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I retroscena di una guerra
Ugo Giansiracusa

Vorrei spendere alcune parole per riportare la discussione su un piano più proficuo per la comprensione del problema Iraq/Saddam Hussein vs All Starr.

Per prima cosa è opportuno chiarire alcuni elementi che, se non appaiono assolutamente immediati per la comprensione della situazione, risultano a ben guardare, fondamentali. Attualmente, infatti, a livello diplomatico si è aperta una grave frattura in quello che sembrava, dopo l'undici settembre e l'attacco all'Afghanistan, lo schieramento mondiale più compatto e più numeroso che si fosse mai visto. Ma a qualche mese di distanza ci ritroviamo con gli USA, Gran Bretagna e alcuni altri stati "vassalli" convinti assertori di un inevitabile intervento preventivo contro l'Iraq. Dall'altra parte dello schieramento troviamo Francia, Germania e Russia che si oppongono apertamente ad un possibile intervento armato in Iraq, tanto da minacciare (Russia e Francia) il diritto di veto su una possibile seconda risoluzione ONU che autorizzi l'uso della forza per disarmare Saddam.

Ma guardiamo per un attimo ai retroscena di questa situazione per comprenderla meglio. Notiamo immediatamente che i governi contrari all'intervento sono gli stessi che hanno contratti, direttamente o attraverso delle compagnie, con Saddam e il suo governo per lo sfruttamento petrolifero del territorio iraqeno, cioè Francia e Russia… e che i fautori dell'intervento sono quei governi che, attualmente, non hanno nessun tipo di scambio commerciale ed economico con l'Iraq, cioè USA e Gran Bretagna, a cui i giacimenti petroliferi iraqeni fanno gola e che si spartiranno a guerra conclusa... quando al posto di Saddam ci sarà un governo filo-occidentale e i contratti precedentemente stipulati dal governo di Saddam con Russia e Francia saranno considerati carta straccia.

Per quanto riguarda la Germania, non avendo grandi compagnie petrolifere ed avendo, invece, una folta componente islamica sul suo territorio è pleonastico arrivare alla decisione di non intervenire in questa guerra.
Fra i due schieramenti contrapposti troviamo alcuni paesi in bilico, come l'Italia, che non hanno grossi contratti commerciali con l'Iraq, ma che non gli dispiacerebbe averli - la pressione dell'Agip e della IP sul governo italiano, presumiamo, non sarà trascurabile - ma che non hanno né la disponibilità economica né un esercito tale da potersi lanciare, direttamente, in un'azione di tale portata come la guerra. E' sicuro, comunque, che il Signor Berlusconi, nel caso questa guerra ci fosse, farà di tutto per sedersi al tavolo dei vincitori… (e già lo stà facendo adesso con una mirabile azione diplomatica in cui riesce a dare ragione a tutti i contendenti contemporaneamente).
Questo è il retroscena, in grandi linee ma assolutamente veritiero.

Le accuse pubbliche e di facciata di Mr. Bush Junior a Saddam Hussein le conosciamo tutti. In sintesi: Saddam è un pericolo per l'umanità (che detto da uno che potrebbe fare scoppiare il mondo con metà del suo arsenale nucleare fa un po’ ridere, ma tant'è).

Ma non voglio soffermarmi sulle pretestuose accuse del Presidente Americano. Sarebbe, in un certo senso dargli un'importanza che proprio non hanno. Pretestuose in quanto l'arsenale dell'Iraq è assolutamente risibile in confronto a quello delle grandi potenze e perché è lo stesso arsenale che ha da dieci anni a questa parte e che di cui nessuno si è mai preoccupato.
Il punto, a mio avviso, è un altro. Ed è IL problema. Mi riferisco al principio dell'autodeterminazione dei popoli. Della loro libertà di decidere per se stessi e per il proprio futuro. Che è IL vero problema di tutti i conflitti di cui siamo stati e siamo testimoni nella storia recente del mondo. Perché il "popolo dei pacifisti", come tutte le grandi masse, è trasportabile e influenzabile dall'emozione. Infatti IL problema su cui si dovrebbe manifestare e lottare è, o dovrebbe essere, la globalizzazione dei diritti dell'uomo. E questo vale per la dittatura di Saddam come per la guerra che gli anglo-americani vogliono scatenare (a spese, come sempre, della popolazione civile) così come vale per la sanguinosissima e petrolifera guerra in Cecenia (il numero di vittime civili in questo conflitto è impressionante, si parla di un terzo di tutta la popolazione cecena…), come per la dittatura di Castro a Cuba o la situazione dei kurdi iraqeni e turchi o il problema palestinese/israeliano…
Questo è e dovrà essere il punto su cui discutere. Trovare il modo affinchè i popoli siano liberi di determinare il proprio futuro. Questo è il motivo per cui essere contrari a questa guerra, perché se da un lato si vuole che l'infausta dittatura di Saddam abbia termine, non si riesce a credere che l'uso delle armi sia il modo migliore per arrivare alla risoluzione dei problemi. Altrimenti dovremmo fare guerra alla Russia e a Israele e Cuba e alla Turchia e a non so quanto altri paesi nel mondo che non rispettano i diritti degli uomini e delle donne che governano, compresi gli stessi Stati Uniti d'America.
Se il "popolo della pace" vuole evitare strumentalizzazioni e critiche dovrà fare di questo problema il vessillo delle proprie lotte perché questo è IL problema del mondo contemporaneo. IL problema che, a ben guardare, accomuna tutti i conflitti e le guerre e le miserie di cui siamo testimoni. E allora risulta evidente come ci siano, per quanto riguarda la situazione "guerra preventiva all'Iraq" tre piani di lettura da analizzare:
1 Le accuse di facciata di Mr Bush e Mr Blair riguardo le armi di distruzione di massa che sarebbero in possesso dell'Iraq - problema pretestuoso, come abbiamo già spiegato -
2 I reali motivi, economici e petroliferi, per cui questa guerra si vuole fare e si farà e per cui l'alleanza post-11-settembre si è sgretolata.
3 Il problema della dittatura di Saddam Hussein, sanguinosa e repressiva, che non concede libertà di autodeterminazione alle varie componenti del suo popolo e che cancella e dimentica e calpesta i diritti fondamentali dell'uomo.
Lottare per un mondo migliore significa comprenderlo in tutte le sue componenti e trame, essere lucidi e oggettivi e lottare per la risoluzione dei problemi attaccandone le cause piuttosto che le inevitabili conseguenze.
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