|
Giro97
Zerobook
da Tre candele, di Alessandro Cascio
In esclusiva per Girodivite lintroduzione
e lincipit di Tre candele
Alessandro Cascio - Tre candele.
- Collana Le schegge d'oro (i libri dei premi)
14x20,5 - pp. 76 - Euro 8,60 - ISBN 88-8356-365-4
INTRODUZIONE
Un giorno di settembre di qualche anno fa, mi
trovai in una Londra buia e capricciosa cercando
di raggiungere il sogno di diventare musicista.
Mi chiesi se davvero il fuggire da casa mia mi
stesse portando alla felicità, a trovare
me stesso ma di certo cantare Neil Young in una
"Underground Station", per quanto figo
potesse essere, non era il mio obiettivo. Seduto
alla fermata di "Trafalgar Square" scrissi
una storiella, una storiella che ogni tanto rileggo
per ridere dell'uomo e di me stesso. Si intitola
IL SIGNOR VATTENEAPESCA:
Un giorno qualunque d'un mese qualunque d'un anno
qualunque il Signor Vatteneapesca tornò
a casa da lavoro. Di solito usava rilassarsi nella
sua poltrona imbottita di piume d'oca, accendere
la radio e leggere il giornale. Lo fece per anni,
era il suo modo per stare un po' solo con se stesso
lontano dallo stress della vita quotidiana, ma
chissà perché da un po' di tempo
a quella parte non riusciva più a trovare
conforto in quel suo giornale sportivo, in quella
radio del '40 e in quella comodissima poltrona.
Una sera di Dicembre però, mentre se ne
stava seduto, lo Speaker annunciò la scoperta
che avrebbe cambiato la vita di tutti: «finalmente
ciò che tutti voi aspettavate ciò
che avete sempre sognato» diceva «buttate
via le scope e le palette adesso è arrivata
"l'aspirapolvere"». Il Signor
Vatteneapesca fece un balzo e prese il portafogli
dalla credenza. «È questo quello
che ci vuole, è questa la risposta ai miei
problemi, devo comprarla adesso».
Uscì di corsa annaspando con i suoi piedi
piatti tra la neve alta quasi 20 cm dirigendosi
verso l'unico Market ancora aperto dove c'era
una fila immensa. Aspettò per più
di un'ora ma alla fine anche lui riuscì
ad avere l'unica, sensazionale, inimitabile "aspirapolvere",
l'innovazione che avrebbe diminuito la fatica
della gente e avrebbe regalato più tempo
alle mogli per accontentare il marito stanco del
lavoro di tutta una giornata. A casa si brindò
fino a tardi e si fece gran festa.
«All'aspirapolvere» gridava entusiasta
la famiglia Vatteneapesca. Erano già le
dieci e mezza e dopo quel brindisi il Signor Vatteneapesca
decise di godersi il suo momento di relax del
tutto meritato dopo aver regalato un piccolo pezzo
di futuro alla propria famiglia. Era ancora con
il sorriso che quella grande innovazione gli aveva
regalato. Si accese un Cubano tenuto per i grandi
momenti aprì il suo giornale e riaccese
la radio, ma... C'era qualcosa che non andava.
Pian piano le sue guance rosse e barbute come
quelle di Babbo Natale, da una posizione alta
e fiera ch'è quella di un sempre benvenuto
sorriso, cominciarono a tremolare e poi a scendere
quasi impercettibilmente mentre il suo sguardo
che prima centrava bene il bersaglio sull'articolo
di coda della pagina della boxe si andava pian
piano perdendo appannando le parole e fondendole
l'una all'altra e in quel luogo un momento prima
così pieno di felicità, calò
il buio, forse il Market che aveva spento le luci
chiudendo ad un'ora tarda svuotato dalla gente
che aveva sete di futuro o... chissà! Si
sentì come un pesce appena pescato, fuori
dal suo mondo e pronto per il banchetto... che
angoscia. Proprio in quel momento lo speaker di
Radio X parlava a ruota libera come sempre e come
solo lui sapeva fare.
