Era inutile illudersi che si potesse
percorrere una via pacifica
Una guerra iniziatal'11 settembre del 2001
di VITTORIO ZUCCONI
WASHINGTON - La guerra aperta nell'alba di Bagdad dalla prima
raffica di missili Cruise e di bombe satellitare sganciate dagli
F117 invisibili ai radar, è cominciata alle ore 8:52
dell'11 settembre 2001, quando un portaborse
della Casa Bianca bisbigliò all'orecchio di George Bush
che stava leggendo un sillabario in una classe elementare della
Florida la notizia dell'attacco a Manhattan. Fu allora, e non
all'Onu, non negli inutili summit e nella trascinata pantomima
diplomatica finita con l'ultimatum a Saddam Hussein che fu presa
la decisione irrevocabile di scatenare la controffensiva dell'America
contro l'Afghanistan, la prova generale, e oggi l'Iraq, l'obbiettivo
principale.
Tutto quello
che abbiamo visto, vissuto e sofferto nei 18 mesi che dividono
lo stupro di Manhattan dalla vendetta su Bagdad è stata
soltanto la ricerca e la preparazione di una alleanza che desse
a Bush e agli Stati Uniti una confezione internazionale a una
decisione presa nell'interesse nazionale. Chi, in questi mesi,
ha onestamente creduto alla possibilità di una via pacifica,
chi si è battuto, ha manifestato, ha pregato perchè
non si arrivasse a quello che abbiamo visto nell'alba di Bagdad
e vedremo moltiplicato per mille nelle prossime notte se il
regime non si arrenderà, si è coraggiosamente,
generosamente illuso. Il metallo che ha cominciato a cadere
sull'Iraq era stato irrevocabilmente fuso nel rogo dei due grattacieli.
Non ripeteremo qui la litania degli argomenti pro o contro,
le tesi di chi, con pari dignità e onestà, ha
creduto di mettersi sulle due sponde del dibattito,
purchè lo abbia fatto in buona fede, perchè tutto
è già stato
detto e tutto è stato inutile. Niente avrebbe potuto
dirottare il treno della guerra. Quello che conta adesso è
sapere quale prezzo sarà pagato da coloro che sono le
sole, sicure vittime di questa trentennale tragedia, la
piccola gente d'Irak, quei 23 milioni di persone alle quali
nulla si può rimproverare se non di avere pagato il prezzo
della dittatura e poi della vendetta occidentale contro il mostro
sanguinario, quel Saddam che lo stesso
Occidente aveva creato, appoggiato e armato tra la fine degli
anni 50 e il 1990 e che, come nel classico Frankenstein, ora
deve distruggere.
Saddam è
figlio nostro, e nessuno ha il diritto di dimenticarlo. Il suo
partito fu puntellato e spinto al potere dalla Cia, nel 1959,
per evitare che l'Iraq diventasse comunista. Il suo regime fu
armato con le mine italiane, i missili francesi, i radar tedeschi,
fu spinto ad attaccare il Satana di allora, l'Iran e poi rifornito
di intelligence e di armi di distruzione di massa, chimiche
e batteriologiche, dai comandi americani, perchè rintuzzasse
e controllasse gli Ayatollah e nessuno, a Washington, a Londra,
a Roma.
Ma, all'inizio
di una strada che sarà difficile anche dopo la prevedibile,
scontata vittoria militare, c'è una frase detta da Bush
nel suo annuncio che sarà il metro con il quale misureremo
il successo della campagna: faremo ogni cosa possibile per risparmiare
la vita degli innocenti. Questo è il senso, la chiave,
la morale di questa guerra. Non la disfatta di un'esercito di
miserabili, che è scontata, ma la vita di coloro che
dovrebbero essere liberati. E la vita di tutti noi che da quest'oggi
siamo al fronte contro un terrorismo globale che - se esiste
- non può aspettare ancora molto a lungo per far sentire
il morso della sua vendetta.
(20 marzo 2003)