|
Giro98
Movimento
Io, pacifista alla Gino Strada
Fonte: Il Manifesto - 30 ottobre
2002, intervista a Gino Strada a cura di Vauro.
Interventista umanitario da prima
linea o prossimo leader politico
girotondista-cofferatiano? «Solo un chirurgo
che intende continuare a
farlo», risponde il fondatore di Emergency.
«Ma non c'è alcuna legge
che impedisca di pensare e di esprimere opinioni»
Raggiungiamo Gino Strada ad Islamabad.
In quest'ultimo periodo si
sono fatte da più parti molte polemiche
sul suo nome e su Emergency,
molte sono le illazioni riguardo a un suo diretto
impegno in politica
a fianco di questa o quella formazione o addirittura
come promotore
di un nuovo schieramento.
Allora Gino, sto intervistando
un chirurgo, uno dei fondatori di una
organizzazione umanitaria, oppure il leader politico
di un nuovo
schieramento?
Non scherziamo, io faccio il chirurgo,
e intendo continuare a farlo.
D'altra parte non c'è alcuna legge, almeno
per ora, che impedisca a
un medico di pensare, e di esprimere le proprie
opinioni, anche
riguardo a questioni fondamentali come la pace
e la guerra. Faccio
questo mestiere da quindici anni, e mi sono trovato
ad operare a più
riprese in almeno dieci conflitti: ho visto la
stessa cosa ovunque,
il massacro dei civili a causa di guerre dichiarate
per ragioni
diverse. Le opinioni che noi di Emergency abbiamo
sulla guerra
nascono dall'aver conosciuto le sue vittime, dal
vederle ogni giorno
nei nostri ospedali, dal vivere la guerra da vicino.
Chi giustifica
la guerra, chi esalta le «belle cose»
prodotte dalla guerra mente
spudoratamente.
Un esempio?
Prendiamo la guerra in Afghanistan.
«Adesso le donne sono libere
dalla schiavitù del burqa» ha sentenziato
qualcuno. E' per questo che
è stata fatta la guerra? Si bombarda un
Paese perché il burqa diventi
una libera scelta anziché un obbligo o
una tradizione? In ogni caso,
ti assicuro che molte più donne sono state
ferite o uccise dalle
bombe americane in Afganistan, di quante si siano
tolte il burqa dopo
l'arrivo dei marines, semplicemente perché
il 99 percento delle donne
afgane pensa che quella del burqa sia una ossessione
occidentale.
«Adesso, almeno, le bambine possono studiare»
pontificano molti che
in Afganistan non hanno mai messo piede. L'istruzione
femminile è un
problema che non nasce con l'11 settembre, né
con i talebani.
Emergency sta costruendo scuole femminili in alcune
zone rurali dove
le bambine non sono mai andate a scuola, e ancora
oggi non tutti i
genitori sono d'accordo che ci vadano. Che cosa
si dovrebbe fare,
mandare altri B-52 per convincerli? Qualcuno non
crede che sia così?
Prenda un aereo e venga a vedere: possiamo anche
fornirgli supporto
logistico e ospitalità.
Credo che le illazioni sul fatto
che Emergency sia una organizzazione
politica siano iniziate all'indomani della vostra
scelta di rifiutare
«il denaro della guerra» cioè
i finanziamenti del governo che aveva
deciso, forte di una larga e trasversale maggioranza
parlamentare, la
partecipazione italiana alla guerra in Afghanistan.
In effetti non si
può dire che quel rifiuto non fosse una
scelta politica. O sbaglio?
Direi piuttosto che é stata
una scelta etica. Emergency non accetta
di fare il «reparto cosmesi» della
guerra, non accetta il danaro
offerto con una mano sinistra da chi spara con
l'altra. Per gli
stessi motivi, rifiuteremmo i soldi della Fiat
per curare le vittime
delle mine antiuomo da loro prodotte, o quelli
della Nestlé per
curare i neonati che rischiano di morire per il
suo latte in polvere.
Se può tranquillizzare qualcuno, vorrei
aggiungere anche che
Emergency ha mantenuto la stessa posizione nel
caso della guerra in
Kosovo, rifiutandosi di partecipare al banchetto
della famosa
Missione Arcobaleno.
Va bene, però c'è
chi dice che quelli che voi avete rifiutato erano
soldi dei contribuenti, non del governo...
