segnali dalle città invisibili
 

Giro99 Bookfestival 2002
Tutte le voci di Chernobyl
di pina la villa

Anche quest'anno il bookfestival di Scordia propone una serie di incontri letterari che hanno la caratteristica - com'è nella tradizione della manifestazione, giunta quest'anno alla sua quarta edizione - di centrare il cuore del dibattito culturale e politico attuale.

Il primo incontro, venerdì 29 novembre, è stato con Svetlana Aleksievic, scrittrice e giornalista bielorussa tradotta e premiata in tutto il mondo, autrice del libro "Preghiera per Cernobyl".

Nell'aprile 1986 l'incidente alla centrale elettronucleare di Cernobyl, in Ucraina. Come rileva ancora nell'aprile del 2000 l'Ufficio di coordinamento dell'ONU per gli affari umanitari, si tratta di una "catastrofe continua". "La sola Bielorussia ha subito circa il 70% della ricaduta radioattiva…In totale circa 400.000 persone hanno dovuto essere sistemate altrove. Infine da 600.000 a 800.000 "liquidatori" hanno preso parte alla "ripulitura" della zona dell'incidente…l'Ucraina registra ogni anno 10.000 nuovi invalidi per le conseguenze dell'incidente" (dati citati da Sergio Rapetti nell'introduzione al libro).

Circa dieci anni dopo Svetlana Aleksievic scrive il libro, che viene pubblicato la prima volta nel 1997. Vi sono testimoniate le vicende dei "liquidatori" e delle altre vittime (soldati, contadini, bambini). Dopo dieci anni di cronache e di ricostruzioni della tragedia, la scrittrice ha voluto infatti far ascoltare direttamente la voce delle persone che l'hanno vissuta e la vivono.
"questo libro non parla di Cernobyl in quanto tale, ma del suo mondo. Proprio di ciò che conosciamo meno. O quasi per niente. A interessarmi non era l'avvenimento in sé, vale a dire cosa era successo e per colpa di chi, bensì le impressioni, i sentimenti delle persone che hanno toccato con mano l'ignoto".
Come la donna che si rivolge alla scrittrice dicendo: "Gli uccelli volano, il fiume scorre, i frutti crescono….perché me ne devo andare dalla mia casa?" La donna parla solo con lei, la scrittrice, perché non riesce a capire, vuole che le spieghino cos'è questo pericolo nascosto, cosa vuol dire "radioattivo"? Per tre anni la scrittrice ha viaggiato e intervistato persone diverse. "Cernobyl è il principale contenuto del loro mondo. Esso ha avvelenato ogni cosa che hanno dentro e anche attorno…questi uomini e queste donne sono stati i primi a vedere ciò che noi possiamo solo supporre…Più di una volta ho avuto l'impressione che in realtà io stessi annotando il futuro".

Romanzo di voci, è stato definito questo "Preghiera per Cernobyl".

La letteratura oggi deve essere testimonianza, descrivere destini, dare senso attraverso l'autenticità delle esperienze raccontate. Dare senso alla mole di informazioni che rischia di sopraffarci senza farci comprendere. Dopo quasi 15 anni capiamo molto meglio, con questo libro, non solo, come allora, che la tragedia di Cernobyl riguarda tutti perché può succedere ancora e toccare anche "il sole e il paesaggio della Sicilia", ma che ciò che è successo ci riguarda intimamente anche laddove la catastrofe ambientale non assume quelle proporzioni, ci riguarda l'ignoto e il mistero in cui le attuali condizioni dello sviluppo della tecnica e l'insensatezza delle regole del mondo economico ci hanno gettato. E' di questi giorni, per non parlar d'altro, la "marea nera" al largo della Galizia, in Spagna. Qui, come in altri casi, la notizia rischia di essere dimenticata o, peggio, affastellata insieme alle innumerevoli altre, se non la filtriamo attraverso il destino individuale e collettivo di chi in questi giorni sta vivendo la paura e la speranza per la propria vita e il proprio futuro.
Il libro e l'incontro con Svetlana mi hanno fatto venire in mente un altro libro, l'intervista di Maria Nadotti a Ryszard Kapuscinski sul buon giornalismo nel libro dal titolo Il cinico non è adatto a questo mestiere edizioni e/o, 2002. Alla fine del testo c'è una conversazione fra il giornalista polacco e uno scrittore e critico d'arte inglese, John Berger, svoltasi nel corso di un convegno organizzato a Milano dalla rivista Linea d'ombra nel 1994 dal titolo Vedere, capire, raccontare: letteratura e giornalismo alla fine di un secolo..
Perché raccontiamo, si chiede Berger: "Come i cammelli attraversano il deserto, i racconti attraversano la solitudine della vita, offrendo ospitalità all'ascoltatore o cercandola. Il contrario di un racconto non è il silenzio o la meditazione, bensì l'oblio. Sempre, sempre, fin dall'inizio, la vita ha giocato con l'assurdità. E poiché l'assurdo è il padrone del mazzo di carte e del casinò, la vita non può far altro che perdere. Eppure, l'uomo compie delle azioni, spesso coraggiose. Tra quelle meno coraggiose, ma nonostante questo efficaci, c'è l'atto del raccontare. Questi atti sfidano l'assurdità e l'assurdo. In che cosa consiste l'atto del raccontare? Mi sembra che sia una permanente azione di retroguardia contro la permanente vittoria della volgarità e della stupidità. I racconti sono una dichiarazione permanente del vissuto in un mondo sordo. E questo non cambia. E' sempre stato così. Ma un'altra cosa che non cambia è il fatto che di tanto in tanto si verificano dei miracoli. E noi conosciamo i miracoli grazie ai racconti.". Risponde Kapuscinski "Ci troviamo sempre più nella situazione in cui ogni opera d'arte, ogni opera letteraria è una creazione collettiva. Ai tempi di Erodoto o di Tucidite, era possibile che emergessero questi individui unici perché lavoravano in un campo vuoto. Ma tutti noi abbiamo una mente e un'immaginazione sempre più creative, perché noi tutti leggiamo molto prima di scrivere, vediamo molto prima di dipingere […] fino al punto in cui diventa sempre più difficile tracciare una linea di demarcazione tra quello che ci appartiene e quello che appartiene all'immaginazione , alle scoperte e alle creazioni di altri.[…] L'arte sta diventando sempre più comunitaria". J.Berger: "il ruolo del narratore diventa quello del portatore che trasporta qualcosa da un punto all'altro. Se non si resiste alla tentazione di non essere modesti, si perde la capacità di prestare attenzione".

Ecco, questo è quanto ha fatto Svetlana Aleksievic. Ha trasportato l'esperienza e il vissuto delle vittime della tragedia di Cernobyl fino a noi. Lo ha fatto perché ha prestato attenzione, ha ascoltato. Non è casuale, questa sua scelta. Come ci dice alla fine dell'incontro, quello che la interessava, nel lungo lavoro per scrivere il libro, era raccontare come l'uomo, ( "ogni persona" si autocorregge opportunamente il traduttore) riesce a restare tale pur in queste situazioni. E ha scoperto che il dolore è verità, ed è la testimonianza di questo dolore che le ha permesso di raccontare, e di comunicare come "ogni persona" può ancora riuscire ad essere tale.

 

Il Progetto
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