In quel momento, proprio in quell'istante il pesce
cadde dall'amo per riannaspare l'acqua del fiume.
Sì, era tutta una stupidata, non poteva
certo servire una semplice aspirapolvere a rendere
felice una persona era stupido il solo pensarlo.
Una nuova consapevolezza lo aveva sorpreso in
quella sera d'Inverno. Finalmente poteva essere
felice, finalmente sapeva come farlo, aveva capito.
La neve fioccava soffice come la bambagia del
presepe e una luce fioca illuminava tutt'intorno
come Venere illumina il cielo quando la Luna va
in vacanza quel suo giorno di riposo. Si alzò
nuovamente di scatto... prese il portafogli guardando
il Market ancora aperto e si precipitò
fuori in un baleno mentre lo Speaker gridava a
tutto spiano: avevano inventato il tostapane!
Mi bastano le parole di un mio caro amico e questa
storia per tirarmi su quando il mondo è
troppo indaffarato per farlo. Le parole del mio
amico musulmano di nome Jazz: "Ricorda che
quando la gente insiste nel farti notare i tuoi
difetti, vuol dire che sa che sei vicino alla
meta". Ed oggi è per questo che, più
mi dicono "fallito", più mi sento
di star per raggiungere i miei sogni.
Alessandro Cascio
INCIPIT
0.
Il Sole aveva da un pezzo portato con sé
il giorno e aveva lasciato un lume acceso a dar
vista ai ciechi, a schiarire il cielo durante
la sua assenza per quei piccoli uomini che, la
notte, hanno paura del buio, quel buio in cui
è facile vedere il Diavolo sciogliere i
capelli alle sue ninfe dannate e possederle per
procreare il male, quel buio che è come
carta bianca per disegnare Mostri, Streghe, Serpenti
e Fantasmi, ma che in fondo non è altro
che lo specchio dei nostri limiti.
Era di Settembre, faceva caldo, quel caldo che
ti fa seccar la gola e ti fa chiamar l'Autunno
a dissetarla. Tutti a casa Mondeau dormivano già
da qualche ora: l'indomani era giorno di vendemmia
e bisognava essere in forze per affrontare una
giornata di duro lavoro. La finestra era aperta
e si sentiva il tremolio del vetro ad ogni soffio
di vento e poi per tutta la casa solo il ronfo
strozzato del Nonno che russava quasi fosse un
trombone impolverato che non suonava da anni.
Stava accanto al letto di fronte la porta d'entrata
quel comodino dove il Nonno teneva il suo Rosario
e il coltello da lavoro, proprio ad un passo dalla
finestra.
Lì, su quel comodino, tre candele guardavano
la Luna: ma la Luna la si guarda per Amore o per
Odio, per Gioia o Tristezza, per Invidia od Umiltà.
Mezzatacca si chiamava così perché
era la più consumata delle tre candele.
La piccola Eirhnh la portò contenta, circa
dieci giorni prima, di ritorno dal mercato giù
in Paese per far un regalo al Nonno che compiva
i sessant'anni. Era una grossa candela con la
scritta d'auguri tutt'intorno prima di diventare
la più corta e la più vecchia delle
tre candele.
Duetacche aveva preso il nome dai segni che il
vecchio agricoltore le aveva fatto per capire
quando la luce dovesse cessare per dar spazio
ai sogni.
Senzatacca era invece la più giovane, l'unica
candela mai accesa da Nonno Mondeau.
«Guardate, oggi la Luna ci ha regalato il
"tuttotondo"!» disse Mezzatacca
osservando il cielo, «avevo già visto
questo meraviglioso spettacolo, ma oggi è
di nuovo come fosse la prima volta».
«È stupenda, non l'avevo mai vista
così luminosa» si meravigliò
Senzatacca che mai aveva visto la Luna piena.
