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Documenti e notizie sui processi
L'assassino di padre Pino Puglisi, Salvatore Grigoli, è
stato arrestato il 19 giugno del 1997 dopo un lungo periodo
di latitanza e dopo essere sfuggito a una trappola ordita
dagli stessi mafiosi per sopprimerlo. Soprannominato nel
clan "U Cacciaturi", si è autoaccusato
di decine di delitti e attentati e ha avuto un ruolo anche
nel rapimento e nella soppressione di Giuseppe Di Matteo,
il figlio del collaboratore di giustizia Santo.Dopo aver
confessato e chiamato in causa i complici, ha iniziato un
cammino di conversione mettendosi in contatto con l'attuale
parroco di Brancaccio, don Mario Golesano. Il 7 settembre
1998 ha scritto una lettera al sindaco di Palermo, Leoluca
Orlando, per rivolgere "le sue scuse" a tutta
la città per l'omicidio di padre Pino.
Grazie alle deposizioni degli amici di "3P" a
Brancaccio (che hanno avuto il coraggio di rompere il muro
dell'omertà), alle investigazioni e al contributo
di Grigoli e di altri collaboratori della giustizia, per
il delitto sono stati istruiti due processi.
Il primo,
contro lo stesso Grigoli e contro Giuseppe e Filippo Graviano,
i boss di Brancaccio accusati di essere i mandanti, si è
concluso in primo grado con la condanna all'ergastolo di
Giuseppe Graviano e a dieci anni di Filippo (entrambi sono
stati catturati nel gennaio '94 e da allora sono in carcere).
L'assassino ha usufruito degli sconti di pena ed è
stato condannato a 16 anni.
Il pm ha proposto appello, e il processo di secondo grado
ha visto la condanna all'ergastolo anche per Filippo Graviano,
mentre le altre pene sono state confermate.
Un secondo processo riguarda gli altri componenti del commando
che attese la sera del 15 settembre 1993 "3P"
sotto casa, in piazzale Anita Garibaldi: Gaspare Spatuzza,
Nino Mangano, Cosimo Lo Nigro e Luigi Giacalone, tutti già
detenuti.
I quattro sono stati condannati al carcere a vita il 14
aprile del '98 con un verdetto confermato dal processo d'appello
a fine giugno '99 e poi reso definitivo dalla Corte di Cassazione.
Le motivazioni
della sentenza della seconda sezione della Corte d'Assise
riassumono così il movente del delitto e lo scenario
di Brancaccio (il documento è depositato in cancelleria
a Palermo in data 19 giugno 1998):
"Emerge la figura di un prete che infaticabilmente
operava sul territorio, fuori dall'ombra del campanile...
L'opera di don Puglisi aveva finito per rappresentare una
insidia e una spina nel fianco del gruppo criminale emergente
che dominava il territorio, perché costituiva un
elemento di sovversione nel contesto dell'ordine mafioso,
conservatore, opprimente che era stato imposto nella zona,
contro cui il prete mostrava di essere uno dei piu' tenaci
e indomiti oppositori. Tutte le opere e iniziative che avevano
fatto capo al sacerdote e che sono state indicate minuziosamente
dai suoi collaboratori e persone a lui vicine, fanno corona
alla figura di un religioso austero e rigoroso, non contemplativo
ma calato pienamente nel sociale, immerso nella difficile
realtà di quartiere, lucido e disincantato ma non
per questo amaro e disilluso, arreso o fiaccato dalle minacce,
intimidazioni e aperti contrasti con gli uomini dell'establishment
mafioso locale. Don Pino Puglisi aveva scelto non solo di
"ricostruire" il sentimento religioso e spirituale
dei suoi fedeli, ma anche di schierarsi, concretamente,
senza veli di ambiguità e complici silenzi, dalla
parte di deboli ed emarginati, di appoggiare senza riserve
i progetti di riscatto provenienti da cittadini onesti,
che coglievano alla radice l'ingiustizia della propria emarginazione
e intendevano cambiare il volto del quartiere, desiderosi
di renderlo piu' accettabile, accogliente e vivibile. E
per questo erano malvisti, boicottati o addirittura bersaglio
di atti violenti attuati per mortificare ogni voglia di
riscatto, di progresso civile, ogni processo di "consapevolizzazione"
dei propri diritti elementari.”
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