e didattica delle materie
scientifiche.
Un lavoro reso possibile dalla consapevolezza espressa da Annamaria Santo nell'introduzione:
«La scuola ha una ferita, quella dell'incapacità di dire il senso del
mondo nello scontro quotidiano dell'insensatezza; inaugurare, negli scritti
o nella pratica scolastica, un'azione politica e pedagogica che pone al centro
il senso di sé, trasforma profondamente l'immaginario individuale e collettivo.
Dare senso a se stesse, agli altri, al mondo coinvolgendo esperienza, bisogni
e desideri, è la condizione per cambiare il mondo e la scuola può essere il
laboratorio scientifico più adatto e meglio attrezzato per farlo».
Il testo è un ottimo strumento di lavoro per i docenti, e non solo per le donne
insegnanti. Per almeno due motivi: la qualità e la consistenza dell'apparato
bibliografico; la maniera problematica di porre le questioni su un lavoro che
non può non essere necessariamente in progress.
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