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Giro97
GiroEditoriali
A ficiunu finiri a skifiu
1.
"A ficiunu finiri a skifiu": l'hanno
fatta finire a caos, casino, hanno rovinato tutto.
Abbiamo letto questa frase su un cartello posto
sul collo di una bambina che sfilava, con noi,
sotto la pioggia. Un corteo numeroso, che ha attraversato
le strade popolari di via Plebiscito a Catania,
fino a piazza Università, davanti al Comune
e a piazza Stesicoro (la piazza in cui nel 1960
fu ucciso un ragazzo, nei cortei contro i governi
della destra e le leggi "maggioritarie"
truffa). A Catania, nonostante la pioggia, e contemporaneamente
in altre cento città italiane: contro la
guerra, contro la barbaria "come mezzo di
risoluzione dei conflitti internazionali"
(vi ricorda qualcosa questa formula?).
2.
Berlusconi capo dell'opposizione? Che aspettano
quelli del centro-sinistra a eleggerlo? Finalmente
unificati da una leadership forte, super-partes,
capace di accontentare tutti... Nell'Italietta
di oggi, l'unica cosa che "la sinistra"
ha saputo fare contro la destra è stata
mettere Cacciari ad ansimare dietro Veronica Berlusconi.
La politica che diventa "questione di corna".
Anche quando da noi in Sicilia si ammazzavano
le persone, non era mai la mafia ma "miskinu,
kuestione di korna fu". (la versione veicolata
dall'organo ufficiale, La Sicilia, all'indomani
dell'uccisione di Pippo Fava).
La chiusura della Fiat. Nazionalizziamo:
cioè, facciamo diventare Berlusconi presidente
della Fiat?
3.
Negli anni Sessanta la Sicilia ha conosciuto la
più grossa trasmigrazione di persone e
risorse della sua storia: fino ad allora si andava
in America o Argentina, ora in Belgio, Germania,
Svizzera... e in Italia: Milano, Torino. Le fabbriche
del nord. La Fiat come sogno di sviluppo, di redenzione.
L'isola era ed è una base militare americana.
La militarizzazione passa attraverso il controllo
stretto di persone e cose. Anche per questo la
mafia - con la benedizione dei cattolici e della
loro chiesa. La Sicilia "non doveva"
svilupparsi, "doveva" vivere nel limbo.
Nel buio, si sa, si pesca meglio. La Fiat aveva
bisogno di operai non specializzati, figli di
contadini da impiegare nelle catene di montaggio,
i reparti di verniciatura dove si moriva a trent'anni,
i reparti saldatura dove le dita saltavano assieme
alle schegge di lamiera, e si pisciava nell'acqua
fino alla cintola perché non era ammesso
allontanarsi dalla catena. Retorica operaista?
Il sistema dell'emigrazione non è stato
né spontaneo né casuale. Fu un fenomeno
organizzato. Nei collegi elettorali la Fiat aveva
i suoi rappresentanti, spesso erano gli stessi
deputati eletti: nella Dc, nel Msi (la destra
di Almirante ritenuta più affidabile dai
dirigenti vallettiani). La Fiat "sceglieva"
i deputati di cui fidarsi. E questi erano onorati
di lavorare per la Fiat. Convogliando le richieste
della povera gente che si rivolgeva a loro per
avere "il posto". C'erano i politici
che vantavano di conoscere tutto di tutti, nel
proprio collegio elettorale. Quello lo si può
assumere, quell'altro no perché il padre
è comunista. Un sistema "scientifico",
"burocratico": le richieste venivano
archiviate in apposite cartelle, con nome e cognome
del richiedente, copia delle risposte e tutta
la documentazione relativa al "caso".
Le "teste calde" trovavano l'unica possibilità
in Belgio o in Svizzera, mentre i "bravi
ragazzi" erano degni della Fiat e di rimanere
in Italia. Intere sezioni comuniste, nei quartieri
popolari e nei paesi, furono smantellate senza
bisogno di usare l'esercito (come si sarebbe voluto).
Il potere di controllo della politica governativa
passava anche attraverso la capacità che
aveva di controllare il flusso dell'emigrazione.
4.
Il sogno dell'industria nel sud. Le cattedrali
attorno cui rimase il deserto. Le raffinerie di
petrolio e la chimica di Priolo, Gela, Milazzo...
L'acciaio di Messina. L'edilizia dei Fratelli
Costanzo e dei "cavalieri del lavoro"
di Catania. Termini Imerese con il suo porto e
il suo stabilimento Fiat... Da vent'anni assistiamo
a un lento stillicidio, pezzo dopo pezzo il "sogno"
dell'industria del sud si sgretola lasciando morti
di cancro, territori devastati, disoccupati per
i quali non c'è più neppure la speranza
dell'emigrazione. Nel mondo globalizzato sembra
che non ci sia più posto per la Sicilia
e per le terre del Sud.
Noi che siamo a Girodivite assistiamo
impotenti alla deriva. Non abbiamo avuto mai il
sogno dell'industria, ma i nostri cugini e zii
delle zone industriali si ritrovano a quarant'anni
a essere considerati "in esubero". Ottomila
ne conteggia la Fiat, e la tivvù non dice
che si tratta di ottomila famiglie, e che per
ogni licenziato alla Fiat ce ne sono dieci che
perderanno il posto nell' "indotto".
Ottantamila persone cancellate. Prima trance,
ché tutti sanno che la Fiat deve essere
chiusa in toto e con essa un bel pezzo della storia
e del sangue di questo Paese. Un altro mondo è
possibile, un'altra isola, un'altra Sicilia è
possibile. Ma noi vogliamo che sia ora, non nell'indomani
indefinibile e consolatorio.
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