20 marzo 2003
"La rete giocherà un ruolo chiave
durante la prossima guerra, perché ci permetterà
di entrare in contatto con un'informazione differenziata e fatta
da voci diverse, che in nessun altro modo avremmo potuto conoscere".
Parola di Chris Cramer, presidente del CNN International Network,
il quale si dichiara convinto che gli utenti di Internet saranno
in grado di dare vita a un'informazione cooperativa e continuamente
aggiornata che difficilmente avrà rivali.
Se il più alto dirigente della celebre
televisione satellitare, che dovrebbe considerare la rete come
un medium antagonista, ne tesse invece le lodi, significa che
nel panorama informativo statunitense Internet ha assunto
un'importanza ormai inconfutabile.
Una situazione che non giova al governo Bush,
il quale sta cercando di esercitare sui flussi di informazione
provenienti dal fronte di guerra lo stesso controllo a tappeto
già attuato con successo nel 1991.
Basti pensare alla figura dell' "embedded
journalist" recentemente creata dal Pentagono, cioè
dell'inviato di guerra che sta al fianco delle truppe per poter
documentare meglio gli eventi.
E che, nello stesso tempo, è a sua volta
molto più controllabile. Oppure ai 245 milioni di dollari
varati per la realizzazione del TIA (Total Information Awareness),
un programma di sorveglianza per la conoscenza
totale dell'informazione che, impiegando dispositivi d'analisi
semantica intelligenti e automatizzati, mira a combinare le
molteplici informazioni relative a ciascun individuo, con l'obiettivo
primario di prevenire futuri
atti terroristici.
E, più realisticamente, con quello secondario
di monitorare i comportamenti di chiunque cadrà nella
rete di controllo, e vedrà i contenuti delle proprie
email incrociati con le transazioni della carta di credito e
con le
informazioni relative al proprio stato di salute.
Tuttavia, diversamente da 12 anni fa, questa
volta i processi di disinformazione e controllo connaturati
all'insorgere di conflitti bellici, dovranno fare i conti con
il popolo della rete, considerata da tutti il mezzo più
efficace per la circolazione di notizie "alternative".
Molti navigatori si stanno già organizzando
attraverso una serie di iniziative volte a far filtrare il maggior
numero di notizie dal fronte senza censure di alcun tipo.
E' il caso di Christopher Allbritton, ex corrispondente
del New York Daily Reporter, il quale giorni fa è partito
verso il confine turco-iracheno per documentare gli effetti
della guerra sulla popolazione curda, che senz'altro
verrà trascurata dall'informazione istituzionale.
Armato di computer portatile e telefono satellitare,
Allbritton sta aggiornando regolarmente il suo blog, il cui
nome è già di per sé significativo: Back
to Iraq 2.0 (http://www.back-to-iraq.com/).
Chiunque volesse contribuire alla sua avventura auto-finanziata,
può farlo direttamente dalle pagine del blog, con carta
di credito alla mano.
Allbritton si trova in buona compagnia: i siti
dedicati al conflitto bellico stanno diventando così
numerosi che c'è chi ha sentito la necessità di
catalogarli.
E' nato così War Blogs (http://www.warblogs.cc),
un collettore di contro-informazione che raccoglie automaticamente
tutte le news prodotte dai siti affiliati. Dando una rapida
occhiata all'homepage, ci si rende subito conto di avere a disposizione
un universo di risorse continuamente aggiornate, provenienti
sia dai media tradizionali, sia da quelli più improntati
a fare contro-informazione.
E proprio sui siti di informazione alternativa
si stanno riversando moltissimi cittadini statunitensi, come
ha segnalato alcuni giorni fa il Washington Post, la cui versione
online ha visto una crescita improvvisa del
49%, grazie al traffico proveniente dagli Usa. Evidentemente
molti americani sono in cerca di punti di vista differenti sulla
guerra, rispetto a quanto riportato loro dalla stampa nazionale,
e per questo si riversano su siti
stranieri per accedere a notizie non standardizzate.
Anche in Italia non si perde tempo. E' di pochi
giorni fa infatti la notizia della nascita di Media Watch (http://www.peacelink.it/mediawatch),
un progetto promosso da una serie di associazioni no-profit
che si propone di creare una commissione di vigilanza popolare
e diffusa, per documentare i
casi in cui l'informazione italiana si trasforma in propaganda
filo-bellica.
Appellandosi all'articolo 8 della legge sulla stampa, i promotori
di Media Watch cercheranno di ottenere delle rettifiche a proposito
delle false notizie pubblicate. L'iniziativa è aperta
a tutti, e si propone di diventare
una sorta di controllore autogestito e diffuso della qualità
dell'informazione.
Un successo di pubblico improvviso lo ha riscosso
anche Blogger di guerra (http://bloggerdiguerra.splinder.it),
un diario online collettivo "per parlare della guerra,
di tutte le guerre", le cui chiavi di accesso per partecipare
e pubblicare interventi sono disponibili a chiunque ne faccia
richiesta.
Iniziative di questo stampo, ma potremmo citarne
infinite altre, dimostrano come sia possibile servirsi della
rete per produrre informazione alternativa e soprattutto cooperativa,
qualitativamente superiore, o comunque diversa, da quella che
ci viene ogni giorno propinata dai media tradizionali.
Diversamente dal 1991, ora chi vuole avere un
contatto diretto con il fronte di guerra e desidera condividere
il proprio punto di vista su quanto sta accadendo, ora può
farlo.