«È la sua luce a dar occhi a chi
non li ha, che trasforma il tetro vuoto del buio
in un bellissimo gioco d'immagini incomplete cui
la tua fantasia può dar pienezza. E quelle
stelle, poi, sembrano quasi ancelle della Regina
a corte. Quanto vorrei essere come lei»,
continuò Mezzatacca addolcito e aggraziato
nelle sue parole che nascondevano una sottile
invidia, coperta però da immensi strati
d'ammirazione.
«Perché non smettete di gettar via
i vostri versi per una falsa Regina?» interruppe
l'incanto Duetacche, la candela che aveva il fuoco
in sé più di qualunque altra candela,
«non vedete che non è altro che un
grosso cumulo di falsità e superbia che
prende in giro i giovani cuori e ruba la luce
a chi la luce l'ha davvero in sé?».
Poi si avvicinò alla più giovane
delle tre candele e le disse con tono convinto
e ruggente, «tu sei come lei, Senzatacca,
tutti noi siamo come lei, anzi più. Noi
non inganniamo nessuno con la nostra fiamma luminosa
e chiediamo solo una piccola scintilla alla gentile
pietra di zolfo per aiutar l'uomo a veder dove
cammina mentre sogna all'ombra della Luna, diamo
forma alle cose che, quando il Sole và
a riposo, perdono angolo, linea e rotondità.
Credi alla forza della tua fiamma, più
sincera di quella Luna che un giorno è
tonda e lucente e lascia un'aura che sfida ogni
sguardo a non brillare e un giorno scompare nel
nulla senza lasciar traccia se non del suo ricordo,
proprio come un amore che illude un cuor debole
e poi lo ferisce fuggendo.
Credi alla forza della tua fiamma, Senzatacca,
più sincera di quella Luna che si nasconde
dietro quel buio che prima combatte e poi usa
come rifugio».
«E da chi si nasconde?» chiese la
piccola Senzatacca.
«Da quei mille occhi che la osservano, la
amano, la ammirano, quegli stessi occhi che un
giorno scopriranno ch'è solo una ladra
di luce e di sogni e muteranno in loro ogni sentimento
d'amore e la odieranno per la sua superbia. Per
questo quella tua amata Luna si nasconde, per
vergogna». rispose Duetacche a cercar di
levar ogni dubbio alla semplicità della
candela.
«È tua la superbia, insolente candela
che priva dei sogni chi ancora riesce a sognare
e cerca di acquistare valore togliendolo a ciò
che ha attorno», rintronò la voce
del vecchio Mezzatacca.
«Taci vecchio sognatore morente, che nei
tuoi sogni si scioglierà la tua cera, fai
parlare chi sa di aver valore e vuole gridarlo
al Mondo», spuntò dal nulla una vocina
sghignazzante che poi si fece chiaro di chi fosse.
Era la pietra di zolfo.
«Non ho potuto fare a meno di ascoltare
i vostri discorsi e vi dirò che ammiro
ogni parola che il mio impetuoso amico Duetacche
ha sfornato dalla sua saggia bocca, io sto sempre
dalla parte dei vincenti. Una scintilla per dimostrare
il tuo valore?» si chinò cortese
la pietra al cospetto della focosa candela.
Duetacche esitò per un attimo di fronte
alla proposta.
«Allora?!?» continuò la pietra
«perché non dai un assaggio alla
giovane Senzatacca del potere della tua fiamma?
Perché tu sai qual è il suo potere,
o devo supporre che lo hai già dimenticato?»
«Come dimenticare l'immensità di
un cielo se sei un uccello che vi passeggia ogni
giorno?
Dammi una piccola scintilla e darò anche
a te una forma più chiara» rispose
con fierezza Duetacche.
E così fu: una scintilla, una fiamma, una
luce e tutto attorno ebbe forma come per incanto.
Un grido d'onnipotenza uscì dalla bocca
dell'adesso luccicante Duetacche:
«E adesso Senzatacca, chi è il migliore?
Quella Luna che tanto sognavi o chi vedi al tuo
cospetto?»