So che su questo problema ci sono
opinioni diverse. L'Afghanistan è
pieno di organizzazioni pronte ad accettare i
soldi della guerra: se
ne sono andate dopo l'11 settembre, per rientrare
qualche mese dopo
nella «Kabul liberata», e molte altre
sono arrivate per la prima
volta nel paese solo dopo i marines. E' un loro
problema, noi abbiamo
la nostra etica, e abbiamo il diritto di averla.
Peraltro, crediamo
sia largamente condivisa, visto il crescente sostegno,
anche
economico, ad Emergency. Inoltre, non si può
dimenticare che sono
nostri anche i soldi per fare partecipare i nostri
alpini a Enduring
Freedom, che potrebbe trasformarsi in una operazione
di caccia
all'uomo. Anche i soldi per le operazioni belliche
che uccidono
esseri umani sono danaro dei contribuenti: questo
li rende forse
puliti?
Emergency è stata praticamente
l'unica organizzazione sanitaria
presente in Afghanistan durante la guerra, e questo
ha indubbiamente
favorito la sua visibilità. Non credi che
il grande consenso che è
cresciuto e sta crescendo intorno alla vostra
sigla sia anche
determinato dalle posizioni di denuncia contro
la guerra che avete
preso e che quindi lo si possa considerare un
consenso «politico»?
E' probabile, se si restituisce
alla parola «politica» il suo
significato originario di ricerca di principi
e regole del nostro
stare insieme collettivo. E non mi sorprende:
la grande maggioranza
degli italiani è contraria alla guerra.
Questo non vuol dire che
Emergency sia una organizzazione schierata con
qualche partito o
coalizione. Abbiamo sempre denunciato la guerra
come una barbarie,
sia quando è stata voluta da governi di
centro-sinistra sia quando a
proporla sono stati governi di centro-destra.
Non ha forse un valore politico
la campagna «Fuori l'Italia dalla
guerra» che avete lanciato con un appello
via Internet sul quale
avete già raccolto 300mila firme? Se sì,
quale?
In Italia, anche se molti sembrano
averlo scordato, esiste una
Costituzione, è stata scritta con l'idea
di garantire un mondo più
giusto alle generazioni future. L'articolo 11
inizia con «L'Italia
ripudia la guerra». È tra i «princìpi
fondamentali». Che cosa vuol
dire? Semplicemente che la pace è un bene
che ci appartiene in quanto
comunità, è un valore di tutti e
di ciascuno di noi. E questo va
rispettato. Quando siamo andati a votare, nessuna
coalizione o
partito hanno detto di essere pronti a toglierci
il bene della pace:
comunque ciascuno di noi abbia votato, questo
non era in gioco. E
invece, in poco più di un decennio, il
nostro paese è stato portato
in guerra per ben tre volte, da governi di colore
politico diverso.
Noi vogliamo che sulla questione fondamentale
della guerra siano
consultati i cittadini, perché non siamo
pronti a farci togliere da
nessuno il bene della pace. Non si tratta solo,
anche se la cosa è
estremamente importante, di non renderci corresponsabili
di nuovi
lutti e di nuovi crimini. Bisogna anche capire
che o si riesce a
tenere l'Italia fuori dalla guerra, o non si riuscirà
a tenere la
guerra fuori dall'Italia. E i cittadini italiani
questo non lo
vogliono, ne siamo assolutamente certi. Per questo
è nata la campagna
«Fuori l'Italia dalla guerra», promossa,
oltre che da Emergency, da
Libera, da Rete Lilliput e dalla Tavola della
Pace. Come vedi, un
grande schieramento di realtà con culture
diverse: vi sono laici e
cattolici, senza connotazioni "di partito".
L'appello su Internet é
stato firmato da molti che non avevano mai firmato
alcun appello
prima di questo. Perché? Per l'importanza
della posta in gioco. C'è
chi ha detto che «la guerra é una
cosa troppo seria per lasciarla in
mano ai militari». Crediamo che la pace
sia una cosa troppo
importante per lasciarla in mano ai politici.
Bisogna sentire
l'opinione dei cittadini, e rispettarla.
Nella conferenza stampa al Campidoglio
che annunciava questa campagna
insieme a te ed ad altri esponenti del mondo umanitario,
del
volontariato e della cultura, da padre Zanotelli
a don Ciotti, a
Terzani, c'era anche Sergio Cofferati che scelse
proprio quella sede
per la sua prima apparizione pubblica dopo avere
lasciato la
segreteria della Cgil. Molti hanno voluto vedere,
nella presenza di
chi viene considerato come un prossimo possibile
leader della
sinistra, una conferma del delinearsi di una nuova
organizzazione
politica. Che rapporto c'è tra Cofferati
ed Emergency?
