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Giro94
L'erba voglio: dibattito
Spinello bruciacervello?
Tratto da : L'ESPRESSO on
line: http://www.espressonline.it/ESW_articolo/0,2393,36480,00.html
I danni della marijuana: Spinello bruciacervello:
Il principio attivo ha gli stessi effetti neurologici
della cocaina. Danneggia i tessuti cerebrali
di Antonella Fiori
I fumatori di marijuana?
"Stanno facendo saltare i loro cervelli".
La depenalizzazione della droga? "Fondata
sulla più grande leggenda: pensare che
la cannabis sia innocua". La miccia l'ha
innescata Susan Greenfield, titolare della cattedra
di Farmacologia Sinaptica della Oxford University,
autrice di 150 pubblicazioni nel campo sulle riviste
scientifiche internazionali più prestigiose,
e membro non politico della Camera dei Lord inglese.
Greenfield prende la parola per bocciare dagli
scranni della Oxford University quella che lei
chiama "l'idea tossica" del governo
di Tony Blair: degradare la marijuana a droga
a basso rischio in modo che il suo uso e possesso
non sia più motivo di arresto. La definisce
"una follia". E spiega: "La marijuana
ha un suo recettore nel cervello e si inserisce
in delicatissimi meccanismi neurochimici alla
base delle funzioni cognitive. In più,
crea dipendenza psichica. I consumatori di cannabis
devono assumere quantità sempre maggiori
per raggiungere gli effetti desiderati. Risultato:
il 10 per cento non riesce a smettere, anche se
vorrebbe".
Il membro della Camera dei Lord
riassume così i risultati di parecchi studi
recenti sugli effetti neurologici della cannabis.
In particolare, i lavori più importanti
portano la firma di Steven Goldberg e Gigi Tanda
del Nida, l'Istituto nazionale sull'abuso di droga
americano, del cagliaritano Gaetano Di Chiara
e di Beat Lutz del Max Planck of Psychiatric di
Monaco. La ricerca del massimo istituto americano
di studi sulla droga, pubblicata pochi mesi fa
su "Nature Neuroscience", ha dimostrato
che il principio della cannabis, il Delta 9 tetraidrocannabinolo,
(Thc), ha gli stessi effetti neurologici della
cocaina. Ovvero produce delle precise modificazioni
cerebrali, il che sembra confermato dallo studio
tedesco pubblicato sull'ultimo numero di "Nature".
Beat Lutz e i suoi collaboratori hanno infatti
visto cosa accade stimolando due batterie di topi:
un gruppo modificato geneticamente in modo da
non avere il recettore cerebrale del cannabinoide
(ovvero ad esservi insensibile) e un altro senza
questa modifica genetica. Osservando le reazioni
dei topi modificati e di quelli normali, i ricercatori
tedeschi hanno dimostrato che il Thc e molecole
simili sono capaci di spazzare via dal cervello
memorie sgradevoli agendo proprio sui recettori
della cannabis. Anche se Lutz suggerisce che questa
scoperta può aprire la strada alla formulazione
di farmaci ansiolitici, l'immediata conseguenza
del lavoro è l'osservazione di come i cannabinoidi
abbiano un'azione neurologica creando un mondo
psicologico parallelo e innaturale di sensazioni,
emozioni, memorie.
"Se si vuol capire quali sono
gli effetti della marijuana sul nostro cervello,
basta andare a vedere come sono distribuiti i
suoi recettori, concentrati nelle parti limbiche
dove hanno sede le emozioni e le funzioni cognitive",
spiega Gaetano Di Chiara, ordinario di farmacologia
dell'università di Cagliari, presidente
del Fens, Federazione europea delle società
di neuroscienza. Di Chiara studia da sempre il
problema e ha scritto una serie di studi pubblicati
da "Nature" e "Science", l'ultimo
qualche mese fa, dove ha dimostrato che il principio
attivo della cannabis, il Thc, ha la capacità
(come i principi attivi delle droghe più
pesanti, compresa l'eroina e la cocaina) di aumentare
i livelli di una sostanza chimica, la dopamina,
che serve per trasmettere le informazioni tra
le cellule cerebrali. "Il Thc," aggiunge,
"attraverso questa proprietà provoca
dipendenza in individui che ne facciano uso ripetuto.
La prova è che ad Amsterdam, nelle numerose
cliniche di disintossicazione da cannabis, i medici
riportano numerosi casi di dipendenza".
Annota il farmacologo: "La
marijuana incide in maniera profonda nelle funzioni
che noi consideriamo squisitamente umane".