«Hai ragione Duetacche, adesso che vedo
la forza della tua luce provo rabbia per aver
creduto di essere nulla di fronte alla Luna»
rispose la candela che dalla Luna distolse lo
sguardo.
«Anche tu se vuoi puoi partecipare alla
grande festa dell'onnipotenza, basta un tuo cenno
ed io ti accontenterò» invitò
con modi cortesi la pietra di zolfo.
«E fuoco sia, gentile pietra» disse
Senzatacca.
«E fuoco sia dolce candela» disse
la pietra accompagnando la sua scintilla con danze
e risate.
E fu subito luce, una luce così intensa
che nella stanza vi fu come un nuovo giorno.
«Chi guarderà più la Luna
adesso? Guarda quanta luce con le nostre piccole
fiamme. Sei convinta adesso scettica candela vecchia
e stupida di quanto immenso sia il nostro potere?
Tu stai pur lì a farci d'ancella Mezzatacca
e adora i tuoi due Re dal basso del tuo scetticismo»
disse Duetacche elevando al cielo una risata intensa
ma che fu subito coperta dal martellante sogghigno
della pietra di zolfo.
Duetacche la guardò e disse:
«Cosa vuol farmi capire quel tuo ghigno?
Osi ridere di tanta onnipotenza scordandoti che
questa illumina anche te? Piangi per la tua inutilità
piuttosto, ti renderebbe più dignitosa».
«Offendi pure» ribattè la pietra
«lo spettacolo a cui sto assistendo leva
ogni dubbio su chi è inutile e chi non
lo è. Ma guardatevi candele ingorde di
potere, ve ne state lì a credervi chissà
chi mentre pian piano andate scomparendo tra le
gocce della vostra incoscienza».
Le due candele scesero dal loro piedistallo e
videro ai loro piedi un lago di cera coprire il
piattino di ceramica ed ebbero paura, paura per
la loro vita, paura per la loro dignità.
«Solo la Luna che avete così tanto
disprezzato può salvarvi. Sperate vada
via presto, ch'è solo questo il modo per
far sì che il Vecchio si accorga di voi
e con un soffio vi salvi la vita» disse
la pietra sghignazzante scomparendo in uno di
quegli angoli bui che ancora c'erano nonostante
la luce delle candele e congedandosi con un "sempre
a vostro servizio" che sapeva più
di burla che di cortesia.
E Mezzatacca? Lui aveva assistito quasi in silenzio
ad ogni insulto e ad ogni errore lasciando alle
parole e ai fatti il compito di giudicar se stessi.
«Eccovi qui adesso, povere illuse»
disse tristemente assorta nei pensieri di chi
sa ma ciò nonostante deve, in silenzio,
guardar gli altri commettere errori, «eccovi
in ginocchio di fronte alla Luna, quella Luna
ch'è proprio come voi e come voi è
d'aiuto alla gente che sa guardarla. Stupidi che
siete! Mentre cercavate di trovare voi stessi
cercando una luce che non potevate avere, non
vi siete accorti neanche un momento che quella
luce stava già spuntando da dietro le colline».
Ma il pianto delle due candele era cessato ormai
da un pezzo e con quel pianto era svanita anche
la loro luce, lasciando solo una sottile linea
di fumo a ricordare che non tutti gli sbagli sono
maestri.
E intanto il Vecchio si svegliò al canto
del gallo, indossò i suoi pantaloni, la
sua canottiera sporca del mosto del giorno prima
e le scarpe infangate. Ringraziò il Signore
per avergli donato un nuovo giorno ed un nuovo
sole ad illuminar la sua giornata, prese in mano
il suo coltello da lavoro sporco di cera ed uscì
sbattendo la porta e facendo dondolare un foglio
d'argilla dipinto a mano con su scritte le parole
di un vecchia poetessa russa:
"La felicità è
saper guardare il Mare senza volerlo attraversare
saper guardare il Cielo senza volerlo esplorare
saper guardare la Luna senza volerla toccare".
Uno schiaffo echeggiò per tutta la stanza
e la piccola Eirhnh, che se ne stava nascosta
in un angolino, cadde a terra in pianto.
«Stavi parlando con quelle candele, sei
stata tutta la notte a parlare con le candele
mentre il Nonno dormiva, cosa devo fare con te,
come devo comportarmi ...io... io non so più...»
le gridò la madre subito interrotta dal
marito che la calmò e la fece uscire dalla
stanza «Parlerò io con lei, tu scendi
ad aiutare tuo padre...»
Poi appena la donna uscì, Robert guardò
la piccola e chiese col suo solito tono gentile:
«Allora cosa dicevi di bello alle candele?»
La piccola guardò il padre e con voce tremante
disse.
«Io niente, erano loro che parlavano, io
sono rimasta nel mio angolino ad ascoltare, non
ho detto niente io».
«L'immaginazione dei bambini, a volte mi
sorprende. Scendi andiamo ad aiutare il nonno
a raccogliere un po' della sua uva».
La piccola si alzò, prese per mano il padre
e lo seguì.
1.
Ciao mia piccola Eirhnh,
da quel che mi ha raccontato la Mamma dovresti
essere in grado di leggerle da sola le mie lettere
visto che la Signorina De Ville ti ha insegnato
a leggere e scrivere e tu da brava hai imparato:sei
sempre stata una bambina piena di voglia di conoscere,
proprio come lo ero io alla tua età. Anche
quest'anno non verrò per Natale ma non
preoccuparti non mancherò al mio appuntamento,
ho detto a Babbo Natale di portarti un regalo
anche da parte mia, di solito non fa trattamenti
di favore ma ha detto che per me farà uno
strappo alla regola visto che qui c'è la
guerra. Qui c'è tanta gente che soffre
mia piccola stella e il tuo Papà ha il
compito di far sapere al mondo che questa gente
esiste, so che capirai, ho sempre parlato con
te come se fossi una persona adulta e tu hai sempre
capito tutto più di chiunque altro. Ho
fatto di tutto per far sì che questa lettera
ti arrivasse il giorno di Natale, Eric ha contattato
decine di persone e se starai leggendo le mie
parole queste persone avranno fatto il loro dovere.
Ricordi Eric, l'amico mio grassone che ti prendeva
sempre in braccio facendoti volteggiare in aria?
Quell'omaccione grande e grosso che chiamavi il
pirata barbanera? Piccola mia lui è qui
con me e per il momento sta mangiando un bel piatto
di fagioli in padella come è solito fare.
Con lui il tuo Papà è al sicuro:
chi toccherebbe l'amico del pirata Barbanera?
Qui la gente non ha il Natale e si sta facendo
di tutto per darne uno anche a loro. "Si
leverà in aria come il palloncino di un
bambino" disse qualcuno quando inventarono
l'aeroplano, ma di certo avevano calcolato il
volo ma non l'impatto: gli aerei qui non cadono
come i palloncini che ti compravo al parco piccola
mia. So che reciterai una poesia di Natale che
ti hanno fatto scrivere al catechismo e che la
leggerai a tutti finita la cena prima di aprire
i regali: la mia piccola poetessa. Continua a
recitare e a scrivere bambina mia e fallo senza
curarti degli altri. Ricordo che da piccolo suonavo
il piano e ogni anno la vigilia di Natale per
me era un'occasione per far sentire ai parenti
il mio talento. Ricordo che mi sedevo al piano
a muro del Nonno e iniziavo a dar vita alle sonatine
di Mozart che tanto piacevano alla Nonna: la mia
esibizione era per loro motivo d'orgoglio ed io
ero orgoglioso di regalar loro quel sorriso che
le mie sonate riuscivano a trasmettere. Ma un'artista,
piccola mia, non è un'artista se non crea
e per me la parola "creare" non voleva
dire "riprodurre" per quanto il mio
maestro mi spiegasse che la musica si ricrea sempre
nel momento in cui la suoni: ma queste erano convinzioni
sue non mie. Se non capisci la musica pensa ad
essa come se fosse scrivere: anche in Mozart ci
sono punti, virgole e accenti. Getti via la prima
parola e poi le altre vengono da sole: prima una
parola, poi una frase e poi una storia. Io la
mia storia la raccontai un anno dopo, quando i
Signori Shelley vennero dal New England. Quell'anno
sarebbe stato l'anno della mia storia e non la
storia di un qualsiasi Mr Pianoforte del seicento
o giù di lì. Ad ogni parola un suono
ad ogni punto una pausa, proprio come ripetere
una poesia,ma quando smisi guardai le loro facce
e le immaginerai anche tu nel momento in cui ti
dirò la frase di Mr Shelley:
«Impara a suonare prima la musica degli
altri e poi dilettati a comporre» e andò
via dal suo agnello arrosto. Pensai di aver dato
un grosso dispiacere ai tuoi Nonni piccola e per
un anno suonai poco, non amavo più il piano
come prima, ma non smisi del tutto, c'era ancora
una speranza di rivedere quel sorriso di Natale
in mio Padre e mia Madre.