La carta stampata, di questi tempi,
non mi sembra lo specchio della
verità. Hanno scritto che io avrei proposto
a Cofferati la
vicepresidenza di Emergency - un modo di procedere
tipico di una
certa politica che non ci appartiene per nulla
. Poi hanno dato lo
«scoop» del rifiuto da parte di Cofferati,
precisando però che siamo
rimasti amici. C' è a chi piace lavorare
di fantasia, a meno che non
abbia altre finalità. Pazienza. Emergency
non é un partito, né una
setta: Sergio condivide questa battaglia per la
pace e la porta
avanti insieme con noi e con tanti altri. Mi fa
molto piacere, perché
gli sono amico e lo stimo molto, per la sua attenzione
all'etica e ai
diritti.
Molti giornalisti, dalla Mafai
a Pirani, da Sofri a Sartori, fino ad
Ostellino si impegnano a fondo ad argomentare
la tesi che il
pacifismo è rispettabile (a volte) sul
piano morale, ma che non ha
nessun valore sul piano politico. Anzi, sostengono,
può addirittura
essere complice del terrorismo. Non esitano ad
accusarti di
strabordare dal tuo ruolo di chirurgo di una organizzazione
umanitaria. Stai strabordando?
C'è chi ritiene l'etica
separabile dalla politica, e non mi sorprende
visto che é proprio quello che sta succedendo,
e in misura sempre
crescente. Ci sono migliaia di bambini iracheni
ammalati di tumori e
leucemie, molti di più di quanti sarebbe
prevedibile in base a
considerazioni epidemiologiche, perché
il loro territorio é stato
bombardato a lungo con armi inquinanti. E' un
fatto, una tragedia
facilmente verificabile, non una speculazione
ideologica. Basterebbe,
anche in questo caso come per l'Afganistan, prendere
un aereo e
andare a visitare qualche ospedale di Baghdad
o di Bassora. Che cosa
diciamo a quei bambini, e ai loro genitori? Che
non è per ragioni
etiche che neghiamo loro la possibilità
di essere curati? Dovremmo
spiegare loro - secondo molti "opinionisti"
e politici - che se i
farmaci non gli possono arrivare è per
ragioni politiche, cioè per
l'embargo imposto da più di un decennio.
Tutto a posto? E se fossero
i figli degli opinionisti a morire perché
qualcuno non consente
l'arrivo delle medicine, che articoli di fuoco
scriverebbero sui loro
giornali? E se qualcuno, sulla porta di casa di
qualche politico,
impedisse di far entrare morfina per lenire il
dolore delle loro
madri morenti di cancro? Non ho dubbi, accuserebbero
immediatamente
quel 'qualcuno' di essere un criminale e un terrorista.
I risultati
della politica separata dall'etica sono questi,
sotto i nostri occhi,
se vogliamo tenerli aperti: un mare di ingiustizie
e di atrocità che
attraversano il pianeta, al solo fine di far guadagnare
miliardi (di
dollari e di euro) a qualche migliaio di persone.
Il pacifismo
complice del terrorismo? Smettiamola con queste
stupide provocazioni.
Il terrorismo - l'uso sistematico della violenza
su popolazioni
inermi - non é altro che la forma moderna
della guerra, delle guerre
degli ultimi decenni, ed é stato praticato
su larga scala. Non solo a
New York. E non solo da individui o gruppi armati.
E' stato ed é
praticato anche, anzi principalmente, da stati.
Chi ne é stato
complice? i missionari comboniani o le multinazionali
del petrolio?
le industrie belliche o i frati francescani? Nei
decenni scorsi, non
sono stati i movimenti per la pace a far andare
al potere le decine
di dittatori che hanno massacrato popolazioni
in Africa e in Asia e
in America latina. E Hitler? E' tornato di moda
citarlo: chi l'ha
aiutato a salire al potere? Pacifisti non meglio
identificati oppure
gli Junker feudali, i magnati dei grandi trust
industriali tedeschi e
la casta militare del Kaiser? Ci si riferisce
alla capitolazione
anglo-francese a Monaco che acconsentì
alla invasione della
Cecoslovacchia? Si vuol far passare don Ciotti
per Daladier, e padre
Zanotelli per Chamberlain. Quanto siano strumentali
queste accuse, lo
si capisce ponendoci una semplice domanda: quali
sono le analogie con
la situazione attuale? Si critica chi vuole che
l'Italia non
partecipi ad una aggressione contro l'Iraq, rievocando
la guerra al
nazifascismo. E chi sarebbe, oggi, l'uomo forte
che vuole conquistare
il mondo? Già, proviamo a chiederlo ai
cittadini del mondo: "Chi
pensate si consideri al di sopra della legge?