Come a dire che modifica radicalmente l'azione
del nostro cervello facendoci agire diversamente
da come faremmo senza averla assunta. E, aggiunge
Di Chiara: "Considerarla innocua in nome
di un'idea di libertà, significa abdicare
al nostro stesso libero arbitrio". Insomma
gli studi neurologici ci impongono di rivedere
il vecchio tabù della sinistra che ha regalato
alla "maria" la patina di droga libertaria
e non dannosa. Ma, avverte Gabriella Zorzi, pedagogista
trainer del Maya Liebl Institute, con sedi a Livorno
e Washington Dc, autrice del saggio "Universi
Diversi" (Belforte editore): "Bisogna
guardarsi dalla parola "leggere" come
da un silenziatore che davanti a una rivoltella,
attutisce solo il fragore. L'effetto, più
lento e subdolo, arriva puntuale".
E non riguarda solo pochi reduci
degli anni Settanta. Anzi. L'ultima indagine Espad
(European School Survey Project on Alchool and
Other Drugs) fatta in 250 scuole fra la popolazione
degli istituti secondari italiani, nella fascia
d'età 15-19 anni ha registrato nel 2001
un abbassamento ulteriore dell'età della
prima iniziazione alla droga: 11 anni. In aumento,
invece, nei ragazzi delle scuole medie superiori,
la percentuale di chi ha consumato marijuana almeno
una volta in vita sua: dal 25 per cento del 1995
al 32,7 del 2001: praticamente un terzo della
popolazione giovanile.
Ma il dato che conferma la rilevanza
del fenomeno emerge da un'altra indagine, la prima
effettuata in Italia nella popolazione generale
che ha interessato la fascia d'età tra
i 15 e 44 anni. I risultati contenuti nella relazione
annuale presentata lo scorso mese al Parlamento
sullo stato delle tossicodipendenze, indicano
che il 28 per cento degli italiani tra i 15 e
44 anni dichiara di aver fatto uso, almeno una
volta nella vita, di cannabis. In particolare,
colpisce il fatto che tra i 15 e 24 anni il 12,7
per cento dei maschi (1 maschio su 8) e il 9,
2 delle femmine (1 su 11) affermi di aver fumato
almeno uno spinello negli ultimi 30 giorni. Un
fenomeno, quello dell'abuso di cannabis, che da
anni ha anche una rilevanza psichiatrica. "Il
fatto è che la marijuana amplifica in modo
smisurato nella struttura psichica stati emotivi
non controllati che vanno contro un proprio sentire":
spiega lo psichiatra Giovanni Castellano, coordinatore
negli anni Ottanta di un progetto poliennale per
prevenzione delle tossicodipendenze per conto
dei provveditorati agli studi in scuole di vari
ordine e grado. "La percezione del vivere
non è più reale, ma non per via
delle allucinazioni. Ma perché non corrisponde
più all'assetto interno della personalità".
Risultato: in presenza di una difficoltà
esistenziale chi ha fatto uso di droghe, compresa
la cannabis, invece di reagire o accettare la
sofferenza, prende la scorciatoia. La denuncia,
allo stesso modo di quella neurofarmacologa inglese
Susan Greenfield, è contro una "cultura
favorevole all'uso della droga". A partire
dall'ambiente scolastico che, sostiene lo psichiatra,
proprio a partire dagli anni Ottanta ha dato una
visione distorta "non così allarmante"
dell'uso della cannabis. "Il problema è
che l'adolescenza è un momento delicato
di ricerca dell'identità. L'atteggiamento
del mondo esterno è importantissimo. Se
il ragazzo non avverte un fortissimo messaggio
di condanna, sceglie la droga", conclude
lo psichiatra.
Anche dati dall'osservatorio delle
tossicodipendenze di Lisbona, (www.emcdda.org),
confermano che si inizia presto a consumare cannabis.
E ciò aggrava la situazione giacché,
spiega ancora Castellano: "La gravità
degli effetti della marjiuana dipende dall'età
di iniziazione alla sostanza. Se si cominciano
a fumare spinelli quando la struttura psichica
è già formata l'effetto è
minore. Ma se si assume marijuana nella prima
adolescenza, la personalità si costruisce
in funzione della sostanza". L'imbroglio
più grande? Per il professore far credere
ai ragazzi che scoprano se stessi anche attraverso
la cannabis. "In realtà la droga non
fa scoprire niente. Semplicemente dà l'illusione
di risolvere un malessere. Malessere che deriva
dal fatto di non stare vivendo una pienezza della
propria vita".
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