Fu un nuovo 25 dicembre ed io mi risedetti al
piano mentre i Signori Shelley erano di nuovo
a casa nostra, ormai diventati i nostri vicini,
e di nuovo ad ascoltarmi. «Cosa suoni quest'anno
Robert?» mi chiese il Signor Shelley. Stetti
in silenzio un po' e poi dissi con voce fioca
«una sonata di Jean Bilardère»
e mi zittii nuovamente non dicendo altro che un
Re e un Mi che non uscirono dalla mia bocca ma
furono comunque le prime due parole della mia
poesia. Smisi e restai di ghiaccio... ma poi:
«Bravo figliuolo, così piccolo e
già suoni Bilardère, complimenti
e adesso tutti ad aprire i regali». Quell'anno
fu uno dei Natali più felici che passai,
perché nessuno,nemmeno il Nonno Van Larsen
che tanto sapiente e saggio sembrava, si accorse
che in realtà Jean Bilardère fossi
io. Già mia piccola bambina ma nessuno
si accorse neanche che la sonatina era la stessa
identica sonatina dell'anno prima, con qualche
parola in più che avevo imparato. La gente
che sta seduta a giudicarti, amore mio, non è
mai quella giusta proprio perché è
lì seduta a giudicarti e non sempre la
gente a cui vuoi far capire è la gente
giusta a cui far capire specie se basta un nome
di un'autore inesistente per far sì che
ascoltino la tua arte e le tue parole. La tua
poesia me la reciterai al mio ritorno e ascolterò
ogni tua parola per Gesù Bambino, la Mamma
mi ha già anticipato che è bellissima.
C'è un vecchio qui che dice di non aver
nome. Lui recita poesie ma non le scrive, le inventa
sul momento. Dice che la poesia più bella
è quella che non sta scritta ma nessuno
riesce a carpirne le parole. Forse parla della
vita bimba mia, proprio così, la vita.
Guardati intorno, voglio che tu quella poesia
riesca a scorgerla e a recitarla, proprio come
fa il vecchio senza nome. So anche che per ora
sei triste piccola mia ma non ridere se non ti
va, se sei triste cerca di capire perché
lo sei e quando capirai cerca di trovare le forze
necessarie per far sì che torni il sorriso,
solo così spunterà il sole dal tuo
viso. Una volta Abhik vide un trattato sul sorriso,
secondo questo genio ridere era un obbligo: Abhik,
il tuo vecchio Abhik, spero sia li accanto a te.
Ricordo che quel giorno mi guardò e disse:
«non ridere mai per far piacere agli altri,
mancheresti di rispetto a te stesso e a chi ti
circonda».
La Mamma è preoccupata per la tua tristezza
ma io no, so che saprai ridere quando ne avrai
voglia, saprai alzare un mondo quando ne avrai
voglia io verrò presto e se ci andrà
rideremo insieme come facciamo sempre. Un buon
Natale ed un grosso bacio dal tuo Papà.
Ti voglio bene mia piccola Eirhnh.
|