Chi secondo voi
teorizza il diritto a bombardare chiunque altro
per proteggere i
propri interessi nazionali?" Un bel sondaggio
nel pianeta, i
risultati sarebbero davvero interessanti...
Politici assertori della necessità
di «guerre umanitarie» come quella
in Kosovo (D'Alema) o pronti a combattere quella
in Iraq se l'Onu da
il proprio consenso (Fassino) ribadiscono l'importanza
di distinguere
tra ragioni morali e politiche, optando - ovviamente
«con sofferenza»
- per le seconde. Ti considerano un moralistica
utopico ma poi ti
trattano da avversario politico, arrivando a coniare
definizioni
dispregiative come «pacifismo alla Gino
Strada» (ancora Fassino). Non
ti sembra una contraddizione? Come te la spieghi?
Non so se ci sia contraddizione,
e mi interessa poco. "Si decise -
scrive D'Alema nel suo libro Kosovo - di continuare
con l'azione
aerea integrata dall'intervento umanitario"
Il problema è in buona
parte qui. C'è chi pensa che i bombardamenti
possano andare a
braccetto con gli aiuti umanitari, che addirittura
possano
integrarsi. Per Emergency, organizzazione laica,
questa è una
bestemmia. Non vogliamo aver nulla a che fare
con chi bombarda, né
siamo disposti a lavare loro la coscienza partecipando
ai loro
"interventi umanitari". Per quanto riguarda
l'Onu, vorrei solo dire
che le Nazioni unite nascono con l'obiettivo primario
di mantenere la
pace mondiale. Più di trenta conflitti
insanguinano oggi il pianeta.
Macellai e dittatori, e dittatori trasformatisi
in presidenti, e
presidenti macellai massacrano con i loro eserciti
milioni di esseri
umani ogni anno. Almeno tre quarti delle loro
armi provengono dai
cinque paesi membri permanenti del consiglio di
sicurezza dell'Onu,
Stati Uniti, Cina, Russia, Francia e Gran Bretagna.
Sono davvero
neutrali, super partes, credibili nel promuovere
la pace?
Il percorso della pace deve essere
intrapreso anche con le gambe
della politica? Di quale politica?
La pace si può costruire,
la si può praticare. Per esempio
promuovendo la giustizia. E' giusto un mondo dove
il 20 percento
degli uomini possiede e consuma l'83 percento
delle risorse di tutti?
Incominciamo a leggere (per molti politici sarebbe
la prima volta) la
Dichiarazione universale dei diritti umani del
1948. Diritti,
prinicipi, valori sottoscritti e poi gettati nell'immondizia.
Chiediamoci come praticarli, come tradurli in
"politica". Finché non
sarà vero che "Tutti gli uomini nascono
liberi e eguali in dignità e
diritti..", finché individui e comunità
non agiranno "gli uni verso
gli altri in spirito di fratellanza", come
proclama il primo articolo
della Dichiarazione, continueremo a vivere in
un mondo pieno di
guerre, e ci sarà spazio per chi, con l'arroganza
tipica del più
ricco e del più forte, e servendosi della
"libera" informazione,
continuerà a chiamare pace le bombe, a
chiamare giustizia Guantanamo,
a chiamare "vittime del fuoco amico"
o semplici effetti collaterali i
bambini afgani bombardati durante un matrimonio.
A proposito, secondo
uno studio sulla libertà di stampa nei
vari Paesi condotto da
Reporters Without Borders e ripreso dall'Economist,
l'Italia figura
al quarantesimo posto, appena sopra il Mali. Sono
utopie i diritti
dell'uomo esposti nella Dichiarazione universale?
Assolutamente no,
se ci si impegna a trasformarli in progetti, e
nel nostro Paese sono
in molti a volerlo fare.
|