Homepage di Girodivite

Home | Archivio | Rubriche | Dossier | E.Mail | Cerca | Redazione

 
Ararat di Sergio Di Lino


Regista: Atom Egoyan

Il genocidio armeno secondo Atom Egoyan, in un film elegante e ambiguo, ma sostanzialmente irrisolto.

“Ararat” è sicuramente il film più sentito di Atom Egoyan, quello in cui il regista armeno-canadese mette a nudo le radici antropologiche del suo cinema.
Raccontare il genocidio del popolo armeno (del quale troppo poco si è scritto, perché, come afferma lo stesso Egoyan, “In Armenia non c’è il petrolio”) attraverso la messa in scena di un film nel film, e dunque ricorrere alla tematizzazione del mezzo cinematografico come pretesto per riaprire una polverosa pagina di storia, equivale, per l’autore di “Exotica”, ad un viaggio a ritroso nel tempo, alla riscoperta del brodo primordiale che è la genesi del suo essere regista.

Restituire al cinema una funzione a suo modo didattica sembra essere l’imperativo morale che muove l’urgenza rappresentativa di Egoyan: e “Ararat” è a suo modo un film didattico, a tratti persino rosselliniano nel suo anelito di rappresentazione dialettica delle diverse istanze. Questo è il fascino e al tempo stesso il limite di un’operazione sostanzialmente ambigua, giocata su di una pluralità di registri, orchestrata secondo le direttive della polifonia a tratti dissonante. Egoyan filtra tutto attraverso la lente deformante del cinema, ricostruisce alcuni momenti topici della strage armena come se si trattasse di una messa in scena ingessata e vagamente (volutamente?) tediosa, al fine di creare straniamento; racconta di uomini alle prese con dilemmi morali apparentemente insolubili, ne decostruisce le dinamiche psicologiche centellinandone le azioni, attraverso un racconto dalle cadenze distillate, prendendosi tutto il tempo necessario. Così facendo, però, raffredda l’emozione a livelli quasi glaciali, quasi avesse paura di esternare tutto il suo disagio di fronte alla materia trattata.

Ossessionato da sempre dall’idea del controllo totale del materiale diegetico e filmico, Egoyan rifiuta l’approccio empatico, ma alla distanza tradisce inevitabilmente un certo coinvolgimento: il risultato è una sorta di cortocircuito emotivo, che attrae e respinge lo sguardo, e in un certo senso compromette la messa in scena. Legato indissolubilmente ad un’idea di cinema suggestiva ma a lungo andare monocorde, Egoyan si scontra con i suoi fantasmi e rischia di deragliare con il suo film.

Rimane un’opera suggestiva, puntellata da immagini abbacinanti ed elegantissime, in perfetto Egoyan-style (ma con qualche deriva antonioniana di troppo…), ma troppo compresa nel suo anelito di dire tutto, di raccontare tutto, di essere ovunque, di dispiegare il proprio discorso nella maniera più chiara e pedagogicamente efficace possibile. Da Fast Forward quasi tutte le scene di battaglia, e la prima parte dell’interrogatorio alla dogana.

Giro Mailing List
Nome
E.mail
Tieniti aggiornato sulle prossime uscite e sulle iniziative di Girodivite
Iscriviti
Cancellati

Cerca in "giro"
Cerca nel web
powered by FreeFind

Indietro | Girodivite è on-line dal 1994 | Info | Disclaimer | Contatti | Redazione | Stampa | Invia